Omelia (20-07-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Marco 6, 30-34 Gesù non si fida dell'entusiasmo: sa che svanisce di fronte alle prime difficoltà (cfr Mc 4,16-17) e che non è segno di fede. E' la situazione che viene descritta in questo brano. I discepoli sono presi dall'entusiasmo e raccontano a Gesù tutto quello che avevano fatto e insegnato. Il risultato della loro missione è lì sotto gli occhi di tutti, in quella gente che va e viene e non lascia più loro neppure il tempo per mangiare. Risultato strepitoso. Quella gente li fa sentire veramente "pescatori di uomini" (cfr Mc 1,7) realizzati. Questo racconto mira a rispecchiare già la futura immagine dell'attività missionaria della Chiesa: fare e insegnare come Gesù. Dopo le guarigioni descritte nel primo capitolo di questo vangelo, Gesù si era ritirato in un luogo deserto a pregare (1,35) e alla provocante espressione: "Tutti ti cercano" (1,37) aveva risposto con un atteggiamento, umanamente parlando, poco intelligente: "Andiamocene altrove!" (1,38). Gesù non sfrutta mai le occasioni favorevoli della popolarità e dell'entusiasmo viscerale: ci vuol ben altro per recidere alla radice il peccato del mondo e per immettere la novità di Dio in un'umanità così malandata. In questo brano, l'entusiasmo della folla è per i discepoli oltre che per Gesù. In questa cornice, la parola di Gesù: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'" (v.31) acquista il suo giusto valore. Gesù li vuole sfebbrare (cfr Lc 10,17-20). L'entusiasmo è pericoloso: per la folla e per i discepoli. L'insegnamento è chiaro: se vogliamo evitare i pericoli della popolarità, non dobbiamo lasciarci travolgere dall'entusiasmo viscerale e acritico che fa perdere il senso del limite e dà i fumi alla testa. L'antidoto è la solitudine e la preghiera. Gesù ha pietà della folla perché è disorganizzata. Non c'è nessuno che si occupi di essa ed è abbandonata a se stessa: non forma un popolo, ma un'accozzaglia di gente. La pietà di Gesù si traduce in insegnamento. Nel vangelo di Marco, quando Gesù si trova con la folla si può stare certi che non perderà l'occasione per istruirla. Il seguito del vangelo ribadirà, con maggiore forza, questo comportamento costante di Gesù: "La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare" (10,1). Il legame che Marco instaura tra insegnamento e formazione di un popolo non è artificiale. Siamo davanti a un gregge senza pastore: solo la parola di Gesù può radunare e riunire gli smarriti e i dispersi. E dopo la parola, il pane; parola e pane che saziano la fame integrale delle folle: come nelle nostre Eucaristie. Viene in mente l'inquietudine di Mosè, ormai prossimo alla morte, quando chiese a Dio di provvedere alla sua successione dando un capo alla comunità radunata nel deserto (Nm 27,15-17). Anche Ezechiele confidava ai suoi ascoltatori la speranza che Dio si sarebbe preso personalmente cura del proprio gregge procurandogli un buon pasto e dandogli come pastore un nuovo Davide per porre fine al suo errare (Ez 34). Il salmo 23 aveva ripreso questo tema del Dio-pastore che offre al suo popolo il riposo per rinfrancarlo e apparecchiargli la mensa. Il riposo dei discepoli consiste nel bere alla fonte della misericordia divina, incarnata in Gesù, e nel fare propria la tenerezza di Dio per il suo popolo: così si impara a diventare apostoli. Gesù li invita a fare propria la sua ansia per le folle: ciò implica il preciso impegno di istruirle e di nutrirle (6,37-41) prima di concedersi il tempo per mangiare e riposarsi (6,31). Assumendo la sua missione di Pastore-Messia annunciato dai profeti (Es 34,23-25; 37,24) e invocato dalla preghiera del popolo ebraico (Sal 74,1; 77,21; 78,52-53.70-72, 80,1), Gesù comincia ad insegnare loro molte cose (v. 34). Marco, che attribuisce sempre molta importanza all'insegnamento di Gesù, non ne specifica mai il contenuto, come se volesse far capire che questo contenuto è la persona stessa di Gesù. |