Omelia (14-03-2006) |
mons. Vincenzo Paglia |
Gesù si trova nel tempio. E' l'ultimo discorso rivolto alle folle. Si scaglia violentemente contro gli "scribi e farisei" e si presenta come il loro vero pastore. Non attacca la loro dottrina. Dice anzi che è giusta e va custodita. Ma altra cosa è il loro comportamento che manifesta una religiosità vuota, fredda, fatta solo di pratiche esteriori. Essi allargano le "filatterie", piccole teche che contengono rotolini di pergamena con passi biblici e che si legano al braccio sinistro e sulla fronte. La loro origine è suggestiva: la parola di Dio doveva essere ricordata (la fronte) e messa in pratica (il braccio). Ma era divenuta solo una pratica esteriore. Gesù evoca poi il gesto di "allungare le frange", treccine di tessuto munite di un cordoncino violaceo e blu poste ai quattro angoli della veste esterna. Anche Gesù le portava. Ma l'esteriorità ostentata uccide il senso interiore delle cose. Analoga riflessione va fatta sul loro vezzo di ricercare i primi posti nei conviti e i primi seggi nelle sinagoghe. Da ultimo Gesù polemizza con i titoli "accademici" e ufficiali che scribi e sacerdoti esigevano dal popolo e dai discepoli. Tra questi Gesù sottolinea il più noto, "rabbì" ossia "mio maestro". Anche in questo caso Gesù non respinge la missione dell'insegnamento. Gesù vuole sottolineare l'unicità della sua Parola. Tutti i credenti sono sottoposti al Vangelo, ed è questa la Parola che sempre e dovunque dobbiamo annunciare e vivere. Di qui ha origine la paternità di Dio sulla nostra vita. Ed è il Vangelo, non le nostre parole o i nostri programmi, che ha l'autorità sulla nostra vita. La tentazione di accomodare il Vangelo alle nostre tradizioni e a quelle del mondo è incombente. Gesù questa tentazione l'ha stigmatizzata. E chiede a noi di fare altrettanto. |