Omelia (05-03-2006) |
mons. Antonio Riboldi |
Quaresima, tempo di grazia Abbiamo lasciato alle spalle con il Carnevale, il tempo della banalità della vita, che se per alcuni è stato solo un momento di follia, per tanti è una follia vissuta ogni giorno. E la Chiesa, con l'austerità che chiede la voglia di serietà nel vivere la fede, per farsi cambiare "dentro da Dio", mercoledì ci ha imposto sul capo le ceneri, ricordandoci la grande nostra verità: "Ricordati, uomo o donna, che sei cenere e cenere diventerai": oppure "Convertiti e credi al Vangelo". Un ammonimento che fa piazza pulita di tutto quel camminare fuori la realtà di una vita dataci per la santità e ci invita a raddrizzare le vie storte che forse percorriamo senza neppure renderci conto: o forse ce ne rendiamo conto per quel malessere che sentiamo "dentro", come una malattia, ed è come un girare a vuoto, nel nulla. Vi confesso, cari amici, che diventa difficile anche solo tentare di dire quanto sia importante e vitale per la vita interiore, che è quella che conta, anche il solo pensare o parlare di questo tempo santo ed austero che è la Quaresima. Il rischio di vederlo "passare" come un tempo normale, senza farsi coinvolgere è grande oggi...ed è come intuire la voce di Dio che chiama e spegnerla nel chiasso, come non ci fosse. Tanti di voi ricorderanno come un tempo la Quaresima era vissuta con il digiuno quotidiano, tranne la domenica, l'ascolto della Parola, o quaresimale, e la Via Crucis. Si sentiva in famiglia, nell'aria che la Quaresima era davvero un tempo austero, come se in ogni istante fossero davanti al cuore ed alla mente le parole che Gesù dice oggi: "Il tempo è compiuto: il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,12-15). Andando indietro nel tempo, la Quaresima era il tempo di preparazione degli aspiranti al Battesimo che dopo un catecumenato si accostavano al Battesimo; e dei peccatori che il vescovo aveva momentaneamente allontanato dalla comunione ecclesiale e che in questo periodo sospendevano ogni attività, dedicandosi alla parola di Dio, alla penitenza ed alla preghiera. Poi, i catecumeni nella notte di Pasqua ricevevano il Battesimo, ossia entravano nella vita nuova e i peccatori ricevevano il perdono, e come segno di questa rinascita vestivano l'abito bianco, simbolo di vita nuova con la Pasqua. Gesù stesso stette quaranta giorni e quaranta notti nel deserto, prima di affrontare la missione del Padre in mezzo a noi, in totale digiuno, come narrano i vangeli. Il Santo Padre, Benedetto XVI, nel suo messaggio per la Quaresima, che volle intitolato: "Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione", scrive: "La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia. E' un pellegrinaggio in cui Lui stesso accompagna attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua. Anche nella "valle oscura", di cui parla il salmista, mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria nell'opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. Sì, anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore. Come in ogni epoca, esse si sentono abbandonate. Eppure anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono, senza distruzione, anziani, adulti e bambini, Dio non permette che il buio dell'orrore spadroneggi. Come infatti ha scritto il mio amato predecessore Giovanni Paolo II: c'è un limite divino imposto". Il S. Padre così ci offre una indicazione come vivere concretamente la Quaresima, in modo che cambi in noi qualcosa, capace di avvicinarci di più a Dio; in altre parole un modo che sia una vera Pasqua di Resurrezione. E, come a confermare quanto ha scritto nella sua Enciclica, intitolata "Dio è Amore", ci fa riflettere e vivere un tema davvero contemporaneo e che chiede la nostra partecipazione: la compassione, ossia la capacità di guardare alle tante miserie spirituali e materiali del mondo e, per quello che possiamo, ma generosamente, "condividere la loro passione" che è il vero significato di "compassione". Gesù del resto ce ne dette un esempio. Così descrive la Sua compassione per noi, che davvero siamo "poveri in tutto", poveri di cuore, "generato dall'egoismo del benessere", l'Apostolo Paolo, scrivendo ai Filippesi: "Egli era come Dio, ma non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunziò a tutto: divenne come un servo: fu uomo tra gli uomini e visse come uno Sconosciuto, come uno di loro. Abbassò se stesso: fu obbediente fino alla morte, alla morte di croce" (Fil 2,6). E, fattosi povero, passò tra di noi, manifestando la sua compassione sempre. Basta ricordare la compassione davanti alle folle che lo seguivano e non volle licenziare, senza prima avere moltiplicato i pani ed i pesci. O la sua compassione davanti agli ammalati. O ancora di più la sua compassione di fronte ai peccatori. Basterebbe ricordare la parabola del buon samaritano per capire la compassione del samaritano che, imbattendosi sulla strada, che conduce da Gerusalemme a Gerico, uomo vicino alla morte, per la brutalità dei briganti, non imitò il sacerdote ed il levita che passando videro, ma andarono oltre, abbandonando al suo destino di morte il Semivivo, ma si commosse, scese da cavallo, gli prestò le prime cure ed ebbe cura di lui, fino a caricarlo sul suo mulo e portarlo in una locanda per affidarlo alle cure, a sue spese, fino a perfetta guarigione. Questa è compassione. Difficile compassione che per fortuna in tanti luoghi del mondo trova samaritani che condividono quello che hanno, perché i semivivi tornino a quel diritto alla vita, che è dono immenso, che deve fare intravedere nella sua bellezza, una vita nella carità. E il S. Padre, nel suo messaggio, indica proprio nella compassione una via, non solo perché torni a regnare la carità, ma attraverso questa, la gioia e la pace. "Illuminata da questa verità pasquale, la Chiesa sa che per promuovere lo sviluppo è necessario che il nostro sguardo sull'uomo, si misuri su quello di Cristo (che ebbe compassione)...dinnanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte della umanità, l'indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo "sguardo di Cristo". Non si tratta allora in questa dimensione quaresimale, che dovrebbe essere norma della nostra esistenza in comunione con tutti, come segno di vera fede e carità, di una casuale elemosina che, diciamolo con sincerità, a poco giova, se non a volte a "mettere a posto" la coscienza. Si tratta di fare guerra, sgretolare quel male che è in noi e che si chiama egoismo: un chiudersi in noi stessi, facendo cadere briciole dalla tavola bene imbandita che il povero Lazzaro contendeva con i cani, come è nella parabola del ricco epulone. E' entrare nella beatitudine della povertà, che fa suo il Regno dei cieli. Tutti dovremmo sapere che un benessere coltivato in noi come un idolo, può diventare invalicabile barriera per le tante povertà che bussano alla nostra porta, come fossero Cristo stesso. E' una schiavitù che riesce a cancellare la compassione. E uomini senza compassione che uomini sono? Possono solo essere non piccola causa di quelle povertà che vanno aumentando e generano le violenze e gli odi che sono le nubi nere sulla civiltà dell'amore e sulla nostra fede. Il nostro essere di Cristo dovrebbe distinguersi per quello "sguardo di Cristo" su quanti, per qualsiasi ragione hanno bisogno di noi, pronti come Gesù a dare tutto. Mi è sempre state impresso quando uno di voi, sapendo come casa mia è sempre stata "casa dei poveri", mi inviò una bella somma. Lo ringraziai e lui mi rispose: "Non mi dica grazie: quanto dato è solo un graffio al mio egoismo e lo farò fino a cambiare pelle". La mia vita pastorale, nel Belice e qui, è stata caratterizzata da una precisa scelta: avere compassione di chi ha bisogno. E sulla mia strada Dio mi ha messo alcune persone di una generosità incredibile che mi hanno permesso di fare "grandi cose", nel Belice, qui, e ora in alcune realtà nel grande serbatoio dei poveri. Gente non cercata, ma che si è affacciata sulla mia strada per farmi compagnia nella carità, sempre riempiendomi le mani perché a mia volta riempissi quelle degli altri. Sono state e sono i miei "angeli", che mi sono vicine nel nutrire la compassione. Mentre vi scrivo, ho tanti progetti di bene tra i poveri, accanto a chi già opera condividendo povertà e speranza. Hanno tanta speranza che la compassione si faccia strada. E così sarà. Non piacerebbe anche a voi, a chi può, vivere la Quaresima così? Toccheremo con mano come con questa povertà in spirito, che si fa dono ad altri, alla fine ci sentiremo liberi, gioiosi, e capiremo l'Alleluja della Pasqua. E allora, fissando il nostro sguardo nel Suo, dalla croce espresse la compassione verso tutti noi, veramente bisognosi del suo amore, auguro a voi una Santa Quaresima...coltivando compassione. E sarei felice che anche tra voi ci fosse qualcuno che accetti di essere "angelo" e mi tenga compagnia nella compassione del mondo. |