Omelia (02-03-2025) |
don Alberto Brignoli |
Giù la maschera È una domenica un po' "anomala", questa, perché capita molto raramente di celebrare l'Ottava domenica del Tempo Ordinario. Generalmente, infatti, la Quaresima arriva prima a interrompere il ritmo delle domeniche "per annum". E comunque, quando capita, cade ovviamente "al limite" del tempo pre-quaresimale, ovvero sull'ultima domenica di Carnevale, che rimane una festa sentita, particolare, vissuta e celebrata dalle varie culture in mille modalità differenti, molte delle quali ricchissime di significato e di elementi culturali importanti. Mille modi di festeggiarlo, tutti diversi tra di loro, ma con una costante presente in ogni parte del mondo: per dirsi ed essere tale, il Carnevale deve essere rigorosamente "in maschera". Chissà da dove viene questa usanza di mascherarsi a Carnevale... probabilmente è un'usanza molto antica che si rifà anche a tradizioni di tipo rituale. Per noi di cultura latina, le feste in maschera risalgono ai Saturnali romani, che erano festività in cui venivano rovesciate tutte le gerarchie sociali: gli schiavi potevano (per qualche giorno, e solo per finzione) considerarsi liberi, mentre la classe nobile poteva essere derisa. Questa tradizione pagana viene "cristianizzata" nel Medioevo, quando la Chiesa decide di collocarla nei giorni immediatamente precedenti all'inizio della Quaresima, tempo di penitenza e di sacrificio nel quale, per quaranta giorni - oltre che a non mangiare carne, da cui l'espressione "carnem-levare", "Carnevale" - si era costretti a tornare all'essenziale della vita di ogni giorno, a ricercare solo ciò che conta, a "gettare ogni maschera" per avere il coraggio di guardare, come in uno specchio, alla propria vita, senza veli, sotterfugi o "ipocrisie". Questa parola, "ipocrita", mutuata dal teatro greco e riferita all'attore satirico che - in scena appunto con una maschera - poteva insultare i ricchi, i potenti e i politici senza subire conseguenze perché non riconosciuto, la vedo non solo come emblematica del periodo di Carnevale, ma - con una suggestiva coincidenza - come la protagonista della Liturgia della Parola di oggi, collocata proprio al centro, nel cuore del brano di vangelo di questa ultima domenica di Carnevale che, in pochi giorni, ci traghetta verso l'austero tempo di Quaresima. Gesù dà dell'ipocrita a chi, invece di guardare alla trave che c'è nel proprio occhio, perde tempo a cercare di togliere la pagliuzza nell'occhio del fratello, assumendo così un atteggiamento tipico dell'attore mascherato che spara a zero sugli altri invece che guardare a se stesso. In realtà, tutto il brano di vangelo ruota intorno a questo concetto dell'ipocrisia, e addirittura in una parte della prima lettura, dove Siracide (che ci ha accompagnato anche nelle letture feriali di questi giorni) dice, tra le altre cose, "Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini". In effetti, l'attore ipocrita veniva "smascherato" dagli spettatori proprio nel momento in cui parlava, perché tutti potevano riconoscerlo dal timbro e dall'inflessione della voce. E allora, a partire proprio da questa saggia affermazione di Siracide, impariamo anche noi a gettare la maschera dell'ipocrisia, e veniamo allo scoperto, prendendo il coraggio a piene mani e guardandoci allo specchio per quello che siamo. Impareremo in questo modo a fare molte cose, sperimentandole prima di tutto su di noi: impareremo a "setacciare" le persone, e a giudicarle non dalle loro apparenze, da come si vestono quando vanno in chiesa o dal colore della tinta dei capelli, ma da ciò che dicono, e soprattutto dalle opere che compiono, perché frutti buoni non possono certo venire da alberi cattivi; impareremo a lasciarci guidare un po' anche dagli altri, soprattutto dalle persone sagge che sanno vedere più in là di noi, e che possono essere anche nostri maestri, camminando dietro ai quali non rischieremo mai di inciampare in una buca, cosa che invece ci accade ogni volta che andiamo dietro a qualche ipocrita che pretende di guidarci nonostante abbia il volto mascherato; impareremo a guardare un po' di più a noi stessi prima che agli altri, e soprattutto a non considerare i difetti degli altri come ostacoli insormontabili per poter andare d'accordo, quando invece l'ostacolo peggiore è il nostro orgoglio, la nostra presunzione di sentirci a posto; impareremo che il tesoro più prezioso che le persone hanno non sta nel portafoglio o nel conto bancario, non sta nella cultura o nella posizione sociale, nella salute o nell'efficienza fisica, e neppure nel carattere deciso o nelle capacità manageriali e imprenditoriali. Il tesoro più grande delle persone sta nel loro cuore: e da un cuore buono escono solo cose buone, come da un cuore cattivo escono solo cose cattive. Belle o brutte, acculturate o senza laurea, ricche o povere, forti o deboli, le persone non si giudicano dalle apparenze, ma da ciò che esce dal cuore, cioè dalle loro opere. E le opere buone vengono sempre da un cuore buono: perché il cuore, quando fa il bene, tira giù la maschera. |