Omelia (20-04-2025)
padre Gian Franco Scarpitta
Giorno di gioia e di luce che rischiara

Come direbbe il profeta Isaia, "il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse"(Is 9,1).
Questa mattina si celebra infatti la lucentezza, il fulgore, il baluginare di quella luce che non è talmente forte da abbacinare e da impedire la vista, ma che tuttavia dirada le tenebre e che consente di vederci chiaro, cioè di percepire la verità intorno alle giornate che abbiamo celebrato. Stiamo celebrando infatti non semplicemente il recupero delle attività organiche e cerebrali di un cadavere che si è riabilitato, quale potrebbe accadere per un errore di valutazione critica, ma la Resurrezione del Figlio di Dio, Gesù Cristo, Salvatore, che aveva affrontato il deprezzamento, l'umiliazione, l'ingiuria, l'abbandono, la crocifissione e finalmente la morte e il sepolcro. Cristo non aveva tralasciato alcuna delle tappe dell'umanità dalla sua incarnazione fino al Calvario; anche le esperienze più deprimenti del vissuto umano, le aveva fatte sue e si era caricato sulle spalle ogni fardello della nostra povera umanità. Aveva anzi scelto fin dall'infanzia l'umanità più povera, sottomessa e abbandonata e nulla di ciò che è umano, a parte il peccato, gli era stato estraneo (Terenzio). Neppure l'esperienza della condanna a morte poteva essere esclusa quindi dalla sua prospettiva. Oggi, appunto la sua Resurrezione dai morti ci fa lume, ci orienta sul fatto che per lui affrontare la morte era necessario appunto per sconfiggere la morte e per dominarla, ai fini di vivere per sempre egli stesso e donare la vita. E' questa la verità che rischiara i nostri occhi: la croce è stata necessaria per guadagnare la vita ed è tuttora necessaria nella nostra vita perché sia degna di essere vissuta. Anzi,, la croce è necessaria perché ci sia il continuo passaggio dalla morte alla vita. I Discepoli di Gesù avrebbero dovuto "aprire gli occhi" già ancor prima che questo fenomeno si realizzasse perché il Mastro lo aveva detto loro, anche il ragione delle Scritture: era necessario che il Figlio dell'Uomo fosse perseguitato, riprovato, vilipeso, ucciso per poi resuscitare (Mc 8, 31; Mt 16, 20 - 22), era previsto dai programmi salvifici del Padre che sua "ora" giungesse con l'impero delle tenebre che lo avrebbero sovrastato, era normalissimo che reagisse inerme e privo di mordente alle percosse e alle umiliazioni senza avanzare i suoi diritti di difesa davanti a Pilato, perché tutto questo lo avrebbe portato alla resurrezione, cioè alla sconfitta definitiva della morte e al trionfo indomito dell'amore. Giovanni invece lascia intuire che "l'altro discepolo" che accompagnava Pietro credette solo dopo essere giunto al sepolcro e aver constatato di persona. Successive apparizioni di Gesù che verranno descritte confermano che solo dopo, a cose fatte, i discepoli furono radicati in questo asserto di fede ma che prima probabilmente avevano considerato la morte di Gesù come una sconfitta, un fallimento. Adesso la verità è giunta nella sua luce e nel suo splendore e loro ne saranno testimoni dal giorno di Pentecoste in poi quando, Pietro in primis assieme a Giacomo, annunceranno ai Giudei che quel Cristo che loro avevano crocifisso Dio lo ha risuscitato elevandolo a Signore e Cristo(At 2, 36). La resurrezione è l'oggetto principale dell'annuncio apostolico (Kerigma) che instancabilmente gli apostoli hanno diffuso in tutto il mondo con la loro testimonianza ancora prima che con la parola annunciata e scritta. E' la notizia lieta che si è diffusa nei secoli successivi e che è pervenuta fino ai nostri giorni e che fonda le ragioni della nostra speranza e della nostra fede, non importa quanto la Chiesa nel frattempo si sia deturpata o macchiata di misfatti. Qualunque atteggiamento avessimo assunto in passato, qualsiasi condotta possiamo vivere al presente, qualsiasi obiezione possa esserci rivolta, l'annuncio veritiero di gioia e di salvezza è sempre quello: Gesù è risuscitato dai morti e vive per sempre. Anche noi che siamo radicati in lui siamo destinati a vivere sempre, sia al presente, da uomini realizzati e formati, sia nella dimensione futura del paradiso che lui ci ha promesso e verso la quale ci conduce..
Se Cristo non fosse risorto, non avremmo conosciuto nulla di lui, non avremmo neppure avuto l'idea stessa di Dio, non avremmo avuto la Chiesa che si è formata sugli apostoli persistendo nel martirio degli stessi e di altri, non avremmo avuto le ragioni della nostra esistenza. Se si scoprisse che Cristo non è risorto perfino l'economia e la finanza mondiale subirebbe un collasso, le nostre relazioni sociali si tramuterebbero e gli ideali di vita, che in fondo procedono tutti dal cristianesimo, sarebbero già deperiti. Chissà... se Cristo non fosse risorto forse non avremmo a disposizione la civiltà stessa o la cultura nella quale ci siamo formati e persistiamo. Paolo compendia ogni concetto proclamando: "Se non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, vana è la nostra predicazione, vana è la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo... se Cristo non è risorto è vana la vostra fede e voi siete nei vostri peccati"(1Cor 15, 13 - 18). Invece Cristo è risorto dai morti perché anche noi guadagnassimo la vita risuscitando con lui ad ogni esperienza di croce rappresentata dal dolore, dalla prova, dalle ingiustizie. E' risorto perché noi oggi possiamo impostare nuovi criteri di vita e maturare nuove possibilità innovative. E' risorto perché l'uomo, seppure immeritevole, non merita di essere abbandonato a se stesso, ma dev'essere condotto verso la vita piena nel tempo presente e guadagnare al futuro l'eternità.
Rifulsi di luce rischiarante, occorre però che guardiamo costantemente questa verità di fede, che la coltiviamo, che vi persistiamo nonostante la controtendenza comune a volercene distogliere. Occorre cioè che accantoniamo il peccato dalla nostra vita, in quanto in esso vi è la persistenza della morte nonché la scelta di non voler vivere da risorti. Occorre che non ci lasciamo deviare dalla mentalità di questo secolo di dottrine perverse, mode, costumi peregrini (Rm 12, 2) propria quindi della cultura della morte. Vivere in Cristo via, verità e vita e considerare spazzatura tutto resto (Fil 3, 8) è determinate per fare nostro il passaggio dalla morte alla vita. Cioè la Pasqua di Resurrezione e la vita per sempre.

AUGURI A TUTTI DI FELICE GIOIA PASQUALE