Omelia (19-03-2006)
mons. Ilvo Corniglia


La Quaresima è un cammino - personale e comunitario - di fede, cioè di ritorno a Dio, di scelta di Dio, di conversione a Dio. E' insieme un cammino di ritorno e di conversione ai fratelli. Assai a proposito, la liturgia odierna ci presenta il brano di Esodo 20, 1-17, che contiene la promulgazione del Decalogo, quale espressione della volontà di Dio sui rapporti che i membri del popolo eletto devono vivere con Lui e fra di loro. Per capire il Decalogo occorre inquadrarlo nel suo contesto vivente e originario, cioè la liberazione dell'Esodo e l'Alleanza: è il documento ufficiale dell'Alleanza, rappresenta le clausole dell'Alleanza. Ha senso unicamente nell'ambito dell'esperienza concreta che il popolo di Dio sta facendo: prima Israele fa l'esperienza della liberazione, l'esperienza del Dio salvatore che, dopo averlo "fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù", lo conduce alla libertà; l'esperienza del Dio amico che si lega in un rapporto di comunione col suo popolo. Solo dopo vengono le esigenze di Dio su Israele: "Non avrai altri dei di fronte a me". E' il comandamento fondamentale. Gli altri nove lo esplicitano e mostrano nel concreto cosa significa aderire con tutto il cuore a Dio solo. Dio prima dice: "ti ho liberato", poi dice: "tu devi". L'indicativo precede l'imperativo e gli dà tutto il suo senso. La grazia precede il comando. L'imperativo però segue sempre l'indicativo: la grazia di Dio è dono ma insieme esigenza. L'osservanza dei comandamenti è la risposta, piena di riconoscenza e di amore, di coloro che hanno fatto l'esperienza della liberazione e godono del dono dell'Alleanza. Non solo, ma i comandamenti sono presentati nella Bibbia come il modo, indicato da Dio stesso, di vivere in unione con Lui. Sono grazia, sono luce nel senso che attraverso di essi il Signore ci insegna come realizzare e potenziare l'amicizia con Lui, come vivere l'Alleanza nella sua realtà di rapporto con Dio e di comunione reciproca tra fratelli.
I comandamenti Gesù non li ha aboliti, ma li ha portati a compimento, unificandoli nel duplice precetto dell'amore di Dio e del prossimo. (cfr Mc 12,28-34). E li ha osservati in modo superlativo. Il Cristo crocifisso, che Paolo predica (1Cor. 1,23: II lettura), è la sintesi vissuta con somma perfezione di tutti i comandamenti. Essi restano perennemente validi per la comunità cristiana, per il popolo che ha fatto l'esperienza di una nuova e indicibile liberazione, di una nuova ed eterna Alleanza. I cristiani li sentono non come un peso fastidioso e insopportabile, imposto dall'esterno e arbitrariamente da un Dio capriccioso, ma come un dono dell'amore del Padre, la via luminosa da Lui tracciata nella quale il nuovo popolo di Dio percorre il suo cammino di progressiva libertà e comunione col suo Signore.
Il gesto di Gesù che scaccia fuori dal tempio tutti i venditori è inatteso e sconcertante.
Era pur necessario che almeno nelle adiacenze del luogo sacro si potessero acquistare animali per i sacrifici e si potesse cambiare il denaro. Col suo gesto Gesù intende colpire gli abusi e la disonestà negli affari all'interno stesso del santuario. Soprattutto intende denunciare l'aristocrazia sacerdotale che dal vasto giro di commerci traeva ricche entrate e consolidava il proprio potere.
Ma il gesto di Gesù ha un significato più profondo ancora. Certi testi profetici dell' A.T. annunciavano che nell'era del Messia il tempio sarebbe stato purificato da ogni profanazione e sarebbe divenuto il vero luogo dell'incontro fra Dio e il suo popolo, anzi "casa di preghiera per tutti i popoli" (Is 56,7).
Gesù, contestando ogni forma di commercio nel tempio, si presenta come il Messia, o meglio come il Figlio che purifica la casa del Padre suo. L'espressione di Gesù ha un sapore di novità inaudita che suona scandalosa e intollerabile: "Non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato". Il tempio, che per i giudei è la casa dove abita il proprio Dio, il Dio d'Israele, per Gesù è la casa di suo Padre e quindi la casa sua, di Lui che col Dio di Israele è legato dal rapporto unico e indicibile del figlio col proprio padre.
I giudei pretendono un segno che provi questa sua autorità messianica. La risposta di Gesù mostra che col suo gesto Egli non si limita a condannare gli abusi del culto, non si limita a contestare le false sicurezze ancorate a una religione formalistica e a un culto che non sia coerente con la vita: un richiamo che non cessa di essere attuale. Ma, di più, Egli annuncia la fine del vecchio culto e l'inaugurazione di un culto nuovo, di un modo radicalmente nuovo di incontrare Dio: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Gesù annuncia un tempio nuovo. Nell'A.T. e per il giudaismo il tempio aveva sostanzialmente due significati che lo rendevano il cuore pulsante e il centro dell'unità religiosa e nazionale di tutto Israele, anche di quelli ben più numerosi residenti fuori della Palestina: era il luogo della presenza divina. Qui il credente ebreo veniva per incontrare il suo Dio. Ma-ecco l'altro significato- il tempio era il luogo di riunione e di incontro di tutti i membri d'Israele. Qui, nell'incontro di preghiera col loro Dio, essi ricuperavano la coscienza della propria identità di popolo eletto e rinnovavano l'esperienza della propria unità e fraternità.
Si comprende allora la portata della dichiarazione di Gesù: tutto quello che il tempio significava di incontro con Dio nel culto e nella preghiera, come pure di unità religiosa e nazionale, tutto questo sta per scomparire. Ma sarà rimpiazzato con qualcosa di meglio, cioè con un altro tempio, un nuovo tempio, un nuovo culto, un nuovo luogo di incontro con Dio e tra fratelli. Questa dichiarazione di Gesù per ora è oscura, enigmatica. Ma più tardi i discepoli, dopo la sua risurrezione, capiranno che "Egli parlava del tempio del suo corpo". Cioè, morendo e risuscitando, Gesù diventa Lui stesso il nuovo tempio annunciato dai profeti. Non più un tempio di pietra, ma di carne. Il sogno, che attraversa l'A.T. ("Dio con noi") e che il tempio di pietra realizzava molto imperfettamente, trova la sua piena attuazione
nel Signore risorto. In Gesù i due significati del vecchio tempio sono mirabilmente congiunti: in Lui appunto Dio Amore si fa presente e si dona ormai senza limiti e tutti possono incontrarlo e lasciarsi afferrare. Ma - secondo aspetto - il Cristo morto e risorto è anche il luogo dell'incontro, il luogo del grande raduno degli uomini. Attorno a Lui si costituirà un'unica famiglia, formata da quanti, a Lui legati e con Lui divenuti figli, incontrano il Padre.
La Chiesa - e nella Chiesa ogni comunità, anche parrocchiale - è l'inizio, il germe fecondo, destinato a diventare l'umanità intera, di questa stupefacente realtà. Se i cristiani hanno bisogno di edifici materiali per ritrovarsi insieme davanti al loro Dio, sanno bene che questi edifici sono la "casa della Chiesa", il luogo dove si raduna il vero tempio, il vero luogo della presenza di Dio e dell'incontro con Lui che è appunto la comunità cristiana. E anche il singolo cristiano, che cerca di vivere in una crescente assimilazione al Signore, è tempio di Dio, dove lo Spirito Santo abita e gli dà la forza di osservare i comandamenti. Così tutta la sua vita, in ogni sua espressione e non soltanto negli atti liturgici, è culto esistenziale gradito a Dio.

I comandamenti li avverto come un peso o come un dono? Sento che, osservandoli, compio la volontà di Dio e manifesto concretamente la mia conversione?
Gesù è il vero tempio dove Dio è presente e ci incontra. I cristiani come comunità e come singoli, uniti a Gesù, sono la dimora santa di Dio. Questa realtà, che il Vangelo di oggi ci richiama, in che misura la percepiamo e la viviamo?