Omelia (19-03-2006) |
Agenzia SIR |
Commento Giovanni 2,13-25 Era la legge a legare il popolo di Israele a Dio nell'Antica Alleanza, le dieci parole, scolpite sulla pietra e date a Mosè sul monte Sinai. Nei dieci comandamenti sono regolati i rapporti con Dio (linea verticale) e con il prossimo (linea orizzontale). Il dono della libertà. Molti di noi hanno appreso sin dall'infanzia i dieci comandamenti. Li hanno anche imparati a memoria. Qualche volta abbiamo pure pensato che siano un po' ingombranti e che limitino, in qualche modo, la nostra volontà. Il che è anche vero, quando ci farebbe comodo prendere a criterio di vita il nostro capriccio. Mentre, a pensarci bene, i dieci comandamenti sono un dono per la nostra libertà. Altrimenti saremmo tutti vittime delle nostre passioni o ambizioni, spesso disordinate. Le dieci parole date a Mosè stabiliscono prima i nostri giusti rapporti con Dio, in secondo luogo regolano le relazioni con il nostro prossimo: dal rispetto alla vita, alla famiglia, alla proprietà, alla fedeltà alla parola data... Spesso si dice che la religione non ha da fare con la politica, eppure si deve riconoscere ai dieci comandamenti la solida base per conseguire un ordine sociale, degno di ogni persona umana. Un tempio da distruggere. Dio ha tanto amato il mondo – ha scritto l'apostolo Giovanni – da dare il suo Figlio unigenito. Prima aveva dato in dono a Mosè una legge da osservare, poi ha dato al mondo un Figlio da amare e da ascoltare. Ma anche un Figlio da uccidere. Nell'Antico Testamento si custodiva nel tempio la presenza di Dio. Ora Gesù dice di sé: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Usa proprio questo termine, non ricostruire, ma risorgere, poiché parla del suo corpo e della risurrezione. I suoi avversari si stupiscono e non comprendono. Molti non credono in lui. Scetticismo e incredulità sono atteggiamenti che perdurano ancora nei confronti di Gesù e del suo messaggio di salvezza. Non sono pochi coloro che rifiutano di credere alla sua parola come fonte di verità e alla sua persona come origine e causa di salvezza. Molti credettero nel suo nome. L'episodio della cacciata dei mercanti dal tempio, si conclude con queste parole: "Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo". Espressioni che ci lasciano alquanto perplessi, poiché ci mettono di fronte al nostro modo di essere di fronte a Dio. Egli non ha bisogno di sapere da noi chi siamo e che cosa pensiamo. Ci conosce sino in fondo. Ciò che Dio aspetta da noi è la nostra fede in lui. Un rapporto, quindi, di fiducia e di amore. Prima era stata la legge del Sinai la "magna charta" per Israele, ma da Gesù in poi non esiste altra legge, come ha scritto Benedetto XVI, che quella dell'amore. Un'adesione piena e convinta alla volontà di Dio, da cui consegue un amore non meno efficace e attivo verso il prossimo, nostro fratello. Commento a cura di don Carlo Caviglione |