Omelia (13-04-2025)
padre Gian Franco Scarpitta
Persisterà la vita

Si tendono in alto palme e rami d'ulivo perché vengano aspersi di acqua benedetta in questo giorno speciale, in cui si respira aria di festa e di contentezza. E in effetti si rievoca l'esultanza del popolo di Gerusalemme, che all'incedere di Gesù che vi fa ingresso, a lui si rivolge con atti di tripudio e di esultanza, quali si addicevano all'epoca agli imperatori o ai generali dell'esercito che rientravano dopo una vittoria sul nemico. Ad essi si lanciavano palme in segno di approvazione e di ammirazione e man mano che passavano si stendevano mantelli. Anche il nostro ostentare le palme e i rami verso l'acqua benedetta e i reciproci omaggi che con gli stessi elementi ci scambiamo l'un l'altro, vogliono esaltare la vittoria dello stesso Signore sul male e sulla morte, il suo trionfo sul peccato e l'avvento del suo Regno di Giustizia e di pace.
La Bibbia, nel libro della Genesi, ci ricorda il ramoscello di ulivo che una colomba recava a Noè mentre questi soggiornava nell'arca imperversando sulla terra il terribile diluvio. In quella circostanza si riscontrava che le acque imponenti avevano cessato di sommergere le sommità più alte della vegetazione, che si stavano di volta in volta ritirando e di lì a poco avrebbero lasciato lo spazio all'asciutto. Il ramo di ulivo era quindi un annuncio della salvezza. Ma anche adesso sta assumendo il medesimo significato: il ramo di ulivo è infatti simbolo di esaltazione di colui che Regna, esercitando il suo dominio tuttavia non nella preponderanza o nell'autoaffermazione ma piuttosto donando se stesso in riscatto per l'umanità, realizzando la dimensione di servizio e di spontanea abnegazione nei confronti dell'uomo che avrà il suo culmine nella crocifissione.

Durante la celebrazione però prendiamo atto che non c'è solamente un evento festoso nella nostra associazione alla città di Gerusalemme. In questa Domenica infatti si da' lettura del Vangelo come mai si è soliti fare durante l'anno: un'esposizione dettagliata che coinvolge più persone oltre al celebrante che presiede l'Eucarestia. Si descrive il percorso di Gesù dalla porta della Città fino alla stanza dove consuma la cena di commiato, fino all'Orto degli Ulivi, quindi al luogo detto Cranio, dove viene crocifisso. Ci si immedesima in ciascuna di quelle tappe con considerazione e con orrore e guarda caso, la voce "f" che declama "Crocifiggilo, crocifiggilo", la pronunciamo tutti insieme in chiesa. Si racconta della folla di popolo che, interpellata da Pilato, vuole libero Barabba e messo a morte Gesù, ma in fon dei conti siamo anche noi a declamare il "crucifige" perché siamo noi tutti insieme, sebbene fedeli convenuti in un luogo sacro, a crocifiggere ogni volta il Signore con i nostri peccati. Certamente in questa Domenica ci associamo alla passione del nostro Redentore, tuttavia omettiamo di considerare che anche noi in un certo qual modo lo rinneghiamo come Pietro e nel peccato gli usiamo deprezzamento e distacco, riverberando così il dolore passionale del suo patibolo.
Gesù, nostro Salvatore e Redentore, non si sottrae alle percosse e ai chiodi acuminati che trafiggono le sue membra. E ancor prima, non oppone resistenza alle accuse infamanti che gli si rivolgono e neppure si appella ai suoi diritti di chiamare in causa l'imperatore quando Pilato, spinto dalle incitazioni della turba, sentenzia per lui la condanna alla crocifissione. Secondo le leggi vigenti dell'Impero Romano allora dominante, infatti, era possibile mettere a morte solo gli eversivi, i sovversivi e gli assassini; le motivazioni del Sinedrio e delle autorità giudaiche non avevano valore, anche perché fondamentalmente erano di carattere religioso ("Si è fatto Figlio di Dio", "Voleva distruggere il tempio") e comunque non comprovavano atti di sedizione o di rivolta nazionalistica. Eppure Pilato, venendo meno al suo dovere di procuratore, soddisfa le istanze dei Giudei, approvando la morte di un innocente e liberando, appunto illegalmente un assassino. E così Gesù, già nella sua condanna a morte, riscatta un malfattore dalla morte. Come dirà Pietro, viene ucciso lui che è "autore della vita" mentre viene concessa la vita a un assassino. Gesù insomma rimane inerme quando potrebbe ben scagionarsi o difendersi, perché se ha voluto graziare un assassino non può che dare la vita a tutti noi, nel suo personale passaggio dalla morte alla vita. Ci dona vita per sempre, mentre con il peccato preferiamo vivere da morti la vita.