Omelia (09-03-2025) |
Agenzia SIR |
Un' identità filiale che non vacilla Col battesimo di Giovanni, Gesù entra nelle acque del Giordano purificando con le sue carni sante quella fonte dove s'immergevano i peccatori. Che Gesù non abbia alcuna relazione con il peccato lo sa bene Giovanni che vorrebbe essere battezzato da lui piuttosto che battezzarlo e, ancor di più, lo sa il Padre, la cui voce squarcia il cielo per rivelare l'identità del suo Figlio amato, colui che è la residenza privilegiata della sua fierezza e della sua gioia. Dopo questo evento rivelativo e l'investitura regale con quale il Padre inaugura il ministero pubblico del Figlio, lo Spirito lo conduce nel deserto. Si tratta di un percorso inverso rispetto a quello del popolo di Dio: mentre Israele sperimenta prima il percorso nel deserto e poi il passaggio del Giordano in direzione della Terra Promessa, Gesù attraversa prima il Giordano e poi, "pieno di Spirito Santo", si allontana dal Giordano "guidato dallo Spirito nel deserto". Il soggiorno del popolo nel deserto fu di quarant'anni, quello di Gesù di quaranta giorni, decisamente più breve ma del tutto privo di mezzi di sussistenza. Conclusosi questo tempo, Gesù avverte i morsi della fame solidarizzando con la fame di ogni essere umano. La storia biblica ci parla di alleanze umane che nascono per scampare alla fame, mentre Luca riferisce che Gesù è solo e non ha alleati all'infuori del Padre suo. C'è qualcuno però che approfitta di questo momento di debolezza di Gesù per insinuare il dubbio sulla sua identità di figlio amato del Padre. Per tre volte infatti il diavolo lo mette alla prova e il ritornello che appare nella prima e nella terza tentazione è identico: "Se tu sei Figlio di Dio...". Il diavolo quindi insinua il sospetto circa la sua filiazione divina. Per satana Gesù può scardinare il sospetto solo dando prova della sua onnipotenza, ostentando il potere condiviso con il Padre. Così il diavolo presenta la fame come una privazione inammissibile per il Figlio di Dio che ha il potere di trasformare persino le pietre in pane. La tentazione diabolica fa leva sul potere di agire sull'identità delle cose create. Gesù reagisce citando un passo del Deuteronomio che riflette l'ermeneutica sapienziale appresa da Israele nel deserto: "Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo"" (Dt 8,3). La vita dell'uomo è più grande del suo bisogno di pane. Il tentatore propone poi a Gesù di prostrarsi davanti a lui per adorarlo e ricevere in cambio da lui tutti i regni della terra. È la tentazione del potere materiale che Gesù fronteggia attingendo ancora al Libro del Deuteronomio: "Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"" (Dt 6,13). La terza ed ultima tentazione diabolica fa leva sull'autorità spirituale. Il diavolo, citando il Sal 91,11-12, invita Gesù a gettarsi giù dal pinnacolo del tempio, fiducioso dell'intervento delle schiere angeliche. Anche questa volta Gesù risponde con un versetto del Deuteronomio: "È stato detto: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"" (Dt 6,16). Gesù respinge le tentazioni diaboliche una dopo l'altra, ricorrendo alle Scritture di Israele, non per manipolarle e strumentalizzarle come fa satana, ma per sostenere con forza il primato di Dio Padre e del suo potere e relativizzare rispetto a lui ogni cosa e ogni potere, persino quello spirituale. Il potere del Padre non è qualcosa che Gesù sfoggia per dare prova delle sue capacità, ma il motore di quella "debolezza di cuore" o misericordia che lo spinge alla cura premurosa e amorevole delle sue creature, cura che si fa compassione, immedesimazione, tenerezza. Commento di Rosalba Manes, consacrata dell'Ordo virginum e biblista |