Omelia (17-04-2025) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La Cena dell'Amore Consumare un pasto insieme era per gli Ebrei un atto di reciproca accettazione e di accoglienza, un modo di realizzare e di vivere la comunione e l'intesa. Durante certi conviti si concludevano anche degli accordi e si conveniva a impostare affari o interessi specifici. Si concretavano patti e alleanze. Anche per Gesù, che raccoglie i suoi discepoli in una cena di commiato poco prima di essere catturato e condotto di peso ai tribunali, in questa Cena avviene la nuova ed terna alleanza fra Dio e l'uomo, che tuttavia si distacca da quelle precedenti. Essa è innanzitutto la Cena dell'amore: Gesù si dona ai suoi discepoli senza retorica e con piena consapevolezza e abnegazione. Lo stesso spezzare il pane, tipico atto del padre di famiglia durante il pasto a casa, equivale a "ripartire se stesso ai suoi" (Ratzinger), a fare dono di se stesso e a donarsi interamente e senza riserve. In questo atto Gesù esterna di amare i suoi fino all'estremo, di un amore speculare di quello che lui stesso vive con il Padre in forza dello Spirito Santo. Di fatto, per mezzo di Cristo noi siamo resi partecipi di codesto amore trinitario. Specialmente poi se questo dono diventa alimento, pane di vita e farmaco di immortalità. Gesù prende in mano dei pane e poi terminata la Cena, del vino. Pronuncia sill'uno e sull'altro delle parole destinate non soltanto a divenire memorabili, ma anche a diventare per sempre memoriale di celebrazione. Con l'espressione "Questo è il mio Corpo" che significa esattamente "Questo sono io" Gesù dice che in quel preciso istante il pane che ha fra le mani non è più pane, ma è appunto il suo Corpo, la sua identità di carne, sangue, anima e divinità che tutti si è invitati a consumare per avere la vita. Lo stesso Corpo di Gesù che fra poco sarà esposto al ludibrio, alle vessazioni, alle torture e ai chiodi lancinanti della croce. Terminata la Cena, prende del vino contenuto in un calice, lo distribuisce ai suoi discepoli dicendo con chiarezza "Bevetene tutti, perché questo è il mio Sangue dell'alleanza versato per molti (non per tutti) in remissione dei peccati."(Mt 26, 26 - 28). E così si realizza durante un pasto un'alleanza fondata sull'amore e sul dono di sè. Alleanza che avviene nel Sangue, quello che Gesù presenta nelle sembianze di vino, ma che è esattamente lo stesso sangue che sta per effondere sulla croce. Come il sangue delle vittime animali aveva carattere espiativo per il popolo ebraico, specialmente nel Grande Giorno del Perdono dei peccati (Yom Kippur) così adesso il Sangue di Cristo, vittima innocente come Agnello votato al macello (Is 52 - 52) ci riscatterà dalle nostre colpe, realizzando così il nuovo patto fra Dio e gli uomini. .Un'alleanza della quale solo Dio è capace appunto perché nella croce del suo Figlio egli mette a morte se stesso per il riscatto degli uomini. Ratzinger dice che i soli segni del pane e del vino non fanno l'Eucarestia, essa è infatti un preambolo della passione e della morte per a resurrezione e la cena non avrebbe valore se Cristo davvero non avesse consegnato se stesso ai suoi carnefici. "Fate questo in memoria di me": siamo invitati a perpetuare, fino a quando non si compiranno i nostri giorni, lo stesso Sacrificio che Cristo realizzerà sulla croce e che viene adesso adombrato nelle specie del pane e del vino, che diventano il suo Corpo e il suo Sangue. Già Gesù aveva definito se stesso come "pane vivo disceso dal Cielo" e aveva invitato i suoi a "mangiare la sua carne e bere il suo sangue". L'Eucarestia diventa così l'elemento portante e irrinunciabile della vita cristiana, il luogo in cui è possibile usufruire in ogni momento dei benefici di salvezza offerti dalla stessa croce di Cristo; il luogo della presenza perenne, reale e sostanziale, del nostro Salvatore, il centro della vita cristiana e il luogo che motiva qualsiasi azione pastorale o attività. Un atto di amore al quale si affianca quell'altro, semplice ma allusivo della lavanda dei piedi ai discepoli. Lavare i piedi era proprio degli schiavi e degli inservienti e proprio come un servo, anzi come uno chiavo, Gesù si china a lavarli a ciascuno dei suoi discepoli, per esprimere concretamente la profondità dell'amore di autodonazione e di accoglienza. Un autore a me ignoto diceva che sotto la pianta dei piedi della gente vi è l'impronta della strada che hanno percorso; potremmo aggiungere che Gesù in questo lavacro accoglie quindi anche i percorsi della loro vita, la loro storia, la loro identità e la loro vicenda di appartenere a lui adesso come non mai. Nella lavanda purifica le devianze che questi percorsi di vita hanno subito, estingue la putredine dei luoghi inopportuni che hanno raggiunto, lava il sordido dei passi che hanno fatto per compiere azioni insane o atti inappropriati. Il pediluvio di Gesù abilita così gli apostoli a nuovi sentieri percorribili in forza del suo amore, aprendo in loro rinnovata speranza e motivando fiducia e carità. "Come ho fatto io, cosi fate anche voi." Nello stesso amore di cui siamo stati resi destinatari, occorre che perseveriamo perché non si banalizzi il dono che Dio in Gesù ci ha fatto di se stesso, perché non si estingua il rigore della carità che deve diventare il distintivo della nostra scelta cristiana. La scelta dell'amore eloquente. |