Omelia (13-04-2025)
Paolo De Martino
Lo spettacolo dell'Amore

Siamo giunti al nucleo essenziale del messaggio evangelico: la passione e la morte di Gesù. In fondo, i vangeli possono essere considerati, come affermava M. Kähler, «racconti della passione con un'ampia premessa».
Il resoconto della passione secondo Luca rappresenta l'epilogo del lungo viaggio di Gesù, iniziato in Galilea e culminato a Gerusalemme.
Nel Vangelo di Luca, il racconto della passione assume toni meno drammatici rispetto agli altri evangelisti: perde la sua asprezza e l'aspetto scandaloso, per diventare un cammino sofferto ma necessario, da affrontare con pace interiore e fiducia. Luca attenua gli elementi più duri: i discepoli non fuggono nel momento della prova, ma si addormentano una sola volta per il dolore; un angelo consola Gesù nel Getsemani; non vi è menzione di falsi testimoni; Pilato tenta ripetutamente di assolverlo, riconoscendone l'innocenza; il dolore delle donne viene sottolineato; il popolo è commosso, e persino uno dei due malfattori mostra bontà.
È proprio Luca a riportare un gesto unico durante la passione: Gesù, pur arrestato, guarisce l'orecchio del servo ferito, un segno vivo della sua misericordia, che non viene meno nemmeno nel momento della cattura. In questo vangelo, Gesù resta profondamente attento agli altri, capace di compassione, perdono e comprensione, anche verso i suoi persecutori.
Fermiamoci allora a contemplare quello che Luca chiama lo "spettacolo della croce": lo spettacolo dell'amore. Entriamo in punta di piedi nelle sue ultime ore, cariche di silenzio, timore, dolore e tradimento. Sono i giorni della sofferenza di Gesù di Nazareth. Gli uomini riusciranno a cogliere il senso di questo sacrificio? O il Figlio di Dio finirà per essere solo uno tra tanti crocifissi dimenticati? Gesù non subisce la morte: la abbraccia liberamente, gioca la sua ultima possibilità, offrendo se stesso, fino in fondo - persino nella morte - come espressione suprema dell'amore di Dio.
Contraddizione
Nella Passione è raccontata una contraddizione. La folla che accoglie Gesù in maniera trionfale, entusiasta, che grida «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» (Lc 19,37) è la stessa che qualche giorno dopo grida, «crocifiggilo!». Perché raccontiamo questa contraddizione? Perché la Passione è animata da contraddizioni. Pietro dice di essere disposto a sacrificare la vita per il Signore, ma crollerà davanti alla domanda di una semplice serva. E i discepoli? Sono stati con lui notte e giorno per tre anni, ma nel momento più doloroso del Maestro si addormentano o scappano. Per non parlare di Giuda, uno dei dodici. Amico lettore, quando leggi i racconti della passione, non ci sono buoni e cattivi, ci siamo noi, con le nostre luci e le nostre ombre. Siamo noi i discepoli che scegliamo di stare dalla sua parte ma che a volte, sul più bello, scappiamo, tradiamo, e magari d'accordo con il Pilato di turno crocifiggiamo Gesù fuori da Gerusalemme, cioè lo mettiamo fuori dalla nostra esistenza. Solo se abbracciamo questa contraddizione, possiamo vivere bene la Pasqua, perché la celebrazione della Passione è la celebrazione di un grande fallimento, diventato poi una grande vittoria. Se accettiamo di essere contraddittori, falliti, allora possiamo dire da che parte vogliamo stare. Questa è stata la storia dei discepoli, perché questa è la storia di ogni discepolo.
Spettacolo
E' uno spettacolo, dice Luca. «Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo». Sì, lo spettacolo dell'amore, della passione di Dio per l'uomo. Il corpo straziato di Gesù di Nazareth è la trascrizione autentica del volto di Dio. Prima di andare avanti, amico lettore, ti chiedo: davvero vuoi un Dio così? Un Dio che non risolve i problemi, che lava con cura i piedi sporchi di chi lo sta per tradire, che non elimina il dolore ma lo condivide, che non ci salva "dalla" sofferenza ma "nella" sofferenza, che non ci salva "dalla" morte ma "nella" morte, che muore solo come un cane. Sicuro di volere un Dio così?
Le guarigioni, l'aver sfamato cinquemila persone, i miracoli non hanno evitato la condanna a morte. Si alza sempre il tiro con Dio, si alza sempre la posta.
Gesù, sale al calvario in mezzo alla folla distratta di Gerusalemme. Immagino il suo volto ricoperto di sangue che cerca di intravedere, sotto la corona di spine, qualcuno dei suoi dodici amici. Niente da fare. Troppa paura. E poi si aspettavano altro, una rivelazione potente, e invece... Non avevano compreso che Dio è onnipotente solo nell'amore.
Gesù non ce la fa più. L'ignaro Simone di Cirene è caricato della croce. Ci siamo, il corteo è arrivato sul luogo detto Cranio. A terra, gli sono conficcati chiodi lunghi venti centimetri, ai polsi e ai piedi: su quel legno termina la storia di Gesù di Nazareth. Satana torna per un'ultima provocazione: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». Lui resta lì perché la croce è la rivelazione definitiva della natura dell'Amore, di come funziona, di come si comporta.
La croce è lì a ricordarci che Dio è intervenuto (e continua a farlo ogni istante) nel male immergendosi fino in fondo, prendendolo su di sé, portandone tutte le conseguenze. L'ultima parola è per il Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» e poi il silenzio.
"Forse doveva andare così", avranno pensato i discepoli: il forte vince, il debole perde. Con la chiusura del sepolcro sono seppellite anche le speranze che Gesù aveva acceso nei loro cuori. I discepoli ancora non sanno che quel silenzio è quello prima della gioia, perché l'Amore non può marcire in un sepolcro.
Amore
Non è la sofferenza di Cristo che ci ha redento dal male, ma il suo amore, un amore giunto a dare la vita, fino alla morte di croce. Davanti al crocifisso non esclamiamo "quanto ha sofferto" ma "quanto ci ha amato". Come scrive san Paolo ai Galati, Cristo «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). La croce non è il segno della sofferenza di Dio, ma del suo amore.
È il segno della passione, della "sua" passione per noi.
Atteggiamenti
In questa settimana santa, ti propongo due atteggiamenti da tenere, amico lettore.
Il primo: siediti e ammira questo spettacolo dandoti del tempo. Fermati e contempla.
In Quaresima siamo noi i protagonisti (preghiere, sacrifici, penitenze), nella Passione il protagonista è Lui. Nella vita spesso ci chiediamo cosa possiamo fare per Dio, nella Passione contempliamo attoniti cosa Dio ha fatto per noi. Mettiti da parte e ripercorri gli ultimi istanti della vita del rabbi di Nazareth.
Il secondo: prova a vedere se ci sei nello spettacolo della Passione.
Uno spettacolo è fatto di attori protagonisti, di comparse, io credo che ci siamo tutti.
E tu? Che personaggio sei? Magari, in questo periodo, ti riconosci negli apostoli paurosi, in Giuda o in Pietro, nel centurione, nelle donne sotto la croce... Fermati a contemplare in silenzio e vedrai che ci sei, ci siamo davvero tutti.
Un'ultima avvertenza: se al racconto della Passione ti avvicini per "capire", ti scivolerà addosso inutilmente. Se desideri che incida sulla tua esistenza, permetti che scriva sul tuo corpo. Siamo stati amati con il corpo, e con il corpo dobbiamo amare.
La bella notizia di questa domenica? Gesù sceglie di morire per amore, per essere con me e come me, perché io possa essere con Lui e come Lui.

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