Omelia (02-03-2025) |
padre Antonio Rungi |
Nessuna ipocrisia nel nostro dire e nel nostro agire Il vangelo dell'ottava domenica del tempo ordinario, che fa da preludio al lungo periodo della Quaresima in preparazione alla Pasqua, che inizia mercoledì prossimo ci offre una delle tante parabole che Gesù racconta ai suoi discepoli per trasmettere loro i contenuti religiosi ed etici del suo insegnamento. Gesù parte da un interrogativo molto chiaro e di facile comprensione, anche perché attiene alla vita di tante persone che sono prive del dono della vita: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?" La risposta è implicita nella domanda, in quanto effettivamente un cieco non può fare da guida ad un altro cieco ma un vedente sì. La domanda trova la riposta nel versetto successivo del vangelo, che Luca riporta in modo preciso: "Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro". In poche parole uno che non ha luce, sapienza intelligenza non può guidare un'altra persona. E se lo fa sbaglia. Infatti ricorda che il discepolo non può essere più preparato del maestro, ma lo può diventare se effettivamente si mette alla sua scuola e apprende gli insegnamenti che gli vengono trasmessi. Gesù chiede ai suoi discepoli l'umiltà di imparare da lui che è mite ed umile di cuore, perché gli orgogliosi, i presuntuosi e gli arroganti non progrediranno mai nella vera sapienza che viene da cielo. Dalla teoria alla prassi si può sentenziare, visto come Gesù continua nel suo racconto parlando apertamente ai suoi discepoli. Da qui il richiamo a guardare dentro se stessi e a rettificare i comportamenti gravi con cui conviviamo, piuttosto che fa osservare i minimi difetti che possono avere i nostri fratelli e sorelle. Ci chiediamo perché guardiamo la pagliuzza che è nell'occhio del nostro fratello e non ci accorgiamo della trave che è nel nostro occhio? La domanda trova la riposta nel fatto che noi difendiamo i nostri sbagli e condanniamo i piccoli difetti degli altri. In una visione cristiana ed etica della vita non si può essere correttori degli altri e tolleranti con noi stessi. Giustamente Gesù ci ricorda: "Come puoi dire al tuo fratello: "Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio", mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio?" Significa avere gli occhi e la mente otturati dal male al punto tale che non ci accorgiamo dello stato di buio morale e spirituale in cui siamo. Entra in gioco quella che nella logica del vangelo e del cristianesimo si chiama ipocrisia, che tradotta in termini concreti significa falsificazione della verità, simulazione di virtù, di devozione religiosa, e in genere di buoni sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole: non è umiltà genuina, è solo ipocrisia, cioè nascondere qualcosa sotto la maschera di apparente perbenismo, sotto il manto della perfezione che non c'è assolutamente in quella persona. Per superare tale simulazione di virtù non posseduta è necessario procedere nella direzione che Gesù stesso ha indicato nella parabola della pagliuzza e della trave: "Togli prima la trave dal tuo occhio", cioè fare una vera e profonda pulizia nella nostra vita per poi eventualmente procedere per far osservare qualche piccolo difetto e negligenza di chi è soggetto alla nostra cristica, giudizio severo e valutazione. Solo allora si potrà vedere bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del fratello che abbiamo valutato severamente, senza sconti e misericordia. Sempre su questo tono ed argomento Gesù prosegue nel suo racconto parabola con ricordare un fatto naturale: "Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono". Verità assoluta ciò che è buono produce il buono, ciò che è cattivo produce il cattivo. Una persona buona far opere di bene, una persona cattiva pensa e produce solo danni e cattiverie. D'altra parte lo si vede oggettivamente che ogni albero si riconosce dal suo frutto. Il fico produce fichi e non certamente spine, né si vendemmia uva da un rovo. Conclusione di tutto il discorso che Gesù fa ai suoi discepoli è che l'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, Come gli occhi sono lo specchio dell'anima così la bocca esprime ciò che si pensa e si ha in mente e nel cuore. Le parole corrispondono al nostro pensiero e se in un determinato momento le diciamo rispondono al nostro stato d'animo e ai nostri convincimenti del momento. Non possiamo uscire da certe storie affermando che lo dice ma non lo pensa, per coprire le nostre cattiverie del momento e costanti del nostro modo di pensare ed agire nei confronti dei vicini e dei lontani. Bisogna stare attenti alle cose che diciamo soprattutto nella rabbia, nel risentimento e in stato di odio evidente. Controllare il nostro dire e il nostro il parlare per non offendere nessuno e non far osservare troppi piccoli difetti negli altri, perché nessuno è perfetto e nessuno è senza peccato. |