Omelia (26-03-2006) |
don Mario Campisi |
«Fare la verita'» Ci sono molte risposte alla perenne domanda: "Chi è l'uomo? Cos'è l'uomo?". Il brano del Vangelo odierno delinea il dramma-uomo con le seguenti antitesi: giudizio-salvezza, luce-tenebre, fare il male-fare la verità. E la soluzione positiva delle antitesi e del dramma è sempre una sola, la stessa: "Dio ha tanto amato il mondo da dare (= consegnare, donare) il suo Figlio unigenito" (v. 17). Il dialogo serrato di Gesù con Nicodemo cede il posto ad un lungo monologo di tipo kerigmatico sul mistero dell'amore di Dio che dona il Figlio per la salvezza del mondo. L'evento-simbolo del serpente di bronzo richiama la storia di Israele nel deserto, anch'essa storia d peccato-morte-salvezza. Il serpente di bronzo voluto da Dio voleva essere un segno della sua presenza, e il guardarlo descriveva un itinerario di conversione e di fede. Ora si capisce meglio il richiamo di Giovanni: Gesù Cristo, il Signore, è la Parola di Dio discesa dal cielo, fatta carne-uomo debole mortale; ma era necessario che "il Figlio dell'uomo fosse innalzato" da terra, "affinché chiunque crede il lui ottenga la vita eterna". La fede che salva e dona la vita eterna viene descritta da Giovanni, proprio sotto la croce, come uno sguardo di conversione e di fede: "Volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto" (Gv 19,37). La misericordia rimane sempre il grande annuncio e il grande dono; ma la misericordia non è Dio che chiude gli occhi o che sorvola sul nostro peccato. Il medico che non riconosce la malattia non può guarirmi. Eppure noi tendiamo a sottrarci alla luce di Dio come Adamo tenta di nascondersi dallo sguardo di Dio dopo il peccato. Il peccato è sempre tenebra, ma raggiunge il suo culmine quando amiamo più le tenebre che la luce. E' un mistero il fatto che noi possiamo abusare fino a questo punto della nostra libertà! Accogliere "la luce" vuol dire mettere le cose al loro posto: nessuna cosa è più grande dell'uomo. Vuol dire vedere ogni essere umano per quello che è per Dio che ha dato per lui il suo Unigenito. Ma come possiamo giungere a odiare la luce e a preferire le tenebre? Possiamo fare qualche esempio che aiuti a capire. Dopo una malattia agli occhi vissuta nell'oscurità più completa, il primo timido apparire della luce fa male. Ancora: un amico ci rimprovera un atteggiamento o una parola: anche se ci accorgiamo che ha ragione, facilmente ci sentiamo colpiti e soffriamo e cerchiamo tutte le scuse possibili. Tutte le volte che l'idolo ingombrante che è il nostro "io" viene minacciato, corriamo ai ripari senza troppo guardare ai mezzi. Domandiamoci allora: certe resistenze alla confessione dei nostri peccati nel sacramento non nascondono un "odio alla luce"? (v. 20). Dio si rivolge a noi non solo attraverso le Scritture nella Chiesa, ma anche attraverso gli avvenimenti che, pure, possono essere giudizio che salva. Non è facile leggere la storia attraverso la luce di Dio e della sua parola. Proprio nel campo della storia siamo capaci di adulterare la verità perché non la vogliamo "fare", perché rifuggiamo dal guardare al "segno" (la croce di Cristo) e vedere in essa non solo uno che soffre e che muore, ma un eterno dono di sé in cui si trova la vita. E' così facile inseguire una libertà che poi alla fine si rivela una schiavitù. Identifichiamo, in questo cammino di Quaresima verso la Pasqua, qualche esempio di questo errore e cerchiamo di smascherarlo, ma senza dimenticare che Dio è ricco di misericordia. |