Omelia (02-04-2006)
don Fulvio Bertellini
Dal chicco di frumento al raccolto

Contatto privilegiato

I Greci saliti a Gerusalemme per la festa rappresentano tutti gli uomini che desiderano conoscere e adorare Dio. Probabilmente si trattava di proseliti, di pagani convertiti all'ebraismo. Ma nel vangelo di Giovanni, il vangelo simbolico, il ricordo della loro presenza è una finestra che si apre sul futuro, un futuro in cui decine, centinaia, migliaia di uomini e donne avranno lo stesso desiderio e rivolgeranno a qualche discepolo la stessa domanda: "Vogliamo vedere Gesù". Il discepolo in questione è Filippo di Betsaida, che porta un nome greco e che viene dalla Galilea. Proprio lui viene interpellato dai greci, che lo sentono più vicino e accessibile. Anch'egli diviene dunque figura simbolica: rappresenta ogni discepolo che, per una ragione o per l'altra, si ritrova a contatto con persone che a lui si rivolgono per incontrare Gesù.

Raccomandati?

Filippo si rivolge ad Andrea, ed insieme vanno da Gesù. La dinamica assomiglia molto a quella della "raccomandazione". Che nella prassi amministrativa e politica è deleteria, ma sembra essere l'unica adeguata alla trasmissione del Vangelo. Si arriva a Gesù soltanto attraverso il contatto personale. Solo confrontandosi con la sua comunità. Si può essere affascinati da Gesù leggendo il Vangelo, conoscendo le sue parole, guardando al suo influsso nella storia. Ma non è possibile incontrarlo da soli. Per certi aspetti è uno scandalo: chi sono Andrea e Filippo rispetto a Gesù? Che cos'hanno di speciale per avere il privilegio di essere vicini a Gesù? E ai nostri tempi: che cos'hanno di più i cristiani rispetto agli altri uomini? Perché occorre andare da un prete? Parlare con un catechista? Non sarebbe più comoda risolversela direttamente con Dio? Non si può ignorare lo scandalo del discepolo fragile e inadeguato, anzi, va addirittura evidenziato: perché è uno stretto parente dello scandalo originario, lo scandalo della croce.

L'ora della gloria

I greci non sono accontentati. Essi non vedranno Gesù, ma dovranno vedere la sua "gloria". O meglio: non è importante tanto un generico "vedere", toccare, far conoscenza di Gesù, quanto il riconoscere la sua gloria. C'è stato un tempo in cui la conoscenza generica, nella carne, di Gesù era possibile. Ma c'è un nuovo tempo, nuovo qualitativamente. In cui è possibile soltanto la conoscenza "gloriosa" di Cristo. Anche questo è espresso dalla parabola del chicco di grano, ricchissima di significati: riguardo a Cristo, riguardo ai credenti, riguardo alla Chiesa... ma anche riguardo alla possibilità della visione. Il chicco di grano come tale è visibile solo prima che sia seminato. Ma dopo che è germogliato non è più accessibile come tale: ha cambiato forma, è divenuto pianta, spiga, moltitudine di chicchi. Anche il Cristo glorificato ha cambiato forma, è entrato in una dimensione nuova. E' presente nella Chiesa, è presente nella sua Parola, nel Pane di vita, continua a portare frutto in ogni credente, se appena questi si dimostra obbediente al suo stile di vita nuovo.

Attraverso la morte

La "gloria" del chicco di grano è di morire per generare nuova vita. Anche la "gloria" di Gesù, la manifestazione dell'amore del Padre, passa attraverso la morte. E' lo scandalo della croce, in cui l'evangelista Giovanni sa già vedere la glorificazione e l'anticipazione della risurrezione. Proprio nel momento in cui porta a compimento la Passione, Gesù dona lo Spirito e compie la salvezza, e dal suo costato sgorgano sangue e acqua, espressione di vitalità inaspettata, dono di vita per il mondo. Non si tratta però di una realtà confinata a lui: "chi vuol salvare la propria vita, la perde, e chi odia la sua vita la conserva per la vita eterna". La pretesa di Gesù, pretesa che suona assurda per il "mondo" (e per ogni cristianesimo dimezzato, compromesso con il mondo), è che la stessa realtà possa essere condivisa dal singolo credente, nella sua vita concreta e individuale. Il singolo credente è chiamato a "perdere la sua vita", a morire come chicco di grano come Gesù. Solo così può essere parte del suo mistero. O meglio: la pretesa di Gesù è che il suo mistero di amore possa germogliare nella vita concreta di ogni credente, e riprodurre la stessa dinamica di dono, fino al dono della vita.


Flash sulla prima lettura

"Ecco verranno giorni": il libro di Geremia contiene l'annuncio appassionato e la denuncia disperata della catastrofe che sta per abbattersi sul popolo. Nell'indifferenza e nell'insipienza generale il profeta non può far altro che contemplare i suoi connazionali mentre si incamminano verso la rovina, con il re in testa, i capi, i sacerdoti e i profeti. Ma quando la catastrofe è arrivata, che resta da dire? Sorprendentemente, troviamo nel libro le profezie di salvezza. L'annuncio di una salvezza piena e definitiva, si contrappone ancora una volta al sentire comune, caratterizzato dalla diffusa disperazione e sfiducia. La parola profetica è sempre differente, alternativa, finisce sempre per cozzare contro il senso immediato degli uomini del suo tempo. Mentre tutti vedono la catastrofe (dopo aver disprezzato il profeta che l'aveva annunciata), la parola profetica squarcia l'orizzonte verso giorni nuovi. Si apre una seconda possibilità per Israele. E si apre anche per noi.
"Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore": dal punto di vista cristiano, si tratta di una delle affermazioni più importanti dell'Antico Testamento. Si preannuncia e si prepara la tematica paolina della Legge Nuova, la legge dello Spirito. La pretesa cristiana è appunto quella di instaurare la Nuova Alleanza, non più basata sull'osservanza legalistica, ma sulla presenza interiore di Dio nel cuore dei credenti. Essa è resa possibile dalla passione e risurrezione di Cristo, e dal dono dello Spirito. E' lecita la domanda se la tematica della Legge Nuova, anzi la realtà della Legge Nuova, sia veramente al cuore della prassi spirituale, pastorale, personale e quotidiana della Chiesa. L'impressione è di un grande movimento attorno a strategie, accorgimenti, espedienti umani... e si dimentica l'elemento peculiare che basta ad arricchire l'azione del cristiano.

Flash sulla seconda lettura

" offrì preghiere e suppliche": l'autore della lettera agli Ebrei si riferisce al fatto del Getsemani, che già gli evangelisti avevano narrato, e che probabilmente era ben noto ai suoi lettori. Vuole però approfondirne il significato, indagando il senso di un evento che resta misterioso e per certi tratti incomprensibile: come può il Figlio pregare il Padre con forti grida e lacrime? Qual è l'oggetto di questa preghiera? E in che senso si dice che "fu esaudito per la sua pietà"?
"imparò l'obbedienza... per tutti coloro che gli obbediscono": una delle parole chiave di questi due densi versetti è proprio obbedienza/ubbidire: l'obbedienza al Padre è il risultato della preghiera di Gesù, ed è l'effetto della Passione. Gesù, nella sua "pietà", cioè nel suo rispetto filiale, nella sua adesione alla volontà del Padre, ottiene di "imparare l'ubbidienza", non tanto per sé, ma per noi. La preghiera davanti alla Passione non coinvolge solo Gesù, ma tutti noi. Attraverso la preghiera egli diviene "causa di salvezza eterna", perché solo attraverso la sua adesione alla volontà del Padre noi tutti possiamo diventare obbedienti, figli, fratelli tra noi, resi capaci di amare.