Omelia (12-03-2006)
mons. Antonio Riboldi
Chi è Gesù per me?

C'è una domanda, che è fondamentale per ogni uomo, e chiede una risposta che non si può assolutamente eludere. Ossia quale posto ha Gesù, Figlio di Dio nella nostra vita.
Oggi, tempo di Quaresima, la Chiesa sembra voglia togliere il velo alle nostre incertezze o svegliare il nostro pericoloso sonno sulla ragione stessa, sul valore, sul futuro della nostra esistenza.
Gesù sta avviandosi lentamente verso Gerusalemme, e tutti sappiamo che questo non è un viaggio qualsiasi dei tanti che Lui faceva, ma significa, nel Vangelo, avviarsi verso la sommità dell'amore: un amore che si fa sacrificio totale sulla croce.
Gesù sapeva che quanti Lo seguivano non avevano idee chiare su di Lui. Non riuscivano a capire quel figlio dell'uomo, di una umiltà che faceva piazza pulita di ogni fantasia di grandezza sulla terra.
Noi uomini tante volte identifichiamo i "vari messia" negli uomini che, in qualche modo, quando sono onesti, possono tracciare un cammino di giustizia e pace, ma "qui sulla terra", dove tutto inesorabilmente ha termine, come l'uomo "polvere", che "in polvere tornerà".
Ma Gesù è il Figlio di Dio. Dio ha voluto si vestisse della nostra umanità, che era davvero senza futuro e quindi senza ragione di vita, per ridare senso e gioia alla vita. Ha sempre ragione il proverbio saggio che dice: "posso anche non sapere perché vivo, ma non posso vivere senza sapere chi mi ama".
E Gesù ha risposto a questa domanda sulla croce...anche se, dopo tanti secoli, pare che l'uomo non abbia capito o non voglia capire questo dono.
Ed ecco che per aiutare i suoi a entrare nel mistero dell'amore, che si compirà sulla croce con la resurrezione, si mostra, per quello che è, nella trasfigurazione. "Si trasfigurò davanti a loro, racconta Marco, e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra poteva renderle più bianche. E apparve Elia con Mosé e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro è bello per noi stare qui, facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia". Non sapeva che cosa dire poiché erano stati oppressi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo!" E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù, solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto: se non dopo che il figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti" (Mc 9,1-9).
Oggi tutti siamo chiamati a interrogarci, nell'austerità della Quaresima, chi è Gesù per noi? "Se io domandessi - diceva il grande Paolo VI agli uomini del nostro tempo - chi ritenete che sia Cristo Gesù? Come lo pensate? Ditemi: chi è il Signore? Chi è questo Gesù che noi andiamo predicando da tanti secoli e che riteniamo sia ancora più necessario della nostra vita annunciarlo alle anime? Chi è Gesù?
Alla domanda molti non rispondono, non sanno che dire. Esiste come una "nube" - come sul Tabor - questa sì è opaca e pesante di ignoranza su tanti intelletti. Si ha una vaga cognizione del Cristo, non lo si conosce bene, si cerca anzi di respingerLo. Al punto che all'offerta del Signore di voler essere per tutti guida e maestro, si risponde di non aver bisogno e si preferisce tenerlo lontano...vogliono come annullarlo e toglierLo dalla faccia della civiltà moderna. Non c'è posto per Dio, né per la religione; si affannano a cancellare il suo nome e la sua presenza. Tale è il contenuto di tutto questo laicismo sfrenato che talvolta incalza fino alle porte delle nostre chiese e che in tanti Paesi, ancor oggi, infierisce. Non si vuole più l'immagine di Cristo".
E rivolgendosi a noi, Paolo VI così ci interroga, seriamente, con una domanda che dobbiamo porre al centro della nostra Quaresima. "Ma noi, che abbiamo questo dolcissimo e grandissimo nome da ripetere a noi stessi; noi che diciamo di credere in Cristo: noi, almeno noi, sappiamo bene chi è? Sapremo chiamarLo: Maestro, Pastore, invocarLo quale luce dell'anima e ripeterGli: Tu sei il nostro Salvatore? Sentire cioè che Egli ci è necessario e noi non possiamo fare a meno di Lui: è la nostra fortuna, la nostra gioia e felicità, promessa e speranza; la nostra via, verità e vita?" Fanno davvero riflettere queste domande.
E' facile imbattersi in persone che si illuminano nel parlare di "gente celebre, per arte, spettacolo, sport", come questi fossero il loro "messia" seppur "effimero", eppure basta a volte un piccolo incidente e la "trasfigurazione" finisce, come fossero mai esistiti. Ma Gesù, no. Sa che la debolezza umana, posta davanti alle prove, può oscurare la fede in Lui.
Come avvenne nella sua passione, quando si vide abbandonato da tutti, tranne che dalla Mamma, dal fedele Giovanni, che Lui amava, e dalle pie donne. Quando si ama veramente, nulla può staccarci da chi si ama. Basta pensare a tanti fratelli e sorelle colpiti da malattie che fanno temere della loro vita. Non si fugge da loro, ma anzi ci si fa vicini ancora di più...anche oltre la morte, che a volte sublima l'amore. Direi che la sofferenza avvicina di più, mette alla prova "quanto" si ama. Chi di noi non ha incontrato persone che avrebbero potuto conoscere la disperazione ed invece, a guardarli bene negli occhi, sembrava apparire una dolcezza, come se fossero sul Tabor. Gesù si era fatto più vicino.
E' impressionante e meraviglioso il racconto, che oggi ci viene offerte dalla Chiesa, di Abramo. "In quei giorni Dio mise alla prova Abramo e gli disse: "Abramo, Abramo!" Rispose "Eccomi!" Riprese: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, e và nel territorio di Morìa e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò". Essi arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato: qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna. Poi stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: "Abramo, Abramo!!" Rispose: "Eccomi!" L'angelo disse: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio". Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto, invece del figlio" (Gen 22,1-18).
Non si può che rimanere stupiti di fronte a questo episodio, da cui emerge una fede, quella di Abramo, che davvero è sconfinata. Alla domanda di Dio di sacrificare suo figlio, dice solo "Eccomi". Ben diverso da tutte le nostre divagazioni sulle prove che Dio manda per provare la nostra fede. Ci sentiamo addosso una fede di pochi spiccioli, pronta a sbriciolarsi davanti alla prima difficoltà. E Dio vuole invece una fede senza misura.
Chiude il suo discorso, Paolo VI, sulla trasfigurazione così: "I tre Apostoli, sul monte, sono rimasti a fissare la visione; ed hanno notato la trasparenza: nella persona di Gesù c'è un'altra vita, c'è un'altra natura, oltre quella umana, la natura divina. Gesù è un tabernacolo in moto: è l'uomo che porta dentro di sé l'ampiezza del cielo: è il Figlio di Dio fatto uomo: è il miracolo che passa sui sentieri della nostra terra. Gesù è davvero l'unico, il buono, il santo. Se potessimo incontraLo anche noi, saremmo davvero privilegiati, come Pietro Giacomo e Giovanni" (discorso di Paolo VI nella Quaresima del 1965).
Una aspirazione, quella di Paolo VI, che è nel cuore di tanti che vivono sulla terra tra di noi e "quasi vedono Gesù". E in me, in voi amici, almeno in questa Quaresima, c'è il desiderio di provare lo stupore dei tre apostoli e di dire: "Facciamo qui una tenda" per te? Ma questa tenda c'è: ed è nelle nostre Chiese, nel Tabernacolo.
Una delle pratiche che aiutano a stare con Gesù, è la Via Crucis, che spero rimanga in tutte le nostre parrocchie. Ci aiuti la riflessione del S. Padre, che fece nella Via Crucis dello scorso anno, a pochi giorni dalla morte di Giovanni Paolo II. Commenta così l'ultima stazione: "Gesù disonorato e oltraggiato viene deposto con tutti gli onori nel sepolcro nuovo. Nicodemo porta una mistura di mirra e di aloe di cento libbre destinata a emanare un prezioso profumo...Bisogna ricordare le parole di S. Paolo su Dio, che effonde per mezzo nostro il profumo della conoscenza di Cristo nel mondo intero. Noi infatti siamo...il profumo di Cristo" (2Cor 2,14).
Nella purificazione delle ideologie, la nostra fede dovrebbe essere il nuovo profumo che porta sulle tracce della vita. Nel momento della deposizione comincia a realizzarsi la parola di Gesù Cristo: "In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, ma se muore produce molto frutto" (XIV Stazione).
Davvero è una meditazione seria, che coinvolge la nostra vita o almeno dovrebbe coinvolgerla, quella che ci offre la Chiesa oggi. Ci faremo coinvolgere?
Me lo auguro, perché anche per noi Pasqua sia resurrezione a vita nuova con Cristo.