Omelia (02-04-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
Commento Giovanni 12,20-33 Nella prima lettura di ogni domenica di Quaresima abbiamo contemplato finora, nella loro successione, diverse tappe della storia della salvezza. Oggi un'altra tappa decisiva: il profeta Geremia annuncia la "nuova alleanza". Con questa espressione, coniata appunto da Geremia, gli autori del N.T. descriveranno la novità dell'esperienza cristiana. Secondo il profeta, l'amore fedele di Dio opererà tale miracolo: "Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore". Vale a dire, si attuerà una unità perfetta tra il cuore dell'uomo e la volontà di Dio. Il cuore umano vibrerà all'unisono col volere divino. Se nella Bibbia il cuore indica la coscienza, il centro vitale e profondo della persona, ciò significa che la volontà di Dio diventerà la passione dominante e unificante di tutta l'esistenza e attività dell'uomo. Una relazione immediata e personale legherà intimamente il fedele col suo Signore: "Tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande...poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato". Dio rimuoverà, o meglio distruggerà fin dalle radici ciò che impedisce la comunione con Lui, il peccato, e tutti faranno l'esperienza indicibile di un rapporto vitale con l'unico Signore. Geremia, però, non precisa i destinatari della "nuova alleanza" (solo Israele?) e neppure il modo concreto con cui Dio la attuerà. Troviamo la risposta nel brano evangelico di oggi. I Greci che chiedono di vedere Gesù sono un simbolo e un anticipo dei pagani che si convertiranno al Signore risorto e formeranno la Chiesa. Tale avvenimento sarà il frutto del sacrificio di Gesù. Ma ripercorriamo con più attenzione il testo evangelico. Ci troviamo a Gerusalemme nell'ultima settimana della vita di Gesù. Come al solito, Egli è circondato dalla folla. Ci sono anche dei "Greci": si tratta di stranieri di cultura greca simpatizzanti del giudaismo, che sono venuti a Gerusalemme per le feste pasquali. Essi chiedono di poter "vedere Gesù", cioè parlargli, intrattenersi con Lui, per diventare forse suoi discepoli. La risposta di Gesù a prima vista è sconcertante. Sembra non tener conto della loro domanda. Ma, se guardiamo bene, vi risponde in pieno. In che senso? "E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo". L'"ora" della sua passione, morte, risurrezione, ascensione: tutti momenti che costituiscono quell'avvenimento unico e decisivo che Gesù chiama la sua "glorificazione". La "gloria" nella concezione biblica è la presenza di Dio che si fa sentire e si manifesta, è la realtà del suo Essere (cioè Amore, vita, splendore infinito, felicità) che si comunica. Tale gloria dimora nel Verbo Incarnato, ma come velata, nascosta, anche se qualche raggio filtra attraverso i miracoli e le parole di Gesù. Nella passione-risurrezione, però, questa gloria esploderà con una forza inaudita. La passione, invece che oscurarla, ne rivelerà la pienezza. Nella croce di Gesù appare certamente il fallimento e un dolore smisurato. Ma vi traspare - ed è semplicemente l'altra faccia della stessa realtà - l'amore. Un amore di cui uno più grande non si può immaginare. Un amore di cui soltanto Dio è capace. Un amore che è Dio stesso. Ecco perché Gesù crocifisso è la manifestazione suprema di Dio Amore e quindi la "gloria" di Dio (= il suo essere Amore) irradia dalla croce. Perciò la sorgente della vita scaturisce dal Crocifisso per riversarsi su tutti gli uomini. C'è qui la risposta al desiderio espresso dai "Greci": essi potranno "vedere Gesù", incontrarlo e ricevere la salvezza, grazie all'avvenimento della sua passione e risurrezione. La fecondità della sua morte Gesù l'annuncia con l'immagine del "chicco di grano": se, sepolto sotto terra, accetta di marcire, allora rinasce e si moltiplica in una spiga rigonfia di tanti chicchi. Un'operazione non certo indolore. Giovanni non narra la drammatica lotta interiore di Gesù nell'orto degli ulivi, come faranno gli altri evangelisti, ma in qualche modo l'anticipa qui: Gesù è profondamente turbato davanti alla prospettiva della morte ormai prossima. Ma supera questo conflitto interiore abbandonandosi al Padre: "Padre, glorifica il tuo nome", cioè rivela la tua gloria, manifèstati come Amore. La risposta del Padre non si fa attendere e assicura che, come ha manifestato finora Gesù quale Figlio suo, lo farà in modo supremo risuscitandolo dai morti. "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Elevato da terra, cioè innalzato sulla croce e di conseguenza nella gloria, Gesù diventerà centro di attrazione, polo di unificazione di tutta l'umanità dispersa, cuore pulsante di una comunione universale. Attorno al Cristo "innalzato"si costruirà l'unità del nuovo popolo di Dio. E' la realtà della "nuova alleanza" promessa da Geremia. La nostra realtà di figli di Dio, una volta dispersi e ora riuniti in una sola famiglia (la Chiesa), è frutto della morte e risurrezione di Gesù (cfr. Gv 11, 52). La morte di Cristo genera, così, la vita nuova per sé e per la moltitudine. Certamente dalla morte non nasce la vita; ma dall'amore, che in quella morte si è espresso, la vita è sgorgata come l'acqua viva da una sorgente inesauribile. Lasciarci "attirare" da Lui significa volgerci interamente a Lui (=conversione), credere in Lui, seguirlo, diventare in qualche modo Lui e così imparare a guardare le persone col suo sguardo. La vera carità, infatti, consiste non tanto nell'organizzare aiuti, ma nel guardare ogni persona con gli occhi e col cuore del Crocifisso. Quando innalziamo sulla croce il nostro "io", quando moriamo a noi stessi per lasciar vivere Cristo in noi, Egli continua ad attirare a sé le persone anche attraverso di noi. In effetti, come per Gesù la strada verso la glorificazione e la fecondità passa attraverso l'avventura del chicco di grano, la stessa legge vale anche per il discepolo: "Chi ama la sua vita la perde". Gesù rivela che il cammino verso la piena realizzazione del discepolo è nel dono di sé per amore e invita a seguirlo sulla via del servizio generoso (vv. 25-26). Nel "perdersi", nello "sprecarsi", nel "vivere l'altro" si esprime il massimo amore (solo l'amore è credibile) e si diventa "calamite", fattori catalizzanti di unità, dall'ambito familiare a quello sociale. Come viviamo la "Nuova Alleanza?" Ci lasciamo "attirare" da Gesù in una relazione sempre più profonda con Lui? Alla luce di questo brano evangelico, quando contempliamo il Crocifisso, cosa comprendiamo? "Vogliamo vedere Gesù!". Molte persone, che incontriamo quotidianamente, hanno nel cuore questo desiderio e questa attesa, anche se inconsapevoli o non espressi. Pensiamo di essere per tanti una possibilità di incontro con Lui? Come fare? Che cosa facciamo? Gesù è vissuto per la sua "ora", cioè l'avvenimento della sua morte-risurrezione e incontro definitivo col Padre. Anche ciascuno di noi ha la sua "ora", cioè la morte come coronamento di una vita d'amore e incontro gioioso col Signore. La vedo così? Come mi preparo? Prego per essa per es. nell'Ave Maria: "Prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte"? |