Omelia (30-03-2025) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di padre Gianfranco Paris Invitati a partecipare alla festa La parabola che oggi ascoltiamo nel Vangelo è una delle più belle e più conosciute, anche se il titolo tradizionale di "parabola del figlio prodigo (=dissipatore) non esprime il messaggio centrale. Se facciamo attenzione alla storia, notiamo che il personaggio centrale non è il figlio minore che se ne va da casa e neppure quello che vi rimane: è invece il padre di tutti e due. Subito dopo il breve inizio ("un padre aveva due figli"), la storia si snoda in due parti distinte e tra loro collegate. La prima segue le vicende del figlio minore; la seconda ci presenta il figlio maggiore alle prese con la storia del primo. In tutte e due le parti il padre esce di casa incontro ai figli: verso il minore, per accoglierlo, quando ritorna a casa in cerca di un po' di pane; verso il maggiore, per invitarlo a partecipare alla festa che ha deciso di fare per il ritorno del figlio minore. La conclusione di ciascuna delle due parti è costituita da una parola del padre: nel primo caso comanda ai servi di preparare la festa; nel secondo spiega al figlio maggiore perché era necessario fare festa per il ritorno di suo fratello. Al centro della storia dunque c'è il padre e il suo amore altrettanto autentico per ciascuno dei due figli, anche se si esprime in modi diversi. Nei loro confronti manifesta senza vergogna i suoi sentimenti e le sue convinzioni. Di fronte al figlio minore che ritorna (forse è un po' pentito, ma la storia non lascia dubbio che lo muove soprattutto la fame) si mette a correre, lo abbraccia, lo bacia, e fa preparare una festa. Non si preoccupa di verificare se quel figlio è pentito, se ha capito la lezione.... Il padre sente una grande gioia per il solo fatto che quel figlio ha deciso di ritornare alla casa paterna, e descrive questo fatto come una trasformazione decisiva: "era perduto ed è stato ritrovato, era morto ed è tornato in vita". Per il padre è così importante fare festa che non aspetta neppure il ritorno del figlio maggiore. E quando egli, ritornando a casa, scopra quanto sta accadendo, non vuole entrare in casa: non può ammettere che si faccia una festa così grande per quel figlio che ha rinnegato il padre, quando invece lui ha sempre obbedito senza mai fare festa. Al padre che esce a convincerlo presenta le motivazioni della sua decisione: come può il padre preparare una festa solenne per un figlio che lo ha quasi "ucciso", reclamando l'eredità in anticipo? E come può invece non concedere nulla al figlio maggiore che lo serve con tutte le attenzioni possibili? Ai suoi occhi il padre sta commettendo una grave ingiustizia. Il padre gli parla (ed è anche la conclusione della storia) con lo stesso affetto con cui ha accolto il figlio minore: gli spiega che tutto quello che è suo è anche del figlio. La festa che si sta facendo in casa - cerca di spiegargli il padre - non è una ricompensa per quello che il fratello ha fatto (meriterebbe semmai una punizione), ma è espressione della gioia che il padre sente per aver riavuto uno dei suoi figli (che è "tornato alla vita"). È una festa aperta a tutti i figli, che vedendo come agisce il padre, ricevono un insegnamento di fondamentale importanza per se e per gli altri: non c'è nessun figlio così lontano che il padre non desideri abbracciare di nuovo. La parabola si ferma alla spiegazione che il padre dà al figlio maggiore per la festa che si sta facendo in casa. Quel figlio avrà accolto le ragioni del padre e sarà entrato alla festa? Gesù racconta questa parabola agli scribi e farisei, che lo criticano per il fatto che mangia con i peccatori. Essi pensano: un maestro della legge dovrebbe sapere che ciò significa entrare in contatto con persone che sono lontane da Dio! Sono il fratello maggiore della parabola, che non riesce a capire e quindi ad accettare la gioia e il comportamento del padre. L'invito che il padre fa al figlio maggiore di comprendere le sue ragioni, è lo stesso che Gesù fa agli scribi per comprendere le ragioni per cui Egli mangia con i peccatori. Questo stesso invito fa l'evangelista Luca ai cristiani della sua comunità e del suo tempo (circa 40 anni dopo la morte e risurrezione di Gesù) e a noi oggi. A quale dei due figli assomigliamo di più? Ci impegniamo a vivere da buoni cristiani, partecipiamo alla messa; quando possiamo, offriamo un po' del nostro tempo e anche dei nostri beni per aiutare qualcuno. Ci sembra di amare sinceramente il Signore, ma è forte in noi la tendenza a criticare gli altri. Assomigliamo di più al figlio maggiore; anche noi abbiamo forse detto qualche volta a Dio: "io ti servo da tanto tempo, eppure sembra che sei più generoso con chi neppure di riconosce come padre". Anche a noi Dio dice: "figlio, tu sei sempre con me; tutto quello che è mio è tuo". E se la "conversione" della quaresima fosse proprio questa? Cioè dare più importanza al dono di essere figli amati, senza averne a male se Dio ama anche gli altri suoi figli, anche quelli che sembrano non riconoscerlo. Se la cosa più importante della nostra vita è sentirci amati da Dio, allora possiamo accettare che Lui non chiuda mai la porta della sua casa ai figli che vi ritornano. Conversione è vedere la vita non come un contratto con Dio, dove ciascuno riceve esattamente quello che merita, ma come un dono, dato a tutti gratuitamente. Conversione è non essere consumati dall'invidia per chi ci sembra amato senza meritarlo, ma essere pieni di gratitudine per l'amore ricevuto e sentire tristezza per chi non si apre all'amore di Dio. Se questa conversione avviene, allora accoglieremo l'invito del padre per il figlio maggiore. Ed Dio farà festa anche per noi, perché - non meno dei figli ritornati da lontano - eravamo lontani da lui, non avevamo ancora capito quanto ci amava, non avevamo ancora cominciato ad amare come lui. |