Omelia (27-06-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Giovanni 19,31-37 Dopo la morte di Gesù l'evangelista riporta una scena originalissima nella quale il Cristo è presentato come l'agnello pasquale che doveva essere immolato senza fratture. Data l'imminenza della festa di Pasqua i giudei si preoccupano di osservare la legge che prescrive la rimozione dei cadaveri dei giustiziati prima della sera (Dt 21,22-23); tanto più questo precetto doveva essere rispettato in occasione della Pasqua. Per tale ragione i capi si premurarono di non lasciare i corpi dei condannati sulla croce nel giorno di quel sabato solenne e pensarono di accelerare loro la morte con la frattura delle gambe. Questa crudeltà doveva servire ad accorciare l'agonia dei crocifissi, i quali, non potendo più far leva sui piedi per respirare, sarebbero morti soffocati. I giudei perciò si rivolsero a Pilato per ottenere la frattura delle gambe dei condannati per farli morire subito e così deporli dalla croce prima del tramonto del sole, cioè prima che iniziasse la solennità della Pasqua. I soldati romani vennero sul Calvario e spezzarono le gambe ai due crocifissi con Gesù, ma "venuti da Gesù, come videro che egli era già morto, non gli spezzarono le gambe" (v.33). Così il Cristo è presentato come l'agnello pasquale al quale non doveva essere rotto alcun osso (v.36). E questo avvenne nella stessa ora in cui nel tempio di Gerusalemme si immolavano gli agnelli pasquali. A questo punto della narrazione Giovanni rileva un dettaglio al quale annette grande importanza: "Uno dei soldati con una lancia colpì il suo fianco e subito ne uscì sangue e acqua" (v.34). Come abbiamo constatato a più riprese nel vangelo secondo Giovanni, l'acqua viva o corrente donata dal Cristo, simboleggia il sacramento dell'Eucaristia (Gv 6,53ss). Perciò il Cristo crocifisso viene presentato come la fonte della vita eterna e della salvezza, in quanto rivelatore perfetto dell'amore di Dio e autore del sacramento dell'Eucaristia. L'evangelista si presenta lungo tutto il vangelo come testimone diretto di tutti gli eventi che narra, ma qui, nel v. 35, ribadisce che la sua testimonianza è verace. L'appello alla veracità della testimonianza di chi ha visto, vuole inculcare la storicità della scena del versamento del sangue e dell'acqua dal fianco del Cristo crocifisso e favorire la fede dei lettori del suo vangelo. La contemplazione della rivelazione suprema dell'amore di Gesù sulla croce, con il costato trafitto, immolato come l'agnello pasquale, suscita la fede esistenziale che si concretizza in un contraccambio d'amore. Se i segni operati da Gesù devono favorire la fede in lui, Messia e Figlio di Dio (Gv 20,30-31), a maggior ragione il segno supremo della carità di Cristo, con il petto squarciato, deve invitare a credere esistenzialmente nella sua persona divina, perché gli eventi descritti in questa scena adempiono la Scrittura (v.36). Perciò l'adempimento dell'Antico Testamento nella vita di Gesù costituisce un argomento a favore della fede nel Cristo, Figlio di Dio, perché in tal modo è mostrato che egli è il personaggio predetto dai profeti, che riempie di sé tutta la Bibbia. Gli oracoli dell'Antico Testamento realizzati nella scena del colpo di lancia sono due: il primo concerne l'agnello pasquale, il secondo il personaggio messianico trafitto. Nella Bibbia era prescritto che l'agnello pasquale dovesse essere immolato senza frattura di ossa (Es 12,46; Nm 9,12). Ora con la sua morte Gesù ha adempiuto anche questo dettaglio della Scrittura (vv.32.36). Il colpo di lancia con il quale Cristo fu trafitto ha realizzato un altro passo biblico, quello di Zaccaria 12,10 nel quale si parla dello sguardo a colui che hanno trafitto. Evidentemente lo sguardo al crocifisso trafitto è lo sguardo della fede, simile a quello rivolto al serpente di bronzo (Gv 3,14-15). |