Omelia (29-03-2002)
padre Raniero Cantalamessa
Non ci ha amato per scherzo: meditazione sulla Passione

Se siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione (Rom. 6, 5). Qual è la morte "simile a quella di Cristo" che san Paolo ci inculca in questo testo? Non quella esteriore del corpo, legata a circostanze tanto straordinarie: flagellazione, coronazione di spine, crocifissione. E quella interiore, quella del cuore! La prima potrebbe capitare una sola volta in vita; la seconda può essere di ogni giorno.
Cristo morì nell'anima, prima che nel corpo. Morì quando accettò di essere sconfitto e schiacciato dai propri nemici; quando permise che essi lo calpestassero come si fa con un nemico caduto a terra, al quale si mette un piede sul petto e si grida: Muoviti ora se ne sei capace! Mori quando accettò - forse nel momento stesso che pronunciò la parabola - di essere il chicco di grano che muore sotto terra; sotto terra, cioè là dove nessuno si accorge che tu stai morendo e nessuno grida per te. Lì, nel profondo del cuore, fu la vera morte salvatrice di Gesù, perché lì mori a se stesso; lì il nuovo Adamo spogliò se stesso .. facendosi obbediente fino alla morte (Fil. 2, 7-8).
Poteva Dio Padre comandare le cose che fecero a Gesù i suoi nemici? No! Dio non può comandare il male; le cose che fecero a Gesù rappresentano il fondo del mistero di iniquità del mondo. Gesù obbedì al Padre, nel senso che perdonando i nemici, egli si adeguò fino in fondo alla volontà del Padre che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Gesù accettò che i suoi nemici che lo conducevano alla croce "vivessero", perciò li perdonò: Padre perdona loro... " Perdonate, e così sarete figli del Padre vostro il quale fa piovere sui giusti e sugli ingiusti ". Mistero profondo della misericordia di Dio! Nella morte dell'"io " si annulla la differenza e si attua la conformità alla volontà di Dio, perciò si dice di Gesù che oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia (1 Pt.2, 23). " Rimetteva la causa a Dio", non perché punisse i malfattori, ma perché, per quanto stava in lui, fatta salva la loro libertà, li salvasse. " Non minacciava vendetta", cioè non rimuginava nel suo cuore le parole e le ragioni che aveva da opporre ai suoi avversari; non guardava " da chi " soffriva, ma " per chi" soffriva.
Una morte simile a quella di Gesù (il " Sono crocifisso con Cristo " di Paolo) significa proprio questo, cioè: Non sono più io che vivo (Gal. 2, 20): mi sono lasciato spogliare delle mie ragioni; il mio " io " è stato calpestato, ma io non urlo nel cuore la mia ira e il mio risentimento, ma piuttosto, anche se tra le lacrime, grido la mia libertà. Ora solo può cominciare a vivere in me Cristo, quel Cristo che accettò per primo la stessa mia sorte, che fu umiliato e offeso come me, molto più di me.
Nessuno dica di avere conosciuto l'amore di Dio infuso nel suo cuore per mezzo dello Spirito Santo, finché questo amore non gli è servito, almeno una volta, per amare così' un nemico; finché ha solo amato chi lo amava e perdonato chi gli chiedeva perdono.


Guardiamo più da vicino, se ci è possibile, questa morte dell'anima di Gesù che precedette e accompagnò quella del corpo e che gli fece esclamare: La mia anima è triste fino alla morte (Mc. 14, 34). Nel Getsemani, si consumò un dramma per noi insondabile; Gesù visse, in grado sommo, quella che i mistici hanno chiamato " la notte oscura " dell'anima. L'attrazione infinita d'amore che c'era tra il Padre e il Figlio prediletto fu come attraversata da una repulsione altrettanto infinita, perché Dio odia infinitamente il peccato e Gesù si è fatto, ai suoi occhi, " peccato " perché mi hai abbandonato? (Mt. 27, 46), fu appunto perché fece l'esperienza della scomparsa del Padre; fu come se il Padre, dopo aver operato " il giudizio del mondo "e condannato il peccato, se ne andasse, si allontanasse quasi materialmente da Gesù, lasciandolo solo sulla croce. Così' l'uomo avrebbe finalmente capito cosa significa fare a meno di Dio, rifiutano, peccare!
Ha scritto una mistica: " Fu nel Cristo dolore indicibile, molteplice e misterioso. Il dolore più alto che si possa immaginare, destinatogli dalla sapienza di Dio. La volontà di Dio, infatti, che nessuna mente umana può definite che è eternamente congiunta a Cristo, riservò a lui il culmine di tutti i dolori. Di quanto la volontà di Dio supera in meraviglia ogni cosa, di tanto fu più intenso e profondo il dolore di Cristo. Un dolore acutissimo, indescrivibile, dispensato dalla volontà di Dio, cosi immenso che nessuna mente è cosi grande e capace da poterlo comprendere. La volontà di Dio fu la fonte e l'origine di tutti i dolori che vennero in Cristo: da essa derivarono e in essa si compirono.
In Cristo vi fu anche un dolore particolare, derivante dalla luce di Dio che egli in sé possedeva. Dio, luce ineffabile, illuminando Cristo in un modo che a noi non è dato pensare, e unendolo a sé in questa sua eterna volontà, e trasformandolo in questa luce divina, procurava a Cristo un dolore che non c'è bocca che possa esprimere. Cristo vedeva che gli veniva data una misura infinita di dolore, che, per la sua stessa indicibile profondità, sarebbe rimasto impenetrabile ad ogni natura. Di tale dolore, visto nel lume divino che gli veniva dato, la volontà di Dio fu la sorgente e l'origine.

Anche a noi, che meditiamo in questo giorno la sua passione, Cristo ripete le parole che disse un giorno alla Beata Angela da Foligno: " Non ti ho amato per scherzo! " e ancora: "Non ti ho conosciuto standomene lontano ". Chi ascoltò la prima volta queste parole ne fu colpita come da " una ferita di dolore " perché vedeva che in lei avveniva tutto il contrario: che il suo amore non era che per scherzo, all'acqua di rose, incapace di accettare un po' dei dolori del Redentore. Ed era una santa! Che dire di noi?
La meditazione della passione dell'anima del nostro Redentore non deve ispirarci solo contrizione e dolore, ma anche speranza. Speranza per noi e per i fratelli; da essa dobbiamo attingere le parole da dire a chi, nella vita, è umiliato e offeso, a chi è oppresso e calpestato, a chi, come Gesù, è un vinto. Vinto da ogni sorta di nemico, compreso quello più terribile di tutti "l'ultimo nemico" che è la morte. C'è una forma di questa sconfitta di fronte alla vita che è assaporata, in questo momento, da tanti fratelli intorno a noi, forse nella nostra stessa casa. Essa ci fa tanto paura che neppure osiamo nominarla ad alta voce; la chiamiamo: "il male brutto", o "quel male". Un male, di fronte al quale si lotta con la certezza di essere già dei vinti, mortalmente vinti. Questa malattia rende tanto vicini al Gesù del Venerdì Santo e, in particolare, al Gesù del Getsemani. Bisogna non nascondere a chi è colpito da questo male una tale speranza, perché in essa si nasconde il loro riscatto e la loro vittoria. Gesù fu vinto, ma anche vincitore, anzi vincitore proprio perché vinto <" Victor quia victima", dice sant'Agostino). Attacchiamoci pure a tutti i rimedi e le speranze della scienza
Terminiamo questa meditazione, dicendo semplicemente: Grazie, Gesù, perché hai sofferto per noi tutto ciò che hai sofferto e perdonaci se finora non ti abbiamo saputo riamare che "per scherzo.