Omelia (02-04-2006) |
don Mario Campisi |
L'ora di Gesù e l'ora dell'uomo Ci si avvicina alla Pasqua, all'«ora» di Gesù per usare il linguaggio giovanneo. E' innanzitutto l'«ora della morte», e quindi il momento della grande crisi di Gesù, ma anche di tutti gli uomini. Passione e morte sono le compagne non amiche di ogni essere vivente. Per «vedere Gesù», come i greci del Vangelo di oggi (v. 21), bisogna riconoscere la vita dentro la morte, i segni della «gloria-presenza di Dio» nelle ferite della passione: nella «sua» passione-morte, nella «nostra» passione-morte. Interessante è la richiesta di questi greci che, trovandosi a Gerusalemme per la pasqua ebraica e, mossi da vivo desiderio, chiedono all'apostolo Filippo: «Vogliamo vedere (=credere in) Gesù». Questa è la domanda che, attraverso i secoli, hanno posto molti degli uomini che hanno sentito parlare di Gesù di Nazaret. Anche nel nostro tempo molti continuano ad esprimere questo vivo desiderio, oggi più che mai, di fronte al graduale smarrimento dell'umanità che versa nell'odio e nella violenza. Oggi è sempre più forte il grido: «Vogliamo vedere Gesù», «Vogliamo conoscere chi è veramente Gesù», con la speranza di trovare in lui una proposta di vita e la liberazione dalle varie schiavitù. La parola di Dio della liturgia odierna ci guida in tale ricerca. La quale è tanto più necessaria in quanto si corre spesso il rischio di costruire un Gesù secondo i gusti e la mentalità della gente, fatto a nostra immagine e somiglianza, non rispettando la novità e l'originalità di Gesù. Gesù va subito al cuore della domanda dei greci parlando della sua «ora» (v. 22), cioè «l'ora» della passione, morte e risurrezione. L'evento della croce ci rivela il vero volto di Gesù nel suo rapporto singolare di Figlio col Padre. Gesù stesso invita gli interlocutori a fermarsi non tanto sui suoi discorsi o sui suoi miracoli, quanto a guardare alla croce, momento fondamentale per capire tutta la sua vicenda storica e la sua missione salvifica. Per farci conoscere il suo mistero più profondo, Gesù parla dell'evento ultimo della sua vita: la croce. La croce è «l'ora» verso la quale la vita di Gesù è orientata fin dall'inizio e rappresenta il compimento di tutta la vicenda terrena di Gesù. «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me»: in tale detto viene espressa la fecondità del dono totale di Cristo. La croce di Cristo diventa così costruttrice di comunità; evidenzia la sua capacità di attrazione. Ma prima di arrivare alla gloria del Padre, Gesù deve necessariamente passare attraverso la notte della passione e della morte. E con una breve parabola illustra il senso profondo della sua passione imminente, quale sorgente di vita attraverso la morte e nella morte: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (v. 23). Anche per la Chiesa, come Gesù, è «l'ora della passione-glorificazione». La parabola del chicco di grano delinea perfettamente la vita del credente, della comunità cristiana e di tutti gli uomini: «perdere la vita» per gli altri, attraverso il dono di se stessi e l'impegno del servizio. La strada del discepolo e della comunità cristiana che intendono seguire Gesù è quella della croce. Essa rimane un punto fisso e una dimensione costitutiva della vita cristiana, e sa da un lato smorza eccessivi entusiasmi, dall'altro lato corregge ogni forma di sfiducia e di pessimismo. Occorre la consapevolezza che la glorificazione avverrà sempre attraverso «il perdere la vita per gli altri», così come ha fatto Gesù. |