Omelia (14-04-2006)
padre Gian Franco Scarpitta
Imparare l'obbedienza

Chi non ha mai trascorso un conveniente periodo da suddito difficilmente potrà essere all'altezza di ruoli di governo o di alta responsabilità, poiché, non avendo fatto esperienza in prima persona dell'obbedienza e della sottomissione con cui si deve rendere conto di ogni cosa agli altri, impartirà ordini spropositati e irrazionali, senza distinguere i vari soggetti che dovranno eseguirli o sulle varie capacità e inclinazioni dei sudditti, con la conseguenza di affidare compiti a chi di fatto non è in grado di eseguirli o a chi non ha la competenza necessaria. Con la conseguenza della rovina del gruppo, dell'azienda o della società a lui affidata. Ma soprattutto, chi non ha vissuto la sottomissione e l'obbedienza non di rado sarà indotto a mancare di considerazione verso i propri sudditi, che per lui saranno solo strumenti validi per la sola efficienza e utilità e non già singoli soggetti umani la cui persona richiede di essere rispettata e apprezzata. In ultima analisi, chi non è mai stato capace di obbedire non potrà essere capace di comandare poiché non avrà capito che qualsiasi autorità è servizio e si dispiega nella finalità del bene degli stessi sudditi e dell'intero corpo da lui diretto.
E' abile al governo poi chi ha capito che l'obbedienza è sempre dolorosa, anche nelle minime circostanze e nelle occasioni più insignificanti. Tutte le volte che si obbedisce infatti si rinuncia sempre alla propria volontà per realizzare quella di un altro, quindi si è costretti ad abbandonare i propri desideri e le proprie convinzioni e nella maggior parte dei casi anche il proprio agio e le comodità. Chi non si è mai lamentato almeno una volta, nello studio o nell'attività professionale, degli ordini che gli derivavano dal proprio Superiore? Chi non vi ha mai posto almeno un'obiezione? Obbedire equivale sempre a patire e a immolarsi in un sacrificio a volte inaspettato e indesiderato.

Questa è una delle tante lezioni che ci provengono dal costato trafitto di Gesù Cristo. Chi potrebbe mai offrirci una vera pedagogia di governo quale servizio e immolazione per gli altri se non il Dio Signore e Re dell'Universo che ha accettato di morire trucemente per la nostra salvezza?
Come afferma l'autore della Lettera agli Ebrei (II Lettura) Cristo "imparò l'obbedienza dalle cose che patì"; altrove si afferma che egli "per noi si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce", il che vuol dire che ha voluto prescindere dal pieno esercizio della propria autonomia e della signoria divina che gli erano proprie per rendersi in tutto sottomesso al Padre che lo sta consegnando alle mani dei carnefici per il riscatto dell'umanità; sicché il Dio Signore e Re dell'universo esercita il suo dominio non spadroneggiando (come avrebbe potuto fare a ragione e con diritto) ma sottomettendosi in modo servile alla più macabra delle condizioni per cui si è chiamati ad obbedire: affronta le catene dell'arresto, il flagello, lo scherno, l'insulto, lo sputo, il peso del legno di supplizio recato sulle spalle, i chiodi che lo appendono, l'agonia che lo vede sbiancare sfinito ed esalare l'ultimo respiro perché il Padre così ha stabilito in vista del riscatto e della salvezza degli uomini, ala stregua del Servo Sofferente sfigurato di cui in Isaia 52 - 53. Lui che come Dio fin dall'eternità è costerno e uguale nella dignità al Padre, decide di prostrasi in questo atto di obbedienza straziante e doloroso. E anche in questo condivide l'esperienza umana del dolore poiché in tutto il suo soffrire sperimenta la vera sottomissione che è irta di umiliazioni e comporta l'annientamento di se stessi perché altri vengano esaltati, la rinuncia ai propri meriti e alle ricompense e la vessazione di dover sopportare in silenzio le altrui ingiustizie.
Solo chi ama è in grado di accettare tali parametri di annichilimento e di sottomissione, e in effetti la croce di Cristo trova la sua spiegazione nell'amore per l'umanità e per ciò stesso nella volontà di espiare tutte le colpe e assorbire su di se tutte le pene degli uomini: l'autoconsegna di Gesù ai propri uccisori vuole infatti significare solo che Dio in lui spasima di amore per tutti gli uomini affinché nessuno si persa ma tutti ritornino alla comunione con Lui per la vita e la salvezza eterna e per quanto possa essere paradossale noi assistiamo al mistero di un Dio che "impazzisce per l'uomo" giacché in alcuni punti della Scrittura la croce è sinonimo di pazzia e di irragionevolezza e del resto proprio in ciò che è umanamente stolto Dio rivela la sua gloria.

Ma se Cristo ci insegna l'obbedienza sinonimo di amore per l'umanità ciò vuol dire che non possiamo trovare giustificazione alcuna nel dover obbedire a lui. Che poi non si tratta di obbedire in senso servile quanto piuttosto di vivere la piena comunione con lui facendo riferimento alla sua parola, al suo esempio e al suo insegnamento e soprattutto accettando di buon grado tutti le immolazioni e le percosse che ci riserva l'obbedienza continua alle asperità del nostro quotidiano.