Omelia (09-04-2006) |
Comunità Missionaria Villaregia (giovani) |
La follia dell'amore Quando ci ritroviamo incollati davanti alla televisione o alle pagine dei giornali che ci mostrano minuto per minuto la passione di un popolo in guerra, cosa ci attraversa nella testa, nel cuore? Quali sentimenti? Per chi parteggiamo? C'è un colpevole o un innocente? Sappiamo leggere la passione di questo Popolo come la passione dell'Uomo? Gesù ha fatto suo il dolore, la sofferenza di ogni uomo, di ogni popolo, in ogni parte della terra, in tutti i tempi. Cogliere il senso della "Passione di Gesù" è cogliere il senso ultimo di ogni dolore umano. Quando si legge il racconto della passione con occhi di studiosi e di storici, il problema fondamentale è: chi furono i responsabili della morte di Gesù, i giudei o i romani? Gesù morto per motivi religiosi (perché si proclamava Messia), o per motivi politici' (come agitatore sociale e ribelle contro Roma)? Per quale motivo " era necessario " che il Figlio dell'uomo patisse? (Lc. 24, 26). Marco, che come scrittore non si perde in inutili parole, in pochi versetti ci fa immediatamente cogliere il senso della situazione in cui Gesù e i discepoli si sono trovati. Il suo modo di narrare è fin dall'inizio così realistico che ci fa quasi toccare con mano l'accaduto. Egli intende provocare i suoi lettori allo stesso scandalo del Dio crocifisso, in tutta la sua crudezza. Per chi legge, il racconto della passione, non ha bisogno di commento. Va solo contemplato, pregato, vissuto. Tutto resta incomprensibile, se non si coglie in esso la violenta passione di Dio che cerca l'uomo, in un amore disposto ad amare sino alla fine, costi quel che costi, fino a dare la vita. Non si può cogliere il mistero della croce, se non si vede lì, nel non senso di una morte infame, il mistero dell'amore di Dio. L'amore infatti porta fuori di sè, dilata l'animo e si fa carico di tutto: Dio, sulla croce di Cristo, raggiunge il punto più lontano da sé, abbraccia l'universo e si fa carico di tutto il mondo. Sulla Croce si manifesta pienamente chi è Dio: il Dio diverso, il Dio amore in tutta la sua passione d'amore, di quell'amore che lo colloca infinitamente al di sopra di ogni nostra immaginazione. La croce è la rivelazione suprema di Dio che è amore, un amore che salva, mentre siamo peccatori. Dato il male del mondo, la croce si pone quindi come il luogo inevitabile d'incontro tra Dio che cerca l'uomo e l'uomo che cerca Dio; è l'incrociarsi di due passioni: dell'uomo che nella sua disperata ricerca si trova inchiodato sulla croce, prigioniero del male, di Dio che nella sua volontà di portare la salvezza si trova ugualmente inchiodato sulla croce, prigioniero dell'amore. Dio, infatti, vuole ricreare l'uomo, ferito dal peccato, con l'amore. Se il crocifisso svelase soltanto il peccato, ci condannerebbe alla disperazione. Il Crocifisso, invece, mentre svela il peccato annuncia l'amore. Infatti, è nel momento della sua morte che avviene la massima rivelazione di un pagano: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!". E' l'apice di tutto il Vangelo di Marco, riassume in sè e risolve tutta la contrarietà della croce: Il nostro Dio è l'uomo crocifisso, Gesù. "Ecco il nostro Dio", annuncia il Vangelo. Non conosciamo, non riconosciamo altro Dio che questi crocifisso. Questo è scandalo per ogni persona religiosa e follia per ogni persona di buon senso, dice Paolo (1Cor 1,23). Marco accentua volutamente questo scandalo e questa follia, facendo riconoscere Gesù nella sua realtà solo sulla croce, non prima. Solo lì possiamo riconoscere che Gesù è il nostro unico Signore. Chi lo segue solo fino all'ultima cena e non lo riconosce sulla croce, non è cristiano. Questo è il grande mistero da capire, la rivelazione sconvolgente che ha scandalizzato e colto di sorpresa anche i primi discepoli, così come è colto di sorpresa ognuno di noi, difronte al mistero della croce, al dolore e alla sofferenza. Solo vedendo morire Gesù "in quel modo", proprio così, avviene la proclamazione di fede del cristiano. Giovanni nel suo Vangelo ci fa comprendere questa stessa verità in un altro modo. Lo dice attraverso le ultime parole di Gesù: "Tutto è compiuto". Sarà che Gesù dice: "Finalmente è terminata questa agonia, è terminato il mio compito, me ne posso tornare in Paradiso ed essere finalmente felice?" No, Gesù desidera dirci: "Ho compiuto l'amore, ho detto tutto l'amore che potevo, l'ho messo dentro la storia degli uomini. Da questo momento il fuoco dell'amore, il fuoco dello Spirito scorre nelle vene degli uomini". Gli uomini diventano finalmente capaci di essere strumenti di perdono, strumenti di amore, strumenti di gioia, strumenti di pace. Anche gli uomini diventano capaci di lasciarsi crocifiggere per amore del proprio popolo, sull'esempio di Gesù. Mons. Oscar Romero, morto per la salvezza del Salvador, così si è espresso in una intervista due settimane prima della sua morte: "Sono stato spesso minacciato di morte. Devo dirle che, come cristiano non credo nella morte senza risurrezione, se mi uccidono, risusciterò nel popolo salvadoregno: Glielo dico, senza presunzione alcuna, con la più grande umiltà. Come pastore sono obbligato, per mandato divino, a dare la vita per coloro che mi vogliono uccidere. Se arrivassero a compiersi le minacce, sin da questo momento offro a Dio il mio sangue per la redenzione e per la risurrezione del Salvador. Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare. Ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, possa il mio sangue essere semente di libertà e segno che la speranza sarà presto realtà. Se è accetta a Dio, possa la mia morte servire alla liberazione del mio popolo ed essere una testimonianza di speranza nel futuro. Se arrivassero ad uccidermi, già da adesso perdono e benedico coloro che lo faranno. Possono così convincersi che perderanno il loro tempo: morirà un Vescovo, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà mai". Mons. Romero era un Vescovo, una persona preparata, che aveva compreso forse il mistero della Croce. Ma non è dato di comprendere il mistero della Croce a chi studia, ma a chi ama. Sconvolgente l'esperienza di un "piccolo" di Belo Horizonte. Rogerio ha otto anni. Da alcuni giorni ha iniziato il suo secondo lavoro: al mattino raccoglie le lattine nelle immondizie, al pomeriggio va al centro città per lucidare le scarpe dei ricchi. L'ho incontrato una sera verso mezzanotte, rientrava dal lavoro con la sua cassetta vecchia e lurida sulle spalle. Dopo esserci salutati ha detto: "Padre, oggi non ho guadagnato niente, non si è fermato nessuno". Rogerio è nato nella favela, conosce la vita solo dalla prospettiva della fame, dello sfruttamento, della lotta per la sopravvivenza. È uno dei 40 milioni di bambini in Brasile che da sempre conosce e abita la strada. Un giorno ero in chiesa, è entrato Rogerio, scalzo, con la solita canottiera bucata. Si è avvicinato e, indicando con il dito, ha chiesto chi fosse quell'uomo con i chiodi sulla croce. Ho risposto: "Gesù, il Figlio di Dio". "Ma perché è lì?" Ha ripreso il bambino. "Sta soffrendo per tutti gli uomini del mondo, perché tutti abbiano la felicità in terra e in cielo". Rogerio è rimasto zitto e fissava il crocifisso. Poi mi ha detto: "Togliamo Gesù dalla croce, perché lì soffre troppo. Ci vado io al suo posto". Rogerio, già crocifisso da una società iniqua, dall'egoismo degli uomini, voleva pagare ancora, voleva soffrire al posto di Gesù. La mattina seguente, entrando in chiesa, ho trovato Rogerio sotto il crocifisso con le braccia distese, voleva imitare Gesù. Non incrociare mai le braccia nella vita, perché l'uomo più grande del mondo è morto con le braccia aperte. Questa settimana ti consigliamo di leggere con calma questa lettura del racconto della Passione di Gesù, con calma, se preferisci un pezzettino ogni giorno, avendo vicino l'immagine del Crocifisso. Buona Settimana Santa. |