Omelia (09-04-2006)
don Fulvio Bertellini
Si adempiano dunque le Scritture!

Un'interpretazione ostica

"Obbediente fino alla morte": così Paolo riassume il valore della Passione, e così sentiamo cantare nell'acclamazione al Vangelo della domenica delle Palme. Così pure domenica scorsa abbiamo sentito che l'ignoto autore della lettera agli Ebrei identificava il valore della sofferenza di Cristo: "imparò l'obbedienza dalle cose che patì". Quello però che per gli autori dei primi secoli cristiani era un termine chiave per comprendere la croce, diventa per noi ostico e fastidioso. Come scriveva don Milani: "l'obbedienza non è più una virtù", dopo che crimini orrendi sono stati commessi sotto la veste rassicurante dell'eseguire gli ordini ricevuti.
La tentazione di adeguarsi
Eppure anche nel nostro mondo non manca chi continua ad adeguarsi: i soldati agli ordini dei loro generali, i terroristi alle consegne dei loro capi, i manifestanti alle direttive di chi li manovra, i poliziotti che sorvegliano i manifestanti alle direttive del potere politico, perfino il semplice impiegato deve sottostare ad esigenze superiori, anche per operazioni che la sua coscienza ripugna. E vien da chiedersi se alla fine non sarebbe meglio se qualcuno, finalmente, si ribellasse ai comandi e alle imposizioni, e spezzasse questa perfida catena di obbedienza e assenso che conduce il mondo verso il male...

Spezzare la catena dell'assenso

Qui siamo giunti alla radice del problema: il peccato si moltiplica, si diffonde e prospera attraverso un sistema oscuro di consenso, o sarebbe meglio dire di silenzio-assenso, un automatismo feroce che incatena le volontà, ed esige cieca e rassicurante obbedienza, abilmente mascherata sotto le vesti della libertà, del progresso, della realizzazione individuale, del bene dell'economia, del bene della società... l'obbedienza libera di Cristo si oppone al meccanismo del peccato, ed è anche in tal modo che ci salva. Forse dovremmo inventarci un altro termine, meno compromesso, al posto di "obbedienza", ma la Scrittura ci provoca ad usarlo: l'obbedienza scomoda di Cristo e del cristiano, opposta all'adeguamento meccanico alle regole del "mondo".

La ricerca della volontà del Padre

Per Gesù obbedire al Padre significa ricercare innanzitutto la sua volontà. La preghiera nel Getsemani rivela quanto sia impegnativo il percorso di discernimento del bene da compiere: non una generica "buona azione", ma l'azione giusta da fare in quel momento. L'obbedienza cieca, l'adeguamento ai compromessi del "mondo" trova invece subito la ricetta pronta, senza difficoltà, con tutte le giustificazioni del caso. Senza incertezze i capi sentenziano che Gesù ha bestemmiato ed è reo di morte. Con qualche incertezza e qualche calcolo in più, Pilato decide di dar soddisfazione alla folla. La stessa folla che senza discutere si mette ad urlare "crocifiggilo". Crocifissione che i soldati eseguono, senza discutere.

La solitudine

Per Gesù obbedire al Padre significa ritrovarsi solo. E' solo già nell'ultima cena, mentre dice parole e compie gesti che solo lui comprende appieno, e che i discepoli non vogliono intendere. Come non vogliono intendere la preghiera nell'orto, in cui Gesù è lasciato solo a vegliare e lottare. E rimane solo fino alla fine: nel processo, davanti a Pilato, nella flagellazione, nella crocifissione. Fino al punto in cui la preghiera si fa grido, e anche il Padre sembra averlo lasciato: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". L'obbedienza del mondo invece è sempre confortata dal nascondimento nella moltitudine. Insieme condannano Gesù, insieme i soldati lo maltrattano, Pilato se ne lava le mani e lo consegna ai carnefici. In piena comunione e amicizia la folla lo insulta. E qualora il fatto apparisse sotto una luce diversa, ciascuno potrà discolparsi, e scaricare la colpa sugli altri, perché "facevano tutti così", "ce l'hanno comandato, abbiamo dovuto ubbidire".

La comunione e la totalità

Per Gesù obbedire al Padre significa amare con tutto se stesso, con tutta la propria persona. Il gesto principe dell'obbedienza è il gesto eucaristico: "questo è il mio corpo, questo è il mio sangue". Anche il mondo conosce l'amore, e lo riconosce come la cosa più importante della vita. Ma non si tratta di un amore obbediente, perché fa fatica ad essere un amore totale: un amore per sempre, un amore con tutto se stessi, un amore integrale, fino al dono di sé. Il centurione lo scopre ai piedi della croce, lui che fino a quel momento aveva sempre e soltanto eseguito ordini altrui. Anche noi siamo invitati, nella Pasqua del 2006, a riscoprire l'amore esigente e forte di Dio, quale si manifesta nella croce. Che mette in discussione le nostre false libertà, e il nostro conformismo di fatto alle regole del mondo. Sapremo ravvederci, come il centurione?


Flash sulla I lettura

"Mi ha dato una lingua da iniziati": il cosiddetto "terzo canto del Servo del Signore" ci presenta un misterioso personaggio, la cui prima caratteristica è la capacità di parlare, per rivolgersi a chi è sfiduciato, a chi ha perso la speranza.
"... fa attento il mio orecchio": la parola che consola è frutto dell'ascolto, che non significa però una semplice conoscenza intellettuale. L'ascolto autentico è anche obbedienza, duramente pagata di persona.
"Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba": colui che sa ascoltare/ubbidire alla voce di Dio, e che a sua volta vuol trasmetterla a chi rischia di perdere la fede, non ha la garanzia del premio e del riconoscimento. Anzi, andrà sicuramente incontro "agli insulti e agli sputi". Chi siano poi questi flagellatori, non è dato di saperlo: mentre in altri salmi e in altri brani biblici sono chiaramente caratterizzati come i "nemici" di Dio, del popolo, del "consacrato del Signore", qui rimangono ignoti.
Tutto il brano resta dunque aperto a diverse interpretazioni: chi è il misterioso personaggio che parla? Un profeta? Un consacrato di Dio? Una personificazione del popolo stesso? E non meno problematica è l'identificazione della persecuzione a cui si fa riferimento: la devastazione di Gerusalemme? La condizione degli ebrei esiliati? O forse anche una persecuzione interna al popolo stesso? Tutte queste interpretazioni sono possibili e in qualche modo preparano la via a Gesù, colui che realizza tutte insieme e tutte intere le istanze della profezia: Gesù è colui che "ha parole di vita", che è costantemente in ascolto del Padre, che accetta di soffrire "sapendo di non restare deluso". Ma con Gesù non si chiude la storia della profezia: noi stessi siamo chiamati oggi a ripercorrere le sue orme...

Flash sulla II lettura

"la sua uguaglianza con Dio": è chiara qui la coscienza della stretta relazione che lega il Figlio e il Padre. Ma proprio l'esplicito riconoscimento della divinità di Gesù appare in netto contrasto con la durezza della sua Passione.
"spogliò se stesso": Paolo reinterpreta l'incarnazione nel senso di uno "spogliarsi" delle prerogative divine. Il verbo greco contiene un'idea addirittura più forte: si tratta di uno svuotamento, potremmo dire di un "annientamento", che però viene valorizzato come "obbedienza".
"... obbediente fino alla morte": come già nella lettera agli Ebrei nella scorsa domenica, il valore salvifico della Passione è individuato nell'obbedienza di Gesù. Un'idea che sembra aiutarci poco, nella nostra cultura, che valorizza soprattutto la libertà, la giustizia, la solidarietà. L'obbedienza non è al vertice della nostra scala di valori, soprattutto perché sembra annullare l'individuo, la sua possibilità di realizzazione. Ma proprio la separazione tra libertà, obbedienza, giustizia, amore è annoverabile tra le conseguenze del peccato: ciò che nel progetto divino doveva integrarsi armonicamente, per l'uomo peccatore diviene contraddittorio e inconciliabile. Proprio la croce di Gesù risana la ferita: Gesù, liberamente obbediente, si dona per amore, e realizza ogni giustizia. In lui tutto è coerenza, armonia, senza false tensioni.