Omelia (30-03-2025) |
padre Gian Franco Scarpitta |
L' amore di una mamma in un padre misericordioso Se la volta scorsa la pazienza e la misericordia del Signore venivano metaforicamente paragonate all'ingenuità di un viticoltore che, pur senza successo, cerca in tutti i modi di rendere produttivo un fico sterile, nella giornata di oggi lo stesso amore divino di riconciliazione viene descritto in una forma più diretta e vivace attraverso la parabola di Gesù, che definiamo spesso "del figliol prodigo". In realtà il protagonismo non va attribuito al figlio maggiore e peraltro il termine "prodigo" è poco appropriato. La prodigalità indica generosità disinteressata e oltre misura, senza limitazioni. Cosa che invece non mostra questo giovane dissoluto di cui si parla nella parabola: piuttosto che prodigo, è dissoluto e sregolato. Il vero protagonista è piuttosto il padre, la cui pazienza, comprensione, sollecitudine e misericordia superano ogni aspettativa. La richiesta del figlio minore di avere "la parte che gli spetta", cioè l'eredità futura in anticipo è del tutto illegale: pena l'invalidità (Eb 9, 15 - 17) solo alla morte del padre il figlio minore poteva usufruire della parte di eredità che gli spettava. Essa all'epoca del racconto consisteva solo in un terzo del patrimonio complessivo, poiché due terzi spettavano al figlio primogenito. In ogni caso nessuno poteva fare uso della cifra o delle ricchezze di legittima spettanza fin quando il padre non fosse morto. Chiedere quindi al padre "dammi la parte che mi spetta" vuol dire considerare il genitore già defunto, oppure volere la morte di questo o ancora non riconoscerlo più come tale. Il che comportava una condanna che alcuni esegeti individuano nella lapidazione. Questo genitore paziente bonario fino all'inverosimile, omette di considerare i suoi diritti legali e di pretendere dal figlio che si ravveda e impari a stare a casa. Provvede alla divisione delle sostanze fra i due fratelli, senza considerare neppure il proprio usufrutto e lascia che il figlio minore, libero ed emancipato, si allontani da casa per godere della ricchezza finalmente ottenuta. Non si premura neppure di essere lungimirante, cioè di investire il suo patrimonio in modo redditizio onde potersi assicurare delle entrate future costanti. Non pensa ad esempio ad acquistare un terreno da fare coltivare o una casa da dare in affitto o a mettere su un'impresa o un'attività in modo da guadagnare magari ancora più denaro. Semplicemente si da' alle crapule e ai bagordi, vivendo da sregolato e scavezzacollo. Fin quando non rimane vittima del suo stesso errore. Una volta rimasto senza un soldo, si ritrova privo perfino del mantenimento necessario ed è costretto a fare ciò che mai avrebbe finora: cercare un lavoro anche servile e sottopagato pur di avere da mangiare. Ottenuto un impiego presso un mandriano di porci, ha invidia perfino di quegli animali che possono nutrirsi almeno delle ghiande. A lui nessuno da' nulla di cui nutrirsi. Probabilmente perché lui è un Giudeo in terra pagana, come dimostra il fatto che si trovi ad allevare i maiali, cosa inconsueta presso gli Ebrei ma in uso nel paganesimo. Oppure la sua fama di uomo dedito ai sollazzi e alle prostitute si era talmente estesa da non meritare più alcun riguardo e da perdere la dignità. Questa situazione, fuor di metafora, è quella delle illusioni di libertà e di emancipazione di cui il peccato rende l'uomo vittima inconsapevole. Vivere lontano dalla comunione con Dio, respingere la sua volontà di salvezza, confidare nel proprio libertinaggio e nella propria emancipazione, nei piaceri effimeri, nelle felicità passeggere e nelle soluzioni di comodo che il peccato sempre comporta vuol dire illudersi di vivere e smarrire se stessi. Il peccato è sempre facilissimo a compiersi, non è mai impegnativo e defatigante e non richiede alcuna virtù. In tutti i casi comporta la soddisfazione immediata, le vie piacevoli di successo e di felicità, la scelta del comodo e dell'effimero a dispetto dei sacrifici e delle perseveranze che la virtù comporta. E' molto più facile non pregare e non frequentare i sacramenti piuttosto che trovare il tempo adatto per la familiarità con Dio. E' molto più esaltante farsi alla menzogna e alla falsa testimonianza o alla falsità e doppiezza anziché coltivare la schiettezza e la sincerità, con tutte le difficoltà che queste comportano. E' molto più semplice denigrare o criticare gli altri, mancare di rispetto, spettegolare e omettere amore e carità piuttosto che trovare negli altri delle qualità da lodare o sforzarsi di individuare gli altrui bisogni onde potervi provvedere. E' più semplice darsi ai piaceri, ai vizi e cedere alle concupiscenze piuttosto che mortificare i propri sensi facendo prevalere la ragione sull'istinto passionale. Conculcare e opprimere i deboli e gli indifesi, depredare il prossimo, usare violenza e viltà è molto più comodo che usare buonsenso, umiltà e generosità. Ancora più semplice ma oltremodo vile e meschino Ma è proprio vero che il peccato realizza l'uomo e che lo rende libero? Il peccato è solo vanità, illusione, che rende l'uomo schiavo di se stesso e vittima della propria presunzione e tracotanza. E' la morte sotto mentite spoglie di vita apparente. Dio rispetta la libertà di scelta dell'uomo e lascia che l'uomo sperimenti quanto il peccato sia dannoso e deprimente perché ci si possa concentrare con convinzione nell'alternativa delle vie di Dio. Proprio questo ci impedisce la conversione a Dio: la mancata esperienza di quanto il peccato sia dannoso, dispersivo e pernicioso. Dio, alla pari di questo padre infinitamente paziente e benigno, ci lascia liberi di scegliere il male perché possiamo esperirne l'inconsistenza e l'infruttuosità di fondo. Ciononostante attende sempre il nostro ritorno alla comunione con sé, pronto a far festa quando un solo peccatore, al minimo cenno di pentimento, tenda a fare ritorno a lui, cioè a convertirsi. Esattamente come il parabolico padre di famiglia che, vedendo il figlio spuntare da lontano, non si domanda neppure se abbia considerato il suo errore o se si sia pentito o se adesso voglia avere rispetto per suo padre, ma si comporta come nessun genitore, per quanto buono e amorevole, si comporterebbe in casi simili a questi: gli corre incontro, lo bacia, lo abbraccia e ordina una festa per lui. Occorre anche considerare che in tutta questa vicenda è assente la figura della madre di famiglia. Eppure simili premure e attenzioni sono proprie della mamma più che di un padre. Evidentemente si vuole sottintendere che l'amore di Dio è configurabile anche a quello di una madre oltre che a quello di un padre. Dio per amore nostro può anche esser mamma (Papa Luciani). Dal canto suo il giovane forse, più che un pentimento sincero o un dolore del male commesso, coltiva in sè una malcelata volontà di approfittare della straordinaria bontà paterna: considera infatti che i salariati del padrone hanno pane in abbondanza: papà è generoso e bonario e se anche non mi accogliesse come figlio, collocandomi fra i servi mi darà da mangiare senz'altro. Ma l'amore di Dio supera le insulsaggini e le meschinità personali dell'uomo e sceglie la soluzione della gioia, della festa, dell'esultanza che suscita sempre il ritorno all'ovile di un errabondo. . |