Omelia (09-07-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Matteo 10,1-7 Il numero dodici ricorda i dodici patriarchi delle tribù d'Israele e quindi ci presenta i dodici discepoli come i capostipiti spirituali del popolo di Dio che Gesù sta per ricostituire. La principale fisionomia dei dodici è quella di essere i continuatori dell'opera di Gesù, quasi il prolungamento della sua persona. Il gruppo radunato da Gesù non sembra molto omogeneo e comprende anche il traditore Giuda. Nella loro identità e nella loro missione ogni cristiano deve scoprire il senso della propria vocazione. Il potere conferito ai dodici discepoli è quello di cacciare i demoni e guarire tutte le malattie, quindi di eliminare ogni sofferenza umana. Dobbiamo però ricordare con forza che in 10,7-8 il comando di predicare il vangelo del regno di Dio precede nell'ordine tutti gli altri e li supera per importanza. Nel capitolo precedente le folle "erano stanche e sfinite come pecore senza pastore" (9,36). Ora Gesù dice che sono "pecore perdute" cioè disperse, fuori dall'ovile. E' volontà del Padre che il vangelo del regno dei cieli sia annunziato prima al popolo d'Israele. La delimitazione dell'ambito in cui vengono mandati i dodici è quella stessa del Cristo, inviato esclusivamente a Israele (Mt 15,21-28). Solo con la sua risurrezione Gesù riceve dal Padre il potere illimitato in cielo e in terra e quindi dà l'avvio definitivo alla missione universale dei suoi discepoli (Mt 28,18-20). La predicazione degli apostoli riprende e continua l'annuncio del regno dei cieli fatto da Gesù (4,17) e dal Battista (3,2). Tale annuncio viene fatto con la parola (v.7), con le azioni di bene (v.8a) e con la testimonianza della vita (vv.8a-10). |