Omelia (09-04-2006)
don Romeo Maggioni
Veramente quest'uomo era il Figlio di Dio

É sempre un momento commovente e drammatico accostare la passione di Gesù: ne siamo coinvolti perché ce ne sentiamo partecipi e responsabili.
E' il dramma della storia: nella croce di Cristo si condensa il difficile rapporto dell'uomo con Dio, là dove giunge l'onda pesante del rifiuto umano a scontrarsi con un'onda altrettanto e più pesante di "colui che dà la vita per i propri amici" (Gv 15,13). La croce è la rivelazione paradossale del Dio cristiano, lo "spettacolo" (cf. Lc 23,48) che Dio ha voluto dare di sé morendo per la nostra salvezza. E' un uomo fallito quel che pende dalla croce; riconoscerlo Dio come ha saputo fare un pagano è tutta l'avventura della nostra fede: "Veramente quest'uomo era il Figlio di Dio".

1) UN DIO "FALLITO"

"Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela posero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: Salve, re dei Giudei". Un re deriso, da burla! Il mondo da sempre se ne ride di un Dio che si presente fragile e sconfitto dal potere degli uomini. Al Palatino a Roma v'è un graffito: un uomo crocifisso con una testa d'asino; ecco quel che credono i cristiani, si dicevano con scherno i pagani. Pilato lo pospone a Barabba e, "volendo dare soddisfazione alla moltitudine", lo manda ad essere crocifisso. I capi religiosi rifiutano un Messia che non corrisponde alle loro aspettative: "Avete udito la bestemmia. Tutti sentenziarono che era reo di morte. E cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo e a dirgli: Indovina!". La gente comune sotto la croce dice: "Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo". S'è sempre pensato che Dio sia onnipotente e vinca sempre! Che ne facciamo di un Dio fallito!

Chi gli è stato vicino non capisce, lo abbandona o lo tradisce. Al Getsemani tutti dormono: "Li trovò addormentati e disse a Pietro: Simone dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola?". Giuda lo vende con un bacio traditore. Tutti fuggono. Pietro lo rinnega tre volte: "Non conosco quell'uomo che voi dite". Gesù l'aveva predetto: "Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse". Scriverà san Paolo: "Nella notte in cui veniva tradito..., disse: Questo è il mio corpo che è per voi" (1Cor 11,23.25). Come risposta al tradimento ci lasciò per sempre nell'Eucaristia il suo corpo spezzato e il suo sangue sparso.

Gesù stesso vive un difficile dramma di abbandono e di prova: "Cominciò a sentire paura e angoscia, e disse: La mia anima è triste fino alla morte". Nessuno come lui sapeva della paternità di Dio, e l'invoca in un atto supremo d'aiuto: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!". Ma ne sperimenta l'abbandono: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Dirà Paolo: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Cor 5,21). Anzi è stato fatto "maledizione per noi" (Gal 3,13) ), ha cioè sperimentato "l'inferno", l'assenza di Dio. Un Dio, quello cristiano, che ha voluto trapassare tutte le esperienze anche più tragiche dell'uomo, perché da lì, dal fondo, potesse riportarlo alla vita! "Egli è stato provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato" (Eb 4,15).

2) UN DIO "SVUOTATO"

Un perché c'è a tanta tragedia: il nostro è un Dio "fallito" perché è un Dio che s'è "svuotato"! "Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, divenendo simile agli uomini..". Un Dio, il nostro che, divenuto uomo, s'è messo all'ultimo posto perché anche il più povero degli uomini non si sentisse a disagio davanti a Lui! S'è messo a lavare i piedi.. Dirà san Paolo: "Il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20).
Ma questo uomo che Dio è venuto ad amare condividendone la vita, cioè ognuno di noi, è un ribelle e rifiuta il dono di Dio. Per questo il nostro Dio ha voluto divenire uomo perché finalmente un uomo - e nome nostro e per noi - incominciasse ad essere obbediente al Padre. "Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce". Dirà ancora san Paolo: "Pur essendo figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza per coloro che gli obbediscono" (Eb 5,8-9).

L'atteggiamento di Dio nei confronti dell'uomo ribelle poteva essere di condanna; e condanna del suo male c'è stata, caricando quell'uomo Gesù - Suo Figlio - ad essere espiazione e riconciliazione per noi, chiedendo lui perdono e pagando il riscatto per noi. "Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza" (Rm 3,25). Diviene il Servo sofferente di cui parla Isaia, che "non si è tirato indietro" (I lett.) ma ha detto: "Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre" (Eb 10,7.10).

Compiuta la sua missione, il Figlio di Dio che si fa uomo e che da uomo ha obbedito pienamente al Padre, viene reintegrato alla sua dignità divina, portando ora con sé, a sedere alla destra del Padre, anche tutta la nostra umanità da lui assunta e salvata. "Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome..., e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore" (II lett.).
E' tutto il mistero cristiano, e il nocciolo della nostra fede: come il centurione romano siamo chiamati a riconoscere in quell'uomo "che spira in quel modo, veramente il Figlio di Dio", attoniti e riconoscenti di aver scoperto un Dio che "con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci conquistò la salvezza" (Prefazio).

Ne abbiamo da stupirci vivendo con partecipazione appassionata questa Settimana santa che si apre chiedendoci di rinnovare il gesto di accoglienza e di fede fatto in quel giorno a Gerusalemme: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore".