Omelia (26-03-2006) |
mons. Antonio Riboldi |
Che follia non farsi amare! Oramai si stringe il tempo che ci accosta alla Santa Pasqua, "quel grande giorno del Signore", "un giorno senza tramonto per l'eternità", in cui esplode una dimensione che non possiamo nemmeno immaginare. I Santi di tutti i tempi, ancora oggi; questa dimensione dell'amore di Dio, che vorrebbe invaderci fino ad occupare tutto di noi, come unico bene e sola immensa felicità, hanno avuto la gioia incontenibile di non solo immaginarla, ma di viverla. Chi di noi si reca a La Verna, nella chiesetta dove S. Francesco ricevette le sacre stimmate, rimane sbalordito dal suo amore, che chiese di provare amore e dolore per vivere Cristo: per lui era la somma felicità. Ma si ha come l'impressione che la Quaresima, la Pasqua, oggi, per troppi sia un tempo senza alcun valore divino. Non si accorgono di essere immersi in un mondo fatto di nulla e questo nulla diventa il terribile vuoto del cuore. Lo vogliamo o no, miei carissimi carissime, possiamo fare a meno di tutto, ma non dell'amore di Dio. Dio è tutto, il resto è superficialità o pericoloso nulla, se non un inferno inconfessabile. Eppure non si vuole neppure entrare in se stessi e trovare la via di casa, come fece il figlio prodigo (una parabola che in questo tempo dovremmo meditare a lungo) che, dopo avere abbandonato la casa del Padre, sicuro di trovare fuori una effimera felicità, alla fine fu lasciato solo - la nostra solitudine - in totale miseria, lui così ricco nella casa del Padre, costretto a fare da guardiano dei porci e rubare le ghiande a loro destinate. Ma alla fine lo Spirito suscitò la nostalgia del Padre e "rientrò in se stesso" e disse: Tornerò da mio Padre. L'incontro con il Padre, che lo attendeva sulla porta di casa, è una riga di Vangelo che fa piangere di commozione quanti ancora hanno conservato un briciolo di desiderio del Cielo. Anche solo immaginando la scena, descritta direttamente dal cuore di Gesù, non si può che commuoversi nel vedere il padre che, scorgendo da lontano il ritorno del figlio, gli corre incontro, e, commosso, gli getta le braccia al collo e lo bacia e dice: "facciamo festa, perché questo figlio era morto ed ora è tornato a casa". E lo veste di vesti nuove, come a voler strappare tutto lo sporco con cui il mondo gli aveva rivestito la vita come di una seconda inaccettabile pelle. Il Vangelo di oggi torna solennemente a proclamare questo Cuore misericordioso di Dio. "Gesù disse a Nicodemo: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio unigenito nel mondo per giudicare, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui" (Gv 3,14-21). Come dovrebbe suonare dolcissimo al cuore di tutti: "Dio ha tanto amato il mondo..." Siamo assetati di amore, ma forse lo cerchiamo altrove, senza di Lui. Viene da chiederci se è possibile che ci sia qualcuno che possa vivere rifiutando o ignorando questo amore? E' possibile perché l'amore è un meraviglioso dono che esige da parte nostra un sì libero, totale. Ci si vuol bene in due! Dio e noi. Ma sembra proprio che in tutti i tempi, dalla creazione, tante volte abbia la meglio seguire il proprio egoismo, come fu per Adamo ed Eva, che alla fine si trovarono "nudi": la stessa nostra nudità, che però rincorriamo testardamente, per non accettare quel grande amore del Padre. Raccontano le Cronache della S. Scrittura: "Il Signore Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo e la sua dimora...Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine senza più rimedio" (Cr 36, 14-19). Fa impressione come la stessa insensibilità, o peggio ancora il rifiuto dell'amore misericordioso di Dio, sia evidenziato nelle parole che Paolo VI, allora cardinale a Milano, disse nel lontano 1962, a Pasqua: "Vi è una grande parte del mondo moderno che considera Cristo, per usare la parola stessa del Vangelo, il bersaglio della contraddizione. Cristo è il nemico: ma perché? Sarebbero da ripetere le patetiche e stringenti domande del Venerdì Santo, quelle che la liturgia pone drammaticamente sulle labbra di Cristo morente, le così dette "Lamentazioni". "Popolo mio che ti ho mai fatto? In che cosa ti ho contristato? Rispondimi". Cristo che ha dato all'uomo la coscienza della sua dignità, che gli è stato maestro di vita, che è stato per il mondo la sorgente della libertà, della pace e dell'amore. Cristo è il nemico, dicono. Deve morire. Bisogna sopprimere il suo ricordo, la sua dottrina, la sua Chiesa. Paesi interi, lo sappiamo, fanno di questo furore anticristiano la loro bandiera". E non ci vuole tanto per vedere come questo sia vero. C'era un tempo cui le nostre famiglie davvero vivevano nel nome e con una presenza di Dio in tutto e sempre...era una vita economicamente difficile, ma era ricca di tutto ciò che dona la presenza di Dio. Oggi sembra che, sicuramente tante volte per ignoranza, Cristo sia bandito dai discorsi o dalle preghiere in famiglie...come non esistesse più. A volte è anche difficile trovare nelle case qualche segno dell'amore di Dio, nel crocifisso. Quello che è ancora più doloroso è quella scomparsa dal ricordo e dall'amore, come fosse un inutile intruso e non l'amico che ci attende a braccia aperte, come sulla o croce, pronto a gettarle sul nostro collo. Ma scomparso Dio dalla nostra vita, chi o cosa ci rimane che ci assicuri pace, gioia, serenità e sopratutto tanta voglia di volersi bene? Deve essere "duro", anche per Gesù, vedersi rifiutato, Lui che ci "ama tanto, e per l'eternità", come nessuno di noi sa dare o fare? Suonano oggi come un dolcissimo richiamo, che dovrebbe smuovere le nostre coscienze come quando siamo colpiti da una persona che all'improvviso ti dice "ti amo". "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Non è venuto tra noi per giudicarci, ma per salvarci per mezzo di lui". Eppure noi, che certamente non siamo i più adatti a essere giudici dei nostri fratelli, perché "dentro" ci sentiamo peccatori, a volte ci indigniamo e gridiamo sia fatta giustizia per chi sbaglia: una giustizia che non conosce misericordia, ma solo punizione. Ricordate quel meraviglioso racconto della donna adultera, nel Vangelo? I suoi concittadini l'avevano colta in fragrante adulterio, un peccato che allora veniva punito con la pubblica lapidazione, morendo così "due volte", la prima per il disprezzo di tutti e quindi con la lapidazione. La portano davanti a Gesù, chiedendo un suo giudizio e lo fanno per metterlo alla prova. La risposta alla domanda è di quelle che costringono a riflettere: "Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra". Poi, come volendosi estraniare da quel cerchio di giudici senza misericordia e ingiusti, si diverte a scrivere per terra, non alzando mai lo sguardo sulla scena. Alla fine si alza e, vedendosi solo di fronte a quella donna "distrutta dentro", senza speranza, chiede: "Donna, dove sono i tuoi accusatori?" Questi, infatti, se ne erano andati, aedendo che la mitezza di Gesù aveva messo a nudo il loro animo, che non aveva diritto a giudicare. "Neppure io ti condanno: va' in pace e non peccare più". E' davvero il frutto della Pasqua che tutti vorremmo gustare. Ma siamo pronti ad affidarci alla misericordia, cambiando vita? Dio sa quante volte anche noi vorremmo uscire dal buio dell'anima e sentirci dire: "Va' in pace e non peccare più". Vorrei fare nostra la preghiera che il S. Padre rivolse a Dio, commentando la tredicesima stazione della Via Crucis: "Gesù deposto dalla croce". "Signore, sei disceso nell'oscurità della morte. Ma il tuo corpo viene raccolto da mani buone e avvolto in un candido lenzuolo. La fede non è morta del tutto, il sole non è del tutto tramontato. Quante volte sembra che tu stia dormendo. Come è facile che noi uomini ci allontaniamo e diciamo a noi stessi: Dio è morto. Fa' che nell'ora della oscurità riconosciamo che tu comunque sei lì. Non lasciarci soli quando tendiamo a perderci di animo. Aiutaci a non lasciarti da solo. Donaci una fedeltà che resista nello smarrimento e un amore che ti accolga nel momento più estremo del tuo bisogno, come la madre tua, che ti avvolse di nuovo nel suo grembo. Aiutaci, aiuta poveri e ricchi, i semplici e i dotti a vedere attraverso le loro paure e i loro pregiudizi, la tua presenza che è solo bontà, e a offrirti la nostra capacità, il nostro cuore, il nostro tempo, preparando così il giardino nel quale può avvenire la resurrezione". Ricordo un convegno sul tema "droga, come liberarsi?" Era gremita la sala, come in cerca di qualcuno che indicasse la via della resurrezione. Si alternavano al tavolo giudici, psicanalisti e specialisti: un fiume di parole che ci mischiava con il denso fumo delle sigarette...senza indicare anche una minima via di uscita. All'improvviso si alzò un giovane e disse: "C'è uno che può risolvere il problema: Gesù Cristo. Io ero drogato, Lui mi ha salvato". Una risposta secca, cui nessuno osò porre obiezioni e si sciolse l'assemblea, come quella che voleva processare l'adultera, salvata dall'amore di Gesù. Può accadere anche a noi, anche se sotto altre forme. E' questa la Pasqua. |