Omelia (23-03-2025)
don Lucio D'Abbraccio
Conversione: un'opportunità di rinnovamento interiore!

Il Vangelo che abbiamo ascoltato oggi ci pone di fronte a un tema fondamentale della nostra vita cristiana: la necessità della conversione. Nel brano del Vangelo l'evangelista Luca racconta che Gesù ci invita a guardare la realtà con occhi nuovi, senza cadere nella tentazione di giudicare gli altri, ma riconoscendo la nostra urgenza di cambiare vita.
L'autore sacro scrive che alcuni riferiscono a Gesù due fatti tragici: l'uccisione di alcuni Galilei da parte di Pilato e il crollo di una torre a Siloe che ha provocato la morte di diciotto persone. La mentalità dell'epoca vedeva nella disgrazia una punizione per il peccato - «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? [...] O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?» -, ma Gesù corregge questa visione: quelle persone non erano più peccatrici delle altre: «No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti alo stesso modo».
Queste parole di Gesù sono un monito potente contro la tentazione di giudicare gli altri e di attribuire la sofferenza altrui a una punizione divina. Non possiamo ergerci a giudici dei destini altrui, né pensare che le tragedie siano sempre la diretta conseguenza di colpe specifiche. La realtà è più complessa e spesso misteriosa.
Anche oggi, di fronte alle catastrofi, alle malattie o alle difficoltà, potremmo chiederci: "Dio sta punendo qualcuno?". La risposta di Gesù è chiara: Dio non manda il male, non è un giudice spietato che infligge castighi, ma un Padre misericordioso che ci chiama alla conversione. Il punto centrale non è cercare colpevoli, ma riconoscere che tutti abbiamo bisogno di cambiare cuore e vita.
Ma allora, perché Gesù introduce questi episodi di morte violenta? Non per condannare le vittime, ma per lanciare un appello urgente a tutti noi. Il «perirete tutti allo stesso modo» non è una minaccia di morte fisica immediata, ma un avvertimento sulla fragilità della vita e sulla necessità di prepararci all'incontro definitivo con Dio. La morte può sopraggiungere inaspettatamente, come per quei Galilei o per quelle diciotto persone. Dobbiamo quindi interrogarci sulla nostra vita, sul nostro rapporto con Dio e con gli altri.
Ed è qui che si inserisce la parabola del fico sterile. Un uomo ha piantato un albero di fichi nella sua vigna, ma per tre anni non ha trovato frutti. La sua reazione è comprensibile: perché tenere un albero che occupa spazio e consuma risorse senza dare nulla in cambio? «Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?». Ma il vignaiolo interviene con una preghiera, una richiesta di pazienza: «Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai».
In questa parabola, il proprietario della vigna rappresenta Dio, il fico sterile siamo noi, e il vignaiolo è l'immagine della pazienza e della misericordia divina, sempre pronta a darci un'altra possibilità. I tre anni di attesa possono simboleggiare il tempo della nostra vita o forse il tempo della predicazione di Gesù fino a quel momento. La mancanza di frutti rappresenta la nostra sterilità spirituale, la nostra incapacità di vivere secondo il Vangelo, di produrre opere di amore, di giustizia, di pace. Questa immagine, dunque, ci parla della pazienza di Dio. Lui ci dà tempo, non per rimandare all'infinito la nostra conversione, ma perché crede in noi, nella nostra possibilità di cambiare e di portare frutto. Ma attenzione: il tempo che ci è concesso non è eterno, prima o poi giunge il momento in cui dobbiamo rispondere alla chiamata di Dio.
Ebbene, la richiesta del vignaiolo ci offre un messaggio di speranza. Dio non si arrende facilmente di fronte alla nostra infedeltà. Ci concede ancora tempo, ci offre nuove opportunità per cambiare, per «zappare attorno» al nostro cuore, per «mettere il concime» della sua grazia.
Questo Vangelo della III Domenica di Quaresima ci invita a una profonda riflessione e ci pone delle domande per un rinnovamento interiore: sto davvero cambiando? Sto portando frutti nella mia vita? Sono davvero convertito al Vangelo? O sono come quel fico sterile che occupa spazio inutilmente?
Spesso pensiamo alla conversione come a un evento straordinario, ma in realtà essa si gioca nelle scelte quotidiane:
• nel perdono dato a chi ci ha ferito,
• nella rinuncia a ciò che ci allontana da Dio,
• nell'ascolto della Parola e nella preghiera sincera,
• nel prenderci cura degli altri, soprattutto di chi è nel bisogno.
Non lasciamoci, allora, ingannare dalla falsa sicurezza di essere migliori degli altri. La sofferenza non è un metro di giudizio. Ciò che conta è la nostra risposta all'amore di Dio, la nostra disponibilità a cambiare, a convertirci, a produrre frutti di bene.
Il Signore ci offre ancora tempo. Non sprechiamolo. Approfittiamo di questo tempo di grazia per esaminare la nostra coscienza, per chiedere perdono dei nostri peccati, per impegnarci a vivere una vita più autenticamente cristiana. La conversione non è un'opzione, ma una necessità vitale. Gesù ci invita a non perdere tempo, a non rimandare, perché il rischio più grande è vivere nell'indifferenza. Scriveva Sant'Agostino: "Dio aspetta, ma non sempre avrai tempo tu". Il fico che non porta frutto non è un albero cattivo, ma un albero inutile, incapace di dare senso alla sua esistenza.
Chiediamo al Signore, che «ha pietà del suo popolo», di aiutarci a rispondere alla Sua chiamata oggi, senza aspettare domani, perché ogni giorno è un dono prezioso per avvicinarci a Lui e trasformare la nostra vita. Che la Vergine santa ci aiuti a convertirci affinché possiamo aderire sempre più saldamente a Cristo, roccia della nostra salvezza. Che possiamo tutti, come il fico della parabola, portare frutti abbondanti per la gloria di Dio e per il bene dei nostri fratelli. Amen!