Omelia (04-07-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 9, 9-13

In questo testo Gesù appare come un profeta, un missionario itinerante che passando annuncia la parola di Dio. La potenza della sua parola si rivela anche nelle trasformazioni che opera interiormente, nel cuore degli uomini. Questo brano ci insegna quale dev'essere l'atteggiamento, la disponibilità dell'uomo davanti a Cristo.

L'uomo chiamato da Dio, in questo caso, è un appaltatore di imposte, un uomo lontano, per professione, dai problemi religiosi e malvisto da tutti, evitato come peccatore pubblico e persona di malavita. Gesù, invece, lo sceglie e lo invita a far parte del gruppo dei suoi discepoli.

La lezione della chiamata di Matteo viene ribadita e convalidata dal banchetto di addio per i suoi amici, in casa sua; tutta gente della sua categoria e reputazione a cui Gesù si associa volentieri.

La scena del banchetto in casa di Matteo viene turbata dall'intervento dei farisei (v.11). Ma Gesù giustifica il suo atteggiamento prima col proverbio: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati" (v.12), poi con una citazione biblica: "Misericordia io voglio, e non sacrificio" (Os 6,6).

Gesù si rivolge di preferenza ai peccatori perché hanno più bisogno della sua presenza e assistenza, come i malati hanno bisogno del medico più dei sani. I peccatori sono degli ammalati, cioè persone moralmente malferme e infelici, bisognose di cure e di guarigione.

La citazione di Osea 6,6 ripresenta il nucleo centrale della volontà di Dio: la misericordia. La carità, dunque, ha il primato su tutte le altre leggi. Anzi, Gesù la antepone allo stesso culto di Dio (v.13). Il tempio di Dio è l'uomo (cfr 1Cor 3,16), non l'edificio di pietra. L'invito di Gesù a lasciare l'offerta davanti all'altare per andare a ricercare il fratello offeso, ci impartisce lo stesso insegnamento (cfr Mt 5,24).

L'uomo è importante come Dio, con un particolare non trascurabile: che Dio sta bene e può aspettare, l'uomo sta male e ha bisogno immediato di soccorso.

San Vincenzo de' Paoli insegnava:" Il servizio dei poveri dev'essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso al povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Dio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa".

Se non si tiene conto del prossimo, il culto diventa un falso servizio a Dio e si rivolge contro il prossimo. La presunta giustizia dei farisei li rende ingiusti col prossimo. Il loro presunto amore per Dio li autorizza a odiare il prossimo.

Gesù non è venuto a chiamare i giusti o a frequentare gli ambienti puliti: è venuto a convertire i peccatori e a pulire gli ambienti. Egli invita i farisei a confrontarsi con le Scritture (Os 6,6) per capire se il comportamento giusto è il loro o il suo. Il confronto, naturalmente, è a favore di Gesù. Solo lui compie in modo perfetto la parola di Dio e la beatitudine dei misericordiosi (Mt 5,7).

La battuta finale: "Non sono venuto a chiamare i giusti" (v.13) sembra contenere una venatura di "cristiana" ironia nei confronti dei farisei di allora, che si ritenevano giusti. Essa vale anche per i farisei di oggi.