Omelia (13-04-2025) |
diac. Vito Calella |
Quattro motivi di speranza di fronte alla passione e alla morte di Gesù Nei Vangeli sinottici di Marco, Matteo e Luca, troviamo tre chiari annunci della passione, morte e risurrezione rivelati da Gesù ai suoi discepoli mentre viaggiava verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,22, 43b-45 e 18,31-33). Gesù, il Figlio dell'uomo, conosceva il destino di morte e risurrezione a lui riservato. Nel terzo annuncio, in poche parole, abbiamo un riassunto di tutta la storia della passione e della morte che ascoltiamo ogni anno nella Domenica delle Palme: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e si compirà tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo: verrà infatti consegnato ai pagani, verrà deriso e insultato, lo copriranno di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà» (Lc 18,31-33). Tra tutte le profezie scritte sul Figlio dell'uomo, che si sono realizzate nell'evento della passione, morte in croce e risurrezione di Gesù, in questa Domenica delle Palme spiccano le profezie del profeta Zaccaria e del secondo Isaia. Il secondo Isaia è l'autore del "Libro della consolazione" (Is 40-55). Questo libro contiene i quattro canti del "servo di Yahweh". In questi canti, il Messia, la cui venuta promessa sosteneva la speranza del popolo d'Israele, è presentato come un servo umile e sofferente (cfr. Is 42,1-9; 49,1-7; 50,4-9; 52,13-53,12). Questa domenica ascoltiamo il terzo cantico. In esso possiamo contemplare la resistenza del "servo di Jahvé" che fa la faccia dura come la pietra di fronte alle umiliazioni, agli sputi e alla violenza di chi vuole strappargli la barba. Il profeta Zaccaria aveva annunciato: «Danza di gioia, figlia di Sion, rallegrati, figlia di Gerusalemme, perché ora viene il tuo re, giusto e vittorioso. È povero, cavalca un'asina, un puledro d'asina» (Zac 9,9). L'asino, a differenza del cavallo, è l'immagine simbolica del servo che porta i carichi pesanti. Gesù volle salire su un asino per fare il suo ingresso a Gerusalemme, perché conosceva la profezia di Zaccaria. Gesù era consapevole che, nel corso della sua esistenza terrena, aveva fatto la scelta dell'umiltà, dello svuotamento del suo potere e della sua dignità di Figlio eterno di Dio Padre. La sua scelta fondamentale fu l'obbedienza alla volontà di Dio Padre, accettando la sfida di amare gratuitamente senza ricevere alcuna ricompensa immediata, pronto ad affrontare anche la grande prova della morte in croce. Possiamo contemplare il cammino di umiltà di Gesù nella prima parte dell'inno Cristologico di Fil 2,6-8 (seconda lettura). Oggi, Domenica delle Palme, la Parola di Dio ci invita a contemplare la passione e la morte in croce di nostro Signore Gesù Cristo. Domenica prossima, nel giorno di Pasqua, la nostra attenzione si concentrerà sull'evento della risurrezione, attraverso la scoperta della tomba vuota e le apparizioni del Cristo risuscitato alle donne e agli apostoli. Cosa significa sperare di fronte alla passione e alla morte di Gesù? La prima risposta è questa: sperare è credere che dopo una tragica esperienza di morte, c'è sempre la possibilità di un'esperienza di risurrezione. Dopo la morte di Gesù sulla croce, «Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre» (Fil 2,9-11). Non c'è morte senza risurrezione, così come non c'è risurrezione senza passare necessariamente attraverso la dura esperienza della morte. Ecco perché la seconda risposta è questa: sperare è credere che solo Dio può scrivere dritto sulle righe storte di tutto il male praticato dall'umanità. È impressionante rendersi conto che la passione e la morte di Gesù facevano parte del piano divino di salvezza di Dio Padre. Era necessario che Gesù sperimentasse nella sua corporeità vivente tutta la crudeltà della malvagità umana, tutta la forza distruttiva dell'egoismo umano, tutti i pesi insopportabili dell'ingiustizia e della mancanza di rispetto per la dignità umana. Per quanto possa sembrare incredibile, tutte le azioni egoistiche praticate dall'umanità trovano dolorosa ospitalità in Dio perché la morte di Gesù sulla croce fu un male, considerato «scandalo per i Giudei, stoltezza per i Greci» (cfr. 1 Cor 1,23). Quando facciamo il male, le nostre azioni malvagie ed egoistiche hanno un impatto negativo su di noi e su tutta la nostra rete di relazioni. Solo Dio ha il potere di trasformare un evento negativo di male in un'opportunità di nuova vita. Questo accade quando, nella dura prova della tentazione, facciamo la scelta di resistere e perseverare nella comunione con Gesù Cristo, nostro Signore, proprio come Gesù, che fece la scelta di resistere e perseverare nella comunione con Dio Padre, soprattutto nell'ora della tentazione e quando dovette affrontare i nemici del Regno di Dio. La terza risposta è dunque questa: sperare è perseverare nella comunione con Cristo come lui perseverava nella comunione con Dio Padre, soprattutto nell'ora della prova. Per l'evangelista Luca, la passione e la morte di Gesù rappresentano l'ora delle tenebre. Quando Gesù fu arrestato sul Monte degli Ulivi, disse: «Siete usciti con spade e bastoni, come se fossi un bandito? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai alzato una mano contro di me. Ma questa è la vostra ora e il potere delle tenebre» (Lc 22,52b-53). La passione è un tempo di prova e di tentazione, è un tempo in cui le forze diaboliche dell'egoismo umano vogliono annullare la potenza dell'amore gratuito di Dio. Per questo, all'inizio del racconto della cena pasquale, in Lc 22,3-4, l'evangelista Luca annota: «Allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era uno dei Dodici. Ed egli andò a trattare con i capi dei sacerdoti e i capi delle guardie sul modo di consegnarlo a loro». In Lc 22,31-32 Gesù avvertì Pietro: «Simone, Simone! Satana ha chiesto il permesso di vagliarti, come fa con il grano. Ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». Nel monte degli ulivi, Gesù, vedendo i suoi discepoli dormire così tristemente, chiese loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22,46). La grande tentazione di Gesù, al momento della sua passione e morte in croce, fu stata quella di pensare che Dio Padre lo avesse abbandonato, avendo rotto il rapporto di comunione e di fiducia. Ma la sua ultima preghiera prima di morire non fu quella del Salmo 22,1, che gridava l'abbandono di Dio, bensì quella del Salmo 30,6, che rinnovava il suo abbandono fiducioso a Dio Padre: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (Lc 23,46). Morendo in comunione con Dio Padre, Gesù confidava che quell'abbandono fiducioso in Dio Padre fosse la forza della vita eterna che lo avrebbe salvato dall'abisso della morte. E così fu. Prima di morire, volle offrire a tutta l'umanità questa forza liberatrice e vivificante della sua comunione con Dio Padre attraverso il perdono e il dono dello Spirito Santo. Ecco perché la quarta risposta è questa: sperare è sentire il potere liberatorio e vivificante del perdono e dell'azione dello Spirito Santo in noi. Solo nel racconto di Luca della passione e morte possiamo contemplare la grande speranza di redenzione e di vita nuova offerta da Gesù ai responsabili della sua morte ingiusta: «Padre, perdona loro! Non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Questa speranza fu donata a uno dei due malfattori, che riconobbe la sua colpa e chiese di essere ricordato nell'aldilà. Ma Gesù gli disse: «In verità ti dico che oggi sarai con me in Paradiso» (Lc 23,43). La fiamma viva della speranza non si spegne quando contempliamo la passione e la morte di Gesù. Facendo nostre le parole del Salmo 22, vogliamo andare oltre quel grido disperato: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22,1). Vogliamo rinnovare la nostra comunione con Gesù nel sacramento dell'Eucaristia, scegliendo di «temere il Signore, Dio Padre, lodandolo e glorificandolo», perché il nostro abbandono umile e fiducioso in Gesù Cristo si basa sulla volontà di Dio Padre di volere la salvezza di tutti attraverso la sua morte e risurrezione. Vogliamo avere il coraggio di «proclamare la potenza liberatrice del nome di Gesù, inginocchiandoci davanti a questo santo nome», perché solo in lui riponiamo tutta la nostra speranza (cfr. Sal 22,23-24 e Fil 2,10-11). |