Omelia (16-04-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Non occorrono rimedi per la morte Se nei giorni scorsi si sentivano ripetere spesso i concetti di sofferenza, immolazione, patibolo, umiliazione, dolore frustrazioni e altri connessi, adesso ci si immerge nel clima rinnovato quanto improvviso che caratterizzerà tutta la nostra giornata fondandola nella gioia, per cui saranno di obbligo i concetti di vittoria, esultanza, letizia, trionfo entusiasmo, amore. E anche il risveglio di questa mattina è stato accompagnato da un'aria festosa e una qualche vena di ottimismo, non importa quali siano le nostre condizioni attuali: abbiamo avvertito una novità per la quale tuttora avvertiamo consolazione e ci sentiremo in dovere, nelle prossime ore, di mettere da parte acredini e rancori per vivere in pienezza la festa: oggi non si può credere alla disperazione o all'abbandono nelle lacrime e il dolore non deve avere la meglio ma deve dissiparsi e lasciare debito spazio all'esultanza per una novità che riguarda l'intera vita dell'uomo. Quale? Dio fattosi uomo, che avevamo visto vittima delle ingiustizie umane e umiliato al punto di essere crocifisso per morire ed essere sepolto fra i comuni mortali, adesso è risuscitato! Il che vuol dire che l'esperienza del divino sulla terra non si è esaurita alla sola umiliazione delle persecuzioni, delle percosse e del flagello, ma è andata oltre alle cattiverie di questo mondo per averne ragione, e soprattutto per sconfiggere la morte. Effettivamente, non vi è un solo personaggio nel Nuovo Testamento che renda testimonianza della Resurrezione in quanto tale, ma le numerose formule di fede e le testimonianze negli Atti e in Paolo che rimontano ai tempi reconditi, come pure l'evidenza dei fatti della tomba vuota e il passaggio dal dubbio alla fede negli apostoli ravvisato nel vangelo (Entrò, vide e credette) rendono per noi certa e definitiva questa verità: Cristo è risorto. Ma soprattutto fondano la nostra fede nel mistero della sconfitta della morte. Dio infatti avrebbe anche potuto evitare di morire, così come alcuni gli avevano detto fra uno sberleffo e l'altro ("Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce e ti crederemo") ma ha preferito affrontarla a mani nude senza ricorso a strumenti di difesa per poterla poi annientare e dimostrare che essa, se pure dall'inizio dei tempi è una costante spiacevole dell'esistenza umana, in realtà non ha sussistenza alcuna. La morte non esiste per chi vede il trapasso con le aspettative della fede, riponendo la propria fiducia e la propria speranza nel Dio che già da sempre si era dichiarato il Dio dei vivi e non dei morti; e anche quando si debbano chiudere gli occhi per sempre si può farlo tranquillamente, forti della certezza che anche per noi vi sarà risurrezione e vita eterna. Se infatti Cristo è risorto ciò vuol dire che anche per noi vi è resurrezione e vita, come lui stesso affermò: "Io sono la Resurrezione e la vita; chiunque vive e crede in me, anche se muore, vivrà". Se è vero che si suole sempre affermare che "solo alla morte non c'è rimedio", il giorno di Pasqua ci istruisce che per la morte non occorre rimedio alcuno. In Cristo risorto noi sperimentiamo che essa è stata debellata definitivamente per cui possiamo esperire solo la vita. Ma ad una condizione: che non siamo noi stessi a procacciarcela con l'esperienza del peccato, poiché la persistenza nel male e nella lontananza da Dio rende vano che Cristo sia morto e risorto: come potremmo noi risorgere con Cristo e fare esperienza della vita se nella perseveranza del peccato deliberiamo da noi stessi la morte? Non per niente San Paolo proclama: "Dov'è o morte la tua vittoria? Dov'è o morte il tuo pungiglione? Pungiglione della morte è il peccato..." E' rammaricante dover pensare che nonostante la letizia apportataci da Cristo risorto, molta gente ancora opterà per la morte, perché sceglierà la trappola dell'illusorio e della vita apparente nella scelta del male. L'illusione di vivere che continua a serpeggiare fra gli uomini chiudendoli nell'indifferenza e nella sconfitta di se stessi si chiama appunto peccato con tutte le stratificazioni che diventano a volte suoi sinonimi: la violenza, l'odio, la vendetta, le ingiustizie e le discriminazioni; come anche la droga, il sesso, l'immoralità dei costumi e delle immagini, l'edonismo che legittima i vizi e i piaceri, la lussuria che altro sono se non la scelta della morte nella disfatta del singolo e della società? Determinate impostazioni di pensiero che legittimano la guerra e la violenza come pure il razzismo e la mancata parità di diritti fra uomo e uomo sono addirittura emblema della cultura del dolore e della morte e lo squilibrio fra l'indigenza di parecchi popoli e l'opulenza economica di altri prospettano la morte come trionfante; tutto questo però non si deve a una qualche lacuna da parte del Signore della vita quanto piuttosto all'ostinazione dell'umanità nel voler fuggire alla salvezza e a voler precipitare nel baratro della perdizione. Ma la Resurrezione non vuole soltanto rassicurarci della sconfitta definitiva della morte. Il termine Pasqua vuol dire infatti "passaggio" anche in altri sensi, come per esempio quello della fine del dolore per l'acquisto della serenità; il termine delle ansie per il sapore della vittoria; la fine delle lotte per il raggiungimento degli obiettivi; la fine delle sofferenze per il gaudio del traguardo... Resurrezione vuol dire insomma il raggiungimento di quanto prima soltanto si sperava e si riteneva meta irraggiungibile e la certezza che tutto è possibile a chi ama Dio. Nel suo volume teologico più famoso, Ratzinger scrive che la Resurrezione è l'essere-più- forte-dell'amore-sulla morte, il che vuol dire che essa si è realizzata da parte di colui che ci ha amati e che ci chiama alla comunione con lui e fra di noi nell'amore e pertanto è nostra consapevole volontà quella di vivere da resuscitati... |