Omelia (09-04-2006) |
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Commento Marco 14,1- 15,47 (forma breve: Marco 15,1-39) * Quando si legge una storia per la prima volta, mano a mano che si procede nella lettura comincia a insinuarsi nella mente il desiderio di venire a sapere come la storia "va a finire"... ma così facendo si corre talvolta il rischio di perdere per strada qualche perla narrativa magari disseminata volutamente qua e là dall'autore della storia proprio come antidoto contro il virus della fretta di leggere... La fretta infatti, con tutto quel che ne consegue sembra essere uno dei mali dell'uomo d'oggi. Quando si legge invece una storia o un racconto dove si sa già come "va a finire" la vicenda, questo rischio non si corre più e quindi la mente e il cuore rimangono liberi di muoversi con più calma, di soffermarsi a godere dei dettagli narrativi... e paradossalmente magari addirittura chiedersi "come è cominciata la storia". * Il racconto della passione e morte di Gesù riportato dall'evangelista Marco è notissimo da quasi duemila anni e tutti sanno "come va a finire", così come tutti sanno "come è iniziato". Cosa poter allora ancora ricavarne in termini di insegnamento per la propria vita spirituale? Tra i tanti "insegnamenti" che lo Spirito suggerisce mi piace segnalare questo: la consapevolezza da parte di Gesù della tragica morte imminente non gli impedisce di vivere il "qui ed ora" delle relazioni con le persone. Mi stupisce fino alla commozione vedere Gesù vivere la normalità della quotidianità accettando di andare a cena da Simone a Betania, di farsi accarezzare e ungere di unguento di autentico nardo da parte di una donna senza farsi schiacciare dall'angoscia al pensiero di quello che gli sarebbe accaduto di lì a poco tempo... * Mi stupisce ancor di più, durante un'altra cena, l'ultima addirittura, vedere Gesù non soccombere all'angoscia di morte né alla rabbia contro Giuda il traditore ma "cercare" normalmente con i suoi, addirittura avere il guizzo creativo di inventare l'Eucarestia (che rimarrà il modo più nutriente di voler essere presente fino alla fine del mondo) e perché questa non rischi di diventare solitaria goduria spirituale affiancarla con l'umile azione di carità fraterna (lavanda dei piedi...). Cosa ricavarne allora per le nostre anime (e i nostri cuori pieni d'angoscia?) e per le nostre menti spesso turbate da mille problemi e da tante preoccupazioni? Cosa ricavarne allora in termini di strategia di vita quotidiana con la morte a fare l'occhietto sulla porta di casa o addirittura dentro casa? Cosa ricavarne in termini di atteggiamento esistenziale congruo da adottare pur nella consapevolezza della spada di Damocle dondolante sulle nostre teste? Ricavarne semplicemente di vivere il "qui e ora" nella quotidianità spicciola e concreta della fraternità dei rapporti non lasciandoci vincere dall'angoscia di quel che ci potrà accadere di brutto... perché per quanto brutto sarà sappiamo "come andrà a finire" poi veramente... E che bello (e Dio lo voglia) quando ce lo racconteremo passeggiando fra gli spazi infiniti dei giardini eterni, sentendo magari ogni tanto Gesù con voce sorridente sussurrarci: "ve l'avevo detto, no?" Commento a cura del prof. Gigi Avanti |