Omelia (02-03-2025)
padre Gian Franco Scarpitta
Lo sguardo, la parola e i frutti

"Lo sguardo è il riflesso dell'anima", suole dire un certo detto. Gli occhi consentono di vedere, ma sono molto più di semplici strumenti della vista. Essi consentono anche di guardare e di lasciare che gli altri ci guardino. In questa comunicazione di sguardi reciproci, si può comprendere benissimo l'emozione, lo stato d'animo, le cattive o buone intenzioni dell'altro e così comunicare anche a prescindere dalla parola. A volte anche il solo guardarsi negli occhi aiuta a comprendere tanto gli uni degli altri, e di questo forse noi abbiamo più bisogno: di sguardi. Un solo sguardo accompagnato da un sorriso molte volte reca più consolazione e gioia di molte parole inconcludenti. Inoltre, semplicemente da uno sguardo, in tanti casi è possibile avere un'idea di come sia una persona e di cosa stia provando. "Uno sguardo e un sorriso han svelato il tuo segreto..." cantava Bobby Solo. Guardarsi negli occhi è espressione di sincerità, volontà di apertura e di condivisione e per questo accresce l'empatia e permette di intuire emozioni, sentimenti, impressioni e anche volontà. la E del resto è vero che senza un diretto contatto oculare fra interlocutori, ogni dialogo e interazione risultano essere incomplete o insufficienti. Ce ne accorgiamo in nella nostra esperienza di relazione e sarebbe bello che anche fra coniugi si potesse vivere questa esperienza costante.
Dio non ci amerebbe così intensamente se non avesse pensato di "guardarci" prima ancora che di crearci. Man mano che organizzava gli elementi creaturali, secondo il testo della Genesi, andava di volta in volta guardando la sua opera, per accorgersi che ciò che stava facendo era cosa buona, amabile. Se Dio non avesse guardato, tutto sarebbe finito nelle mani del caso. Se Dio non avesse guardato l'uomo negli occhi del suo Figlio Gesù Cristo, probabilmente non sarebbe avvenuta la redenzione. O forse si sarebbe realizzata ugualmente, ma non con la stessa efficacia propria di un Dio che si uomo in tutto per tutto: C'è un passo nel quale Gesù realizza un atto d'amore e una chiamata semplicemente guardando una persona: "Gesù, fissatolo negli occhi, lo amò e gli disse... "(Mc 10, 21) Era entrato nell'animo di questo giovane ricco, aveva compreso la sua bravura di fondo e la sua trasparenza. E' vero, quello poi si nega a una sua ulteriore proposta di sequela, perché possiede tanti beni, ma nello sguardo aveva comunque notato questa stessa sincerità in negativo. E comunque lo aveva amato. Gesù guarda le folle e ne ha compassione; fissa lo sguardo su Simone e poi lo identifica come il "figlio di Giovanni", di conseguenza lo chiama al suo seguito e alla sua missione (Gv 1, 42). Lo sguardo di Gesù conquista un pubblicano accanito quale era Matteo. Questi "sente nel suo cuore lo sguardo di Gesù che lo guardava. E quello sguardo lo ha coinvolto totalmente, gli ha cambiato la vita"(papa Francesco). La capacità con cui Gesù guarda è sempre penetrante e allusivo alla salvezza, anzi precede le opere di salvezza e di redenzione e comunque è uno sguardo che accresce, eleva e dona forza e consolazione specialmente perché con gli occhi ti ispira fiducia e ti da' fiducia, facendoti sentire valorizzato e stimato.
Ecco perché la Lettera agli Ebrei invita a "fissare lo sguardo su Gesù che è l'autore e il perfezionatore della fede (Eb 12, 2) e mi entusiasma che parecchi quadri da parete, appesi anche nelle nostre stanze, che ritraggono il volto del Messia con la frase "Gesù io confido in te" sono stati realizzati in modo che lo sguardo del Signore raffigurato ci osservi anche quando ci spostiamo o cambiamo posizione.
Gesù ci incoraggia quindi a non lesinare nello sguardo e nelle comunicazioni visive, perché proprio da quelle nasce ogni progetto che può cambiare la vita.
La liturgia di oggi ci dice che una persona la si può capire dalle sue parole e dai suoi frutti: "Non giudicare mai un uomo prima che abbia parlato" dice il libro dei Proverbi (I lettura). Dal suo frutto si riconosce l'albero. Non è sufficiente però che la parola di un uomo vada ascoltata solo essa stessa, cioè a prescindere da ogni altro aspetto della persona. Ci sono infatti uomini che sanno ostentare bei discorsi per trarre in inganno; non di rado c'è chi ostenta nobili sentimenti o bellissime emozioni con le labbra, senza in effetti provarle interiormente, come pure chi ostenta addirittura forme di preghiera articolate, profonde, congegnate, ma soltanto dall'intelligenza, senza che esprimano davvero la realtà del cuore. S. Ignazio di Antiochia diceva che "E' meglio tacere ed essere, che parlare senza essere." E' certamente vero che la parola rivela la sincerità e l'identità reale di una persona, ma sempre che essa sia lo specchio della sua realtà interiore. E cioè che sia associata ai frutti genuini, maturi e nutritivi che indicano la buona qualità dell'albero. Parole sincere e trasparenti, che non rimangano chiuse in se stesse, che non ostentino ipocrisia, ma che rivelino un animo buono e per questo siano accompagnate da un fare di disponibilità, di amore e di sincerità e soprattutto dai frutti concreti che rivelino l'identità del nostro albero. Non possono mancare né le parole così come non può mancare la schiettezza e la carità concreta nelle opere, così come non mancarono allo stesso Gesù, che associava la Parola divina ad ogni suo atto di bontà o comunque a una esternazione di verità.
L'ipocrita è la persona che non guarda negli occhi, non osserva, lascia che ad operare siano gli altri e adopera la parola, magari sapiente, colta ed erudita, per criticare il marcio che c'è negli altri senza aver prima soppesato il proprio. L'ipocrisia è falsità, arroganza e presunzione e in questi atti di pregiudizio (giudicare senza guardare) porta l'individuo a mettersi al posto di Dio. Chi sparla contro il fratello infatti non osserva la Legge (di Dio) ma semplicemente la giudica (Gc 4, 11) e se ne dimostra critico e amministratore.
Meglio apprendere dal solo Signore Gesù come guardare, parlare e recare frutti in qualità e in quantità, poiché è l'unico che possa guidarci egli per primo. E da lui apprendere ad essere innanzitutto guidati per poter guidare gli altri con umiltà e rettitudine, in modo da non essere dei ciechi che portano altri verso una fossa.