Omelia (09-03-2025) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Luogo di tentazione e di vittoria La Quaresima che iniziamo trae la sua ispirazione dall'episodio dei quaranta giorni che Gesù trascorse nel deserto, tentato dal demonio, nonostante sia stato da poco istituito Figlio di Dio dopo il suo battesimo (Lc 3, 21 - 22; Mt 3, 13 - 17). Potrebbe avvalersi di questa stessa magnificenza conferitagli dal Padre, renderla manifesta a tutti gli uomini imponendo la sua gloria e la sua preponderanza sul male, e invece proprio lo Spirito Santo, il quale era poco prima disceso su di lui sotto forma di colomba, lo conduce nel deserto. Il luogo geografico sinonimo dell'aridità, della privazione in assoluta, dell'assenza di ogni cosa; che corrisponde anche al luogo in cui si vive l'abbandono interiore, il vuoto e l'insufficienza spirituale. A dire il vero, nella Bibbia il deserto è anche il luogo dell'incontro con Dio, che può realizzarsi nella forma di un fidanzamento come in Osea 2, nel quale la totale assenza della civiltà favorisce il silenzio, la solitudine e la pace, che ha consentito a parecchi anacoreti di cogliere l'occasione proficua della conoscenza con Dio in rapporto con la conoscenza di se stessi. Per eremiti e anacoreti il deserto è stato il luogo fisico e spirituale per rientrare in se stessi, conoscersi, scoprire il lato subdolo della propria e altrui umanità; di conseguenza è stata per essi l'occasione per impostare le strategie opportune per una revisione globale della propria vita e per la scelta radicale di Dio. In rapporto con la personale precarietà che il deserto rende manifesto, si concepisce che solo Dio è l'alternativa più esaltante e più promettente che non le perversioni e le vanità con cui il mondo ci seduce con la sua concupiscienza; che solo nel in Dio riposa l'anima mia e da lui solo la mia salvezza (Sal 61, 2 - 3). Il deserto è quindi il luogo del cambiamento e dell'adesione all'appello primario di Dio alla comunione con lui. Un luogo di conversione, che però non è esente da insidie e da tentazioni. Sempre i per i Padri eremiti e anacoreti e per chiunque ne abbia fatto esperienza, il deserto è anche il luogo privilegiato del maligno, la terra dove amano aggirarsi i demoni per adescare appunto le anime solitarie divertendosi nelle insidie e nelle tentazioni perché abbandonino il loro proposito di scelta radicale del Signore. La tentazione è inevitabile nel processo di conversione e del resto questo non costituirebbe una virtù o una ragione di merito se non fosse accompagnato in qualche modo da ostacoli, insidie e difficoltà. Prove e tentazioni sono all'ordine del giorno e richiedono semplicemente che le si accolga con risolutezza e determinazione, reagendo ad esse con una lotta senza esclusione di colpi. Ecco cosa dice S. Antonio Abate su di esse: "Nessuno, che non abbia provato la tentazione, potrà entrare nel regno dei cieli, poiché togli le tentazioni e nessuno si salverà." La grazia di Dio, la sua assistenza, il suo sostegno non ci esimono dalla lotta e dal combattimento spirituale. Questo è il motivo per cui Gesù ha voluto trascorrere un periodo prolungato in questo luogo inospitale e perverso, al termine del quale ha voluto anche provare la fame e la penuria. Un periodo contrassegnato come "quaranta giorni", cioè un tempo simbolico imprecisato di privazione, di lotte di rinunce che servono a fortificare l'uomo e ad accrescere la sua formazione di persona coerente e consapevole, libera da tutto ciò che davvero lo contrasta. Dice Ratzinger: " è un tempo che indica una paziente perseveranza, una lunga prova, un periodo sufficiente per vedere le opere di Dio, un tempo in cui occorre decidersi ad assumersi le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi. E' il tempo delle decisioni mature." Uomo fra gli uomini a cui nulla della nostra vita è estraneo, Gesù si è sottomesso alla prova dei quaranta giorni disarmato di ogni sicurezza e di ogni risorsa che potesse procedere dalla sua divinità. Vi ha affrontato le sevizie e le tentazioni del principe delle tenebre in una situazione di completo malessere nella quale le sue tentazioni sarebbero state molto allettanti e lusinghiere. Il maligno, che apparirà poi a tanti uomini santi e virtuosi anche sotto le sembianze di aggraziate principesse, di angeli e perfino nell'immagine dello stesso Signore Gesù, tenta il Figlio di Dio incarnato facendo ricorso persino alla Sacra Scrittura, della quale rivela i passi più accattivanti e tendenziosi: i passi citati della Bibbia potrebbero trarre Gesù in inganno e farlo cedere. Gesù è ben lungi dal contestare le manovre del diavolo affermando la sua indiscussa autorità su di lui. Si astiene dal pretendere il dovuto rispetto e dall'esigere che il principe delle tenebre stia al posto che gli compete in quanto lui è Figlio di Dio, il Santo che si impone anche sulle forze del male. Insomma, Gesù non risponde al demonio dicendogli "Ehi, ma tu chi credi di essere? Lo sai che io sono la Parola stessa di Dio incarnata...", ma affronta il nemico ad armi pari, cioè recuperando il giusto equilibrio della Scrittura. Affronta il diavolo e ha la meglio su di lui in quella circostanza in cui qualsiasi uomo potrebbe cadere. Certamente Gesù vuole darci la certezza che non siamo soli nelle vicende difficili di prova e di scoraggiamento e soprattutto di tentazione che la vita cristiana ci riserva. Lui percorre con noi le nostre stesse tappe così come lo Spirito Santo accompagnava lui in quel periodo di grande ostilità e tensione. Gesù e lo Spirito infondono fiducia e costanza. Gesù però vuole darci anche l'imput, lo sprone a non cedere alle seduzioni del maligno, perché ci sono tutti i mezzi per metterlo in fuga e per averne ragione. La sua esperienza diretta nel deserto ci suggerisce che abbiamo i mezzi, le risorse le capacità perché la buona volontà e la grazia ci facciano trionfare sugli allettamenti fallaci di questo mondo. Se la violenza, l'odio, la guerra ci inducono a considerare che anche per noi sarebbe meglio conformarci alla mentalità delle armi, Gesù ci dice che vincere il male facendo il bene apporta molta più consolazione e guadagno. Se una certa mentalità compiaciuta ci induce a identificarci nel piacere effimero e nel guadagno, Gesù ci indica la via migliore della semplicità di vita e dell'umiltà. Se il compromesso e il favoritismo esaltano più il nome che la persona dando ingiuste retribuzioni, Gesù ci invita a perseverare nel servizio umile e disinteressato, perché gli ultimi saranno i primi e i primi capitoleranno. Infine, Gesù ci assicura che la quaresima, cioè la conversione con tutte le sue lotte, ha sempre il suo felice epilogo e ribattere alle tentazioni avrà sempre la sua proporzionata ricompensa. Una certa cultura odierna edonistica e lassista afferma che la migliore posizione da assumere di fronte alla tentazione è quella di cadervi e che chi non ha peccato... è in tempo per rimediare. E' proprio vero che mancare a se stessi è così esaltante? La vittoria di Gesù sul maligno invece è paragonabile al guadagno della terra promessa finalmente raggiunta dal popolo d'Israele dopo tantissimi anni di sofferenza e di asperità, prima con la schiavitù sotto gli Egiziani, poi con il peregrinare stentato e lacunoso per le zolle del deserto (I Lettura). Un percorso che era durato quarant'anni e che aveva conosciuto drammi, lacrime, prove, tentazioni alle quali si era ceduti.... Ma che adesso Mosè ricorda nel suo epilogo felice e vittorioso. La terra promessa è diventata realtà. Come realtà di beneficio diventano sempre le promesse del deserto. |