Omelia (13-04-2006)
padre Gian Franco Scarpitta
Domenica non è solo festivo

Al capitolo 4 del libro della Genesi compare un personaggio che ha fatto sbizzarrire i teologi e i Padri della Chiesa per la sua posizione nelle Scritture: Melkisedek, il cui nome vuol dire "Re di giustizia e di pace". Mentre Abramo ritorna dalla battaglia contro quattro monarchi, gli va incontro e lo benedice. Poi offre pane e vino, perché oltre che Re di Salem è anche Sacerdote del Dio altissimo.
Melkisedek compare anche al capitolo 7 della Lettera agli Ebrei, dove viene elogiato per essere sacerdote in eterno simile al Figlio di Dio nonché superiore allo stesso Abramo e ai sacerdoti Leviti del tempo. Egli quindi prefigura Cristo, il vero ed eterno sacerdote di un sacerdozio intramontabile che realizza la nuova alleanza e che non sarà più sostituito né superato da nessun altro.
Dove si evince tale sacerdozio di Cristo?
Innanzitutto dal fatto –come afferma sempre la Lettera agli Ebrei (capp. 8 – 10)- che, mentre i sacerdoti antecedenti avevano bisogno di entrare ripetutamente nei santuari per compiere i sacrifici di espiazione con vittime animali, egli "entra nel Santuario una volta per tutte", cioè realizza il sacrificio nel santuario (o tempio) che è il suo corpo e non ha bisogno di alcuna vittima animale, in quanto vero agnello innocente ed immolato è lui stesso. Cristo stesso è l'Agnello di Dio che offre se stesso per riscattare i peccati dell'umanità e nel suo sangue realizza la nuova ed eterna alleanza e pertanto in questo si qualifica sacerdote in eterno. Sacrificato sulla croce, Cristo salva l'umanità dai peccati.
Di questo sacrificio un elemento che va ricordato in modo particolare è il sangue: la prima Lettura, tratta dal libro dell'Esodo afferma che esso fu di importanza vitale per gli Israeliti poiché, sparso sugli stipiti delle porte delle loro case, ottenne loro che la decima piaga di Dio colpisse solo le abitazioni degli Israeliti con la morte dei primogeniti e la vita del popolo di Israele stesso; durante i riti di espiazione (Lev 4)sempre il sangue delle vittime animali veniva sparso sull'altare o sui corni; nel significare l'alleanza fra Dio e il popolo di Israele, Mosè sparge il sangue oltre che sull'altare anche sul popolo ivi radunato (Es 24, 8). Ora il sangue di Cristo sulla croce è analogamente elemento di sacrificio di espiazione per i peccati dell'umanità intera e realizza la nuova e definitiva alleanza per la salvezza definitiva di tutti e per questo motivo egli può definirsi "sacerdote per sempre alla maniera di Melkisedek"

Sempre in riferimento a questo personaggio, osserviamo che egli "offrì pane e vino". E' difficile mettere in relazione obiettivamente questi elementi con quelli ben più noti dell'Eucarestia, ma il fatto che Melkisedek prefiguri Cristo Sacerdote ci rammenta immediatamente il pane e il vino della nostra salvezza, l'alimento spirituale della vita eterna che riguarda lo stesso Corpo e Sangue di Cristo dato in oblazione durante la Cena prima della passione nella stanza al piano superiore di quella casa a Gerusalemme. E' fuor di dubbio che in quella circostanza Gesù identifica se stesso col pane e con il vino che sta porgendo ai suoi discepoli, visto che i termini sono precisi: "Questo E' il mio corpo... Questo E' il calice del mio sangue", quindi "questo sono io". Lo aveva predetto anche in un'altra circostanza nella quale aveva identificato se stesso come il "pane vivo disceso dal cielo" invitando i discepoli a nutrirsi di lui e ad alimentarsi della sua carne e del suo sangue; ma quello che più colpisce è il fatto che nei gesti compiuti durante quella serata tristissima per lui e gioiosa per tutti gli altri (la commemorazione della Pasqua ebraica) vi era la presentazione prefigurativa del sacrificio cruento al quale si sarebbe sottoposto alcune ore dopo, sicché nel porgere il calice e il pane egli offriva praticamente se stesso nel suo immolarsi vittima di espiazione per il riscatto dell'umanità. E quello della presentazione dell'unico sacrificio della croce doveva essere un atto destinato a perpetuarsi nei secoli per l'edificazione di ogni credente, visto che poi aggiunse quelle famose parole: "Fate questo in memoria di me" E così ancora adesso tutte le volte che si celebra una Messa viene ripresentato agli occhi della nostra fede l'unico sacrifico che il Cristo compì una volta per tutte e noi non possiamo che trarre vantaggio dall'assistervi in atteggiamento di mera contemplazione.
Il dono che Gesù fa' di se stesso nell'essere nostro alimento di vita corrisponde all'essere Amore del Padre; l'amore con cui Egli si accosta alle nostre miserie e con cui intende colmare le nostre lacune; così pure l'amore che vuole lasciarci quale somma e nobile eredità testimoniato nell'esempio pratico più eclatante e commovente quando si china a compiere un gesto umanamente inaudito ma proprio per questo espressivo dell'amore di Dio: lavare i piedi ai suoi discepoli. Tale atto di umilità e di ulteriore abbassamento ci ricorda che non possiamo prescindere dall'aiutarci e servirci gli uni gli altri e che è indispensabile che noi ci si ami a vicenda di vero amore costituito non già dalla vacuità delle parole ma innanzitutto dalla costruzione del nostro essere per poter poi agire nelle opere concrete.

A motivo di quelle ultime parole "Fate questo in memoria di me"Eucarestia è ancora oggi il cibo indispensabile e insostituibile per la vita vera di ogni cristiano in quanto si tratta di mangiare la carne dello stesso Signore e di acquisirne tutta la portata spirituale; nel pane vivo disceso dal cielo che noi mangiamo tutte le domeniche non possiamo non avere coscienza di trarre nutrimento di Colui che, non contento di essersi fatto uomo per vivere la nostra storia, ha deciso di farsi anche nostro alimento, ossia di farsi materialmente mangiare perché noi traessimo forza e capacità di costanza e di slancio in tutto il nostro quotidiano, sicché ogni cristiano, forte di essere stato privilegiato dal suo Signore in tanta misura, dovrebbe provare entusiasmo per la Domenica e non esitare a viverla con estrema pienezza e convinzione.
Tale giorno calendario considera solo festivo, per noi tutti è invece un giorno FESTOSO per la carica di gioia e di letizia che dovrebbe caratterizzarci nel ritrovarci attorno alla Mensa Eucaristica a condividere la Parola fra di noi e soprattutto a compartire nella gioia il Signore che ci si offre nelle specie di una piccola Ostia di vita e di salvezza rammentando la sua oblazione sacrificale sulla croce Perché la Messa Domenicale viene disertata da migliaia di credenti che pure si professano cattolici convinti? Perché la si ritiene superflua e innecessaria quando in realtà costituisce l'elemento cardine della nostra vita cristiana, essendo occasione di comunione effettiva e sostanziale con il Signore e fra di noi? Perché coloro che la frequentano restano in parte impassibili e vuoti di fronte al Sacramento e noi tutti (fatte le debite eccezioni) torniamo alle nostre faccende con il fare scanzonato di sempre? Perché io sacerdote molte volte celebro il rito semplicemente formulando quelle famose parole ma non immedesimandomi in esse?
Probabilmente perché non si è ancora acquisita coscienza piena ed effettiva del patrimonio spirituale di grandezza che è contenuto nel mistero eucaristico, e che esso è garanzia unica per la nostra vita mentre senza di esso siamo solo in preda all'illusione e alle false certezze. Certo, se l'Eucarestia la si riceve con freddezza e distacco, per pura consuetudine e quanto basta per aver regolato i conti con la nostra coscienza in merito alle norme di precetto, essa non produrrà effetto alcuno colpevole la nostra stessa chiusura e indifferenza; ma se ad essa ci si accosterà riflettendo e meditando sul mistero del pane di vita che si offre all'uomo nella piena gratuità e considerando il valore e l'importanza dell'alimento di vita spirituale che è sostegno tutte le circostanze del nostro esistere, allora essa non mancherà di incidere nella nostra vita e di apportarvi gli opportuni cambiamenti di santificazione e di progresso spirituale che fondamentalmente noi avvertiamo come necessari.