Omelia (09-04-2006)
padre Gian Franco Scarpitta
Dalla gioia delle palme al dolore della croce

Palme e rami di ulivo vengono lanciati su Gesù mentre fa' ingresso a Gerusalemme da parte della folla che ormai lo ha riconosciuto come Re e Signore delle genti e per questo gli rende i dovuti omaggi di esaltazione. Una palma può infatti alludere alla dignità e all'eleganza di chi merita un elogio, e in questo caso l'oggetto delle attenzioni e dell'amore del popolo è proprio chi ha manifestato di avere una certa superiorità sulla moltitudine a motivo della propria regalità e grandezza, e soprattutto di possedere delle caratteristiche del tutto speciali con cui detta regalità si accompagna, che non possono che provenire dal divino. In altre parole, il popolo accoglie ed esalta Gesù in quanto Re, Signore universale perché Dio. Si tratta infatti della fede nel Dio che si è fatto uomo per esternare il suo impero su tutta l'umanità in modo del tutto evidente e tangibile, mostrando nelle parole e negli atti la consistenza del suo Regno in modo tale che siano le sue stesse opere a parlare di Lui come Dio Signore; e pertanto non si può omettere, nel lancio delle palme e degli ulivi di sottolineare la sua grandezza e la sua onnipotenza.

Eppure, questa circostanza gioiosa destinata ad allietare tutto il popolo che si accalca attorno a Gesù, si trasforma molto presto in un'occasione di mestizia e di dolore.
Perché? Per il semplice motivo che nel suo regnare e governare e dispiegare onnipotenza e grandezza, Gesù rifugge le concezioni di predominio incontrastato sulla massa, il dispotismo e l'egemonia; il suo regno richiama piuttosto una condizione di servizio e oblazione continua: Gesù è Re non perché detta ordini ma perché si rende servo di tutti al punto di annichilire se stesso, rinunciare a tutte le garanzie e ai privilegi che gli proverrebbero in forza della propria autorità, privarsi di tutte le sicurezze e consegnarsi al patibolo di una morte atroce, sempre in vista del riscatto dell'umanità.

Il vero servitore che si prodiga per gli altri lo si riconosce non già dai suoi discorsi o dalla sua apertura o simpatia e neppure dalle stesse sue opere di generosità e nella disponibilità al servizio: molte volte può infatti avvenire che chi si mostra interessato e disponibile oltre misura verso gli altri prodigandosi sempre e in ogni caso nella generosità e disponibilità intenda solo millantare se stesso per il proprio vanto e la vanagloria, o cercare delle motivazioni per cui vantarsi ed esigere adeguati compensi. In certi casi specifici può anche soffrire di un malcelato disturbo patologico o avere una connaturale forma di ingenuità o inavvedutezza. Attenzione: non si vuole qui riprovare la persona umile e disponibile né biasimare chi si mostra sempre generoso e disponibile per gli altri (Vi sono tante persone umili e sincere), ma semplicemente affermare che non sempre è bene fidarsi di quanti fanno il bene incondizionatamente e senza pretendere il contraccambio, o di coloro che si mostrano disponibili sempre e comunque, specialmente quando li si conosce poco: è possibile che in un secondo momento rivelino le loro reali intenzioni e che queste costituiscano per noi una vera e propria trappola o una delsuisione giacché puiò trattarsi di persone solamente interessate.
Il vero generoso che si dispone al servizio è invece inequivocabilmente riconoscibile nella sua disponibilità a rinunciare a se stesso in vista degli altri, come ad esempio un padre di famiglia che volentieri fa' gli straordinari sul lavoro rinunciando alle ferie e rischiando sulla propria salute pur di assicurare il pane ai suoi figli; o una mamma disposta a digiunare per cedere il cibo ai suoi bambini; insomma lo si riconosce nella misura in cui è disposto ad affrontare il dolore, la privazione e il sacrificio per la causa del suo prossimo e non si arrende neppure di fronte alle beffe, alle derisioni e alle umiliazioni da parte degli altri; sempre in vista del bene dei fratelli è pronto anche a donare la propria vita senza riserve e ritrosie.

Ebbene, tale è la dinamica del servizio che Cristo rende all'umanità.
Come afferma San Paolo ai Filippesi (II Lettura), Cristo pur essendo Dio e in quanto tale padrone del mondo capace di prodigi che avrebbero potuto sbaragliare i suoi avversari, rinuncia a se stesso e alle sue prerogative di grandezza:"spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce." Si adopera nel teso un verbo greco assai famoso quanto esplicativo che delinea la consapevolezza decisionale piena con cui Dio in Cristo sceglie di annullarsi e abbandonarsi alle insidie dell'umanità: ekenosen. Esso vuol dire appunto "annientò", "svuotò" e attesta il volontario abbassamento di Gesù e le sue condizioni di nullità voluta tipico di chi non considera per niente se stesso ai fini di rendersi servo degli altri e il culmine di tale oblazione lo si riscontra nell'autoconsegnarsi all'estremo supplizio della croce. Il regno di Cristo consiste quindi nel lasciarsi uccidere dagli uomini dopo aver ricevuto insulti, sputi, umiliazioni e perfino di essere stato chiamato "maledetto", proprio lui che era stato artefice di ogni benedizione.
Sempre lo stesso passo paolino prevede la gloriosa conseguenza dell'innalzamento di Cristo da parte del Padre e la sua glorificazione al di sopra di tutti gli elementi, ma per adesso siamo costretti a vedere in Gesù un Dio che si offre per l'umanità fino a perdere la propria dignità e le prerogative di grandezza che gli sono proprie.
Un Dio che si lascia uccidere!
Questo per noi non può che suscitare motivo di orgoglio e di interiore entusiasmo gioioso al considerare che siamo invitati non A credere nell'esistenza di un Dio giudice severo da servire e riverire nell'ottica della pura prostrazione, ma ad abbandonarci con fiducia IN un Dio che serve e riverisce coloro che lo stanno giudicando con severità estrema; ma soprattutto siamo invitati a condividere il suo patibolo e la sua frustrazione specialmente nelle vicissitudini che quotidianamente ci impongono di essere vittima di ingiustizie, cattiverie e ingratitudini da parte degli altri: è appunto nella nostra carne e in ogni spiraglio di umana sofferenza che lo stesso Cristo rinnova il suo patire redentivo e salvifico per poi recarci tutti quanti accanto a se al premio della Risurrezione.