Omelia (09-04-2006)
don Roberto Rossi
L'Osanna e la Croce

Viviamo una giornata molto significativa e molto nostra: il momento in cui la folla accoglie, acclama, riconosce Gesù "colui che viene nel nome del Signore" e il momento in cui, a causa del peccato dell'umanità, i nemici, le autorità e il popolo stesso lo condannano a morte.
Anche ciascuno di noi tante volte si è entusiasmato di fronte a Cristo e tante volte lo ha rinnegato.
Per festeggiare l'ultima Pasqua della sua vita terrena Gesù fa ingresso nella città di Gerusalemme come Signore. La folla festosa lo saluta come l'Inviato da Dio e lo acclama. Tuttavia, non era venuto per regnare sul suo popolo, ma per essere condannato dai capi della nazione e per morire sulla croce, in un sacrificio espiatorio per i peccati dell'umanità. Il suo trono era la croce. Le sue armi l'amore. Il suo regno la pace. Il suo trionfo la vittoria sul peccato e sulla morte, sul diavolo e sull'inferno. Così, la sua entrata trionfale a Gerusalemme quella domenica non era, per Gesù, che un pallido preludio del trionfo spirituale al quale lo avrebbero portato la sofferenza e la morte sulla croce, poi la risurrezione dai morti.
Ogni cristiano dovrebbe seguire nella sua vita lo stesso cammino. Non dovrebbe lasciarsi tentare dalla gloria terrena, ma ricercare piuttosto la vera gloria nella lotta contro il male in questo mondo e nella vittoria su di esso. Non possiamo giungere a questa vittoria e a questa gloria se non seguendo le orme di Cristo nel cammino della croce. Per giungere alla vera vittoria, non bisogna confidare in se stessi, nelle proprie forze, ma avere fiducia nella grazia di Dio; bisogna prendere le armi di Dio, che sono, come precisa san Paolo: verità, giustizia, zelo apostolico, fede, parola di Dio e preghiera (Ef 6,14-18).
Ma è tanto presente la tentazione e la debolezza, il peccato e il tradimento di fronte all'amore di Dio. Ecco perché il passaggio dagli "Osanna" delle palme al "Crucifige" del Venerdì Santo è tante volte la nostra esperienza. La Domenica delle palme, il popolo di Gerusalemme gridò: "Osanna" al passaggio di Cristo che faceva ingresso in città; il Venerdì Santo, al momento del processo davanti a Ponzio Pilato, la folla urlò: "Crocifiggilo".
Molti fatti provano l'incostanza dell'essere umano, mostrano a che punto gli sia facile passare dagli "Osanna" ai "Crucifige". Quante volte ciascuno di noi ha preso buone risoluzioni, promettendo e assicurando di non commettere più peccati! Ma poi è ricaduto. Ognuno di noi deve confessare, riprendendo le parole di san Paolo: Vedo il bene, ma tante volte nelle mie membra acconsento al male.
In seguito a ciò, dobbiamo risolverci a seguire Cristo nella via della croce, perché è soltanto così che avremo la certezza di giungere alla salvezza.
Dobbiamo sempre ricordarci che siamo uomini deboli. Per questo non dobbiamo confidare in noi stessi, ma chiedere per ogni cosa l'aiuto di Dio e mantenere con lui stretti legami grazie nella fede e nella preghiera. Seguendo lo sprirto di questa giornata delle Palme, è importante saper riconoscere e acclamare il Salvatore, come le folle, i giovani, i ragazzi di Gerusalemme. E' il momento della fede, della lode, della gioia che Gesù gradisce e alimenta. Possiamo collegarci ad un altro momento glorioso, la trasfigurazione. Si "vede" il Signore, si crede a Lui, c'è il fervore, l'entusiasmo, l'amore sincero. Ma verranno i momenti della debolezza, del peccato, del rinnegamento; basta pensare a quella stessa folla che il venerdì santo griderà "crocifiggilo!", agli apostoli che fuggono, a Pietro che lo rinnega, basta a pensare a ogni nostra dimenticanza, paura, rinnegamento, a ogni nostro peccato che dimentica l'amore di Dio, pur provato tante volte. Siccome siamo deboli dobbiamo intensificare i momenti dell'attaccamento, dell'esperienza, della fede del Signore. Perché quando verranno i tempi della tentazione e del peccato, non abbiamo a rimanere troppo tempo lontano da Lui, ma come Pietro e gli altri apostoli abbiamo a tornare a esprimere il nostro amore al Signore con umiltà, ma con un attaccamento ancora più grande, con una testimonianza espressa non a parole, ma con la vita. Vogliamo gustare e incoraggiare tutto ciò che nell'esperienza cristiana è gioia, pace, slancio, vocazione di novità e di bene. E questo ci è possibile per la grazia di Gesù salvatore e guardando il suo esempio.
L'apostolo Paolo ci introduce al racconto della passione così: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato, gli ha dato ogni gloria e potere, lo ha costituito Signore e Salvatore di tutti".
La lettura della Passione ci apre ad una Settimana che è santa, per tutto ciò che Gesù ha vissuto in essa, come espressione dell'infinito amore di Dio per l'umanità e per ciò che Egli ci invita a vivere nella fede e nelle azioni, come risposta – pur nella nostra debolezza - di amore vero e concreto.
Meditando la passione del Signore Gesù, possiamo pensare come S. Paolo: "Così mi ha amato e ha dato se stesso per me!".
Sulla croce Gesù vive la sua donazione piena al Padre per la salvezza di tutti gli uomini, ed esprime anche a voce alta alcuni di questi atti di amore: "Padre perdonali perché non sanno quello che fanno". "Padre nelle tue mani affido il mio spirito".
Ecco allora il cammino cristiano e l'impegno in questa Settimana: vogliamo contemplare il volto dolente di Cristo, il suo amore infinito ("non c'è amore più grande di chi dà la vita per la persona amata"), il significato della redenzione e della salvezza per tutti gli uomini e per ciascuno così come l'ha meritata Gesù sulla croce. Vogliamo guardare la passione di Cristo che continua oggi in tutti coloro che, innocenti, soffrono e che muoiono: essi esprimono il mistero del peccato dell'umanità che genera tutto questo male. Essi sono coloro che completano nella loro carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, per la salvezza della Chiesa e dell'umanità. Essi sono coloro che attendono la nostra carità per camminare verso la loro resurrezione, cioè la possibilità di vivere, la dignità, i mezzi per la sussistenza, la pace.
Questo significa "avere in noi i sentimenti che furono in Cristo Gesù".