Omelia (23-04-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Resurrezione: fede, amore e comunione Il Vangelo di oggi ci induce a rimproverare Tommaso per la sua durezza di cuore e per l'ostinazione a non credere in Gesù Risorto se non dopo prove tangibili, e tale è stato in parte anche il nostro atteggiamento nelle precedenti argomentazioni su questo tema. Da parte nostra si omette tuttavia di considerare che colpevole di incredulità non è stato il solo Tommaso ma anche tutti gli altri apostoli, sia pure nella misura e nelle modalità differenti: nella versione del testo di Marco avviene che Gesù deve addirittura rimproverare gli Undici per non aver creduto alle testimonianze di Maria di Magdala e ad altri che lo avevano visto risuscitato; il discepolo che Giovanni vede correre la mattina del giorno dopo il Sabato verso il sepolcro assieme a Pietro non crede immediatamente nella resurrezione, ma solo dopo essere entrato nel sepolcro per constatare di persona i fatti: "Vide e credette"; il vangelo odierno descrive che i discepoli gioiscono nel vedere il Signore solo dopo che questi ha mostrato loro le mani e il costato e anche i discepoli che camminano sulla via di Emmaus non lo riconoscono presente davanti a loro se non al momento dello spezzare il pane, e questo nonostante avessero avvertito un'arsura di cuore mentre lungo la via egli commentava le Scritture. Certo, Tommaso ha una responsabilità di colpa maggiore a motivo della sua pretesa di ricorrere al tatto delle mani e del costato che in tutti gli altri non si vede, ma la sua incredulità non è differente poi da quella di tutti i suoi compagni. Ne è prova il fatto che il passo giovanneo non afferma che egli abbia effettivamente toccato il corpo di Gesù. Anzi, il testo dice che Tommaso, un istante dopo esclama: "Signor mio, Dio mio"; quindi il suo ravvedimento è pari a quello degli altri apostoli. La colpa dell'incredulità, quindi, piuttosto che a Tommaso la si deve dare ad una certa concezione razionalizzante per la quale è lecito credere solo in quello che consta ai sensi e la verità è soltanto ciò che risulta essere immediatamente esperibile: complice una linea di pensiero che potremmo definire sofista, gli apostoli trascurano quello che Gesù aveva detto loro di sé in precedenza e quanto le Scritture affermavano di lui, per cadere nell'ostinazione a non credere apertamente e con fiducia. Che cosa vuol dire infatti credere? Nient'altro che aver fiducia e abbandonarsi al mistero, senza porre resistenza ad esso né congetturare alcuna obiezione di sorta e soprattutto ritrovare in questo mistero il senso della propria vita e in esso dare la spiegazione della realtà totale (Ratzinger). In altre parole, credere vuol dire aprire il cuore alla fiducia e alla speranza e accogliere immediatamente per vero quello che Dio opera e fa per noi indipendentemente dalle prove tangibili o dall'indiscutibilità dei fatti. Ora, la Resurrezione è il principale mistero che fonda la nostra fede, e ad essa occorre aderire con l'apertura immediata del cuore, acconsentirvi spontaneamente e senza ritrosie, affidarsi ad essa avendo per certo che essa cambierà in meglio la nostra vita, essendo noi stessi destinati a risuscitare con il Risorto. Certamente le prove dell'evento ci sono e sono abbastanza convincenti e indiscutibili, tuttavia la Resurrezione è una questione non di raziocinio o di scienza ma di cuore; la si deve accogliere senza discussioni e senza mettere in dubbio l'onnipotenza di Dio. Avere fede certa e fondata non può non comportare poi che si coltivi la speranza e si trovi costanza nella prova e coraggio in tutte le nostre vicissitudini affrontando ogni cosa con spirito rinnovato perché appunto la fede ci darà la certezza del vero e la riscoperta del senso della nostra esistenza. Di fronte al fatto di Gesù Risorto, insomma, è sufficiente dire: "Credo" Ma prescindendo da Tommaso e dalle ostinate incredulità, ci domandiamo adesso: che cosa ha motivato la resurrezione? Perché Cristo è risuscitato? Istintivamente si risponderà: "Lo ha fatto per salvarci!", ma a questa osservazione subentra un altro interrogativo: "Perché Cristo ha voluto salvarci?" E a questo punto ci vengono in aiuto le prime due letture di questa Domenica: "Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato". La motivazione per cui Cristo è risuscitato è insomma il suo amore innato per noi uomini e la volontà che noi entriamo nella comunione di amore con lui: è stato l'amore di Dio a volere la morte del Signore Gesù per la nostra salvezza e sempre il suo amore comporta che noi ci lasciamo coinvolgere da lui e viviamo fra di noi la stessa comunione amorosa. Così, in conseguenza della Resurrezione del Signore, mentre la comunità cristiana primitiva organizza la propria missione di annuncio universale del Risorto, organizza se stessa mirando all'armonia e alla comunione fra i suoi membri (I Lettura), che diventano un cuore solo e un'anima sola e con la sua stessa vita di comunione e di amore reciproco fra i singoli rende testimonianza della verità che sta annunciando: mettere i propri beni a disposizione di tutti, vivere la condivisione reciproca di ogni cosa, comunicare fra di noi ogni esperienza in positivo e in negativo vuol dire davvero essere stati toccati dall'evento Cristo Risorto e avervi aderito con cuore libero e disinvolto ed è quanto si auspica nelle nostre famiglie, nei gruppi, nelle associazioni e nei movimenti innanzitutto ecclesiali. In essi non si potrà mai procedere ad apostolato alcuno se prima non si elimineranno immancabili discordie e tensioni che fomentano gruppi e gruppuscoli emarginando alcuni che non si sentiranno accettati. Non potremo mai pretendere di "insegnare" Gesù agli altri fin quando fra di noi si avranno episodi di prevaricazioni di alcuni sull'intera compagine del gruppo a volte con assurde pretese e non potremo mai essere soddisfatti e realizzati mentre vi è chi, nella nostra parrocchia o nella nostra associazione, è ben lungi dall'essere aiutato nei suoi bisogni. La solidarietà reciproca e la comunione si esplicano soprattutto nelle situazioni minime e apparentemente insignificanti, prima ancora che negli atti grandiosi e nei gesti di alto livello e di grossa rilevanza, per cui anche un favore fatto volentieri a uno dei fratelli o una buona parola recata a chi ne ha bisogno possono bene attestare l'amore certo del Risorto nei nostri confronti e questo è fondamentalmente quello che dovrebbe motivare il consolidarsi della vita nelle nostre chiese. Forse non dappertutto può avvenire che si mettano in comune tutti i beni e a ciascuno venga distribuito secondo il bisogno perché non tutte le comunità ecclesiali possono materialmente svolgere la vita comunitaria costante, ma in ogni luogo è possibile la comunione e la condivisione, così pure che siamo un cuor solo e un'anima sola nell'unico amore che ci vincola reciprocamente perché ci ha consolidati innanzitutto con Dio in Cristo. |