Omelia (09-04-2006)
mons. Ilvo Corniglia
Commento Marco 14,1- 15,47 (forma breve: Marco 15,1-39)

La liturgia di oggi ci presenta due grandi scene: la prima di gioia, l'altra di dolore.
Prima scena: l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, acclamato come re da una folla entusiasta (Mc 11, 1-10). I cristiani oggi, con la medesima esultanza, si stringono al loro Signore, ormai vivo per sempre in mezzo a loro. Gesù entra nella Città Santa per affrontare la sua passione. Tale ingresso, però, è un annuncio della vittoria strabiliante che Egli riporterà sulla morte. I fedeli si associano a Lui e rivivranno in questi giorni il suo dramma, con lo sguardo orientato verso il traguardo della risurrezione. Il ramoscello di palma o di olivo - che portiamo a casa o regaliamo a qualcuno- non è un portafortuna, ma un segno-ricordo dell'esperienza di fede in Gesù che oggi abbiamo fatto e un richiamo a restargli fedeli.
Seconda grande scena: il racconto della passione del Signore secondo Marco. L'evangelista ha ricevuto questa storia da testimoni oculari - in primo luogo da Pietro, di cui era discepolo -, da persone ormai certe che il Crocifisso era risorto, lo avevano incontrato, e consideravano la tragedia finale della sua vita un immenso tesoro da non dimenticare.
E' un dono, e anche un grande atto di saggezza, sostare in ascolto e in contemplazione davanti alla Passione del Signore. Marco, in modo molto visualizzato, ce la fa scorrere davanti agli occhi nella successione delle sue tragiche sequenze. Il cuore si riempirà di gratitudine.
Focalizziamo l'attenzione su due momenti estremamente significativi, che si corrispondono: la preghiera di Gesù nell'orto degli Ulivi e il suo grido desolato sulla croce.
- Marco descrive anzitutto la "passione interiore" di Gesù. Schiacciato dall'angoscia e da una tristezza mortale, Egli la confida al Padre nel suo dialogo solitario con Lui, mentre i discepoli dormono: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a Te...". In questa preghiera Gesù manifesta la consapevolezza del proprio rapporto filiale con Dio: "Abbà" (= papà, babbo). Nei Vangeli questo termine si trova solo in Marco. Se Dio è suo Padre e può tutto, perché non lo sottrae alla prova? Ma immediatamente scatta la fiducia rinnovata e l'abbandono senza riserve: "Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi Tu!". Nella preghiera Gesù trova la forza per superare la tentazione, rimanendo fedele a Dio e accettando la Passione. Nella preghiera Gesù viene come trasformato: rinuncia alla sua volontà per abbracciare, in una resa incondizionata, la volontà del Padre. Si rivela, così, veramente "Figlio di Dio", a Lui perfettamente unito nell'amore. Anche a me Gesù chiede di ripetere con Lui al Padre, in ogni circostanza fosse pure drammatica: "ciò che tu vuoi anch'io lo voglio!".
L'agonia di Gesù continua nella storia della Chiesa, nella storia dell'umanità sofferente, nella storia di milioni di uomini terribilmente provati nel corpo e nello spirito. In ciascuno di essi Gesù - il quale "agonizza sino alla fine del mondo" (Pascal)- continua a implorare la nostra attenzione, continua a ripeterci nel tentativo di scuoterci dal sonno: "Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola?". E' difficile cancellare dal nostro animo la scena di Gesù che, in preda a indicibile angoscia, va mendicando un po' di compagnia per la sua solitudine. E gli amici gli hanno negato la loro presenza vigile e amorevole. Gli amici non lo hanno capito. Non hanno capito il dramma che Egli viveva. Gli amici dormivano. Quante volte Gesù ci passa accanto implorando un gesto di attenzione, di solidarietà, di amicizia!...E' un nostro fratello povero, bisognoso soprattutto di affetto...E' sempre Lui, Gesù, e noi...restiamo insensibili, continuiamo a dormire?
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Queste parole, le uniche che Marco -seguito da Matteo- pone sulle labbra di Gesù morente, esprimono una desolazione estrema: l'isolamento di Gesù è totale, la sua solitudine è senza misura. Anche il Padre tace e pare abbandonarlo completamente, ritirando la sua presenza. Gesù rivive il dramma spirituale dell'uomo giusto, oppresso, di cui Dio sembra non ricordarsi, perché non lo protegge (cfr. Sal. 22 etc.).
Un motivo, poi, di particolare sofferenza per Gesù sta nel fatto che la sua "causa" è la "causa" di tutti i poveri a cui si è legato, i quali perdendo Lui perdono la speranza di risolvere la loro situazione. Dio non
interviene e sembra, così, smentire, anzi condannare tutto l'impegno di Gesù per i poveri, mostrando che la sua approvazione va ai capi del popolo che lo hanno mandato a morte.
Di più, Gesù vive il dramma unico del "figlio" che si sente abbandonato da colui che egli considerava e chiamava il suo "Abba" (=papà): la sua morte, allora, è vista come la rovina e il fallimento della "causa" stessa di Dio. Ma, più profondamente ancora, la ragione ultima espressa nel grido di Gesù dovremmo ricercarla nella sua scelta di spingere la sua solidarietà con gli uomini peccatori fino alle estreme conseguenze. Fino al punto, cioè, di sperimentare, di assaporare l'abisso della lontananza da Dio in cui si trovano gli uomini che sono preda del peccato. Durante l'esistenza terrena essi forse non avvertono, a un livello di coscienza riflessa, questo mostruoso stato di separazione da Dio e quindi di morte. Lui, Gesù, lo ha condiviso e vissuto con tragica lucidità, trasformandolo però in amore. "Mentre si identifica col nostro peccato, "abbandonato" dal Padre, Egli "si abbandona" nelle mani del Padre" (NMI 26). Così Gesù, gridando sulla croce, fa suo il grido di tutti i poveri, sofferenti, oppressi della storia. Fa suo il grido dell'umanità
infelice e lo lancia verso Dio. Non un grido di disperazione, ma di sconfinata fiducia. "Il grido di Gesù sulla croce...non tradisce l'angoscia di un disperato, ma la preghiera del Figlio che offre la sua vita al Padre nell'amore, per la salvezza di tutti" (NMI 26).
Gesù in croce appare come il Povero per eccellenza, il quale riassume in sé tutto il dolore che, dall'ingresso del peccato nel mondo, ha travagliato l'umanità. Sulla croce c'è il Dolore: ecco perché ogni uomo che soffre richiama quasi naturalmente il Crocifisso. Ma - ed è paradossalmente l'altra faccia della stessa realtà - sulla croce c'è l'Amore.
"Non i chiodi tennero Gesù sulla croce, ma l'amore" (Santa Caterina da Siena).
"Se gli angeli potessero invidiare gli uomini, lo farebbero per due motivi: primo, perché Dio ha patito per loro; secondo, perché gli uomini possono patire per Dio" (San Francesco di Sales). Potremmo precisare: "patire col Figlio di Dio". Non soltanto riconoscere il suo "volto dolente" in ogni uomo che soffre. Ma, ogni volta che tu soffri, puoi scoprire accanto a te il Crocifisso che ti chiama: Soffri con me, stringiti a me, unisci la tua pena alla mia. Lascia che io ti associ al mio dolore e possa soffrire in te e con te. Così la tua sofferenza acquisterà l'efficacia redentiva della mia passione.
Il Padre risponderà al grido del Figlio con la risurrezione. L'evangelista però ne scorge già la luce come anticipata in due segni, che sembrano poca cosa, ma hanno un significato profondo: "Il velo del tempio si squarciò in due". Il vecchio tempio di Gerusalemme cederà il posto a un tempio nuovo (= Gesù risorto), aperto anche ai pagani, la cui fede è anticipata dalla confessione del centurione romano: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio". Come è arrivato a tale scoperta? "Vistolo spirare in quel modo". Cioè ha visto Gesù soffrire con tale amore, da intuire che soltanto il Figlio di Dio può soffrire in questo modo, soltanto Dio è capace di un amore così incredibile.
Per Marco qui c'è il culmine del cammino di fede: riconoscere nel fallito che pende dalla croce la realtà di Dio che traspare come Amore. "Il limite del potere del male, la potenza che in definitiva lo vince è la sofferenza di Dio, la sofferenza del Figlio di Dio...Certo, noi dobbiamo fare di tutto per attenuare la sofferenza e impedire l'ingiustizia che provoca la sofferenza degli innocenti. Tuttavia dobbiamo anche fare di tutto perché gli uomini possano scoprire il senso della sofferenza, per essere così in grado di accettare la propria sofferenza e unirla alla sofferenza di Cristo" (Benedetto XVI).

Lungo la settimana troverò il tempo per sostare ancora davanti alla tragica sequenza che il Vangelo oggi ci presenta, e in particolare davanti alle due scene sopra riportate. Contemplando, mi sentirò coinvolto e mi verrà da dire: tutto questo Gesù lo ha fatto per me, pensando a me! Lo ringrazierò. Gli chiederò anche che cosa si aspetta da me come risposta al suo amore.
"Ascolta chi è stato crocifisso, ascoltalo parlare al tuo cuore,
Ascoltalo, Lui che ti dice: Tu vali molto per me". (Giovanni Paolo II)