Omelia (09-04-2006)
don Mario Campisi
"Il santo spreco"

Marco ci presenta prima di tutto due cene, quella di Betania (14,3-9) e quella di Pasqua (14,22-24). Nella prima l'unzione, segno del riconoscimento messianico, è collegata da Gesù alla sua morte e alla sua sepoltura; nella cena pasquale, invece, Gesù accetta liberamente la sua morte come sacrificio per la nostra salvezza.

Una donna di Betania, in casa di Simone il lebbroso, rompe un vaso di alabastro pieno di olio profumato e versa il prezioso e costoso unguento sul capo di Gesù. La reazione di alcuni fu di sdegno: "Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere a più di trecento denari e darli ai poveri!". Ed erano sdegnati contro di lei. Gesù, invece, la difese e la elogiò: "Lasciatela fare! Perché le date fastidio? Essa ha compiuto verso di me un'opera buona" (14,6). Il gesto di quella donna dunque fu un'opera buona, un «santo spreco».

Ci saremmo certamente infuriati pure noi: i "diacono" devono preoccuparsi dei poveri, gli "assistenti sociali" conoscono i casi più bisognosi, gli "economi" delle chiese sono impegnati in importanti progetti... anche pastorali: tutta gente "equilibrata" e ben controllata!

Già! Misuriamo sempre il nostro tempo e le nostre energie su ciò che è utile e ragionevole; procediamo sempre sulle premesse di una domanda precisa: "A che serve?" Siamo troppo spesso incapaci di ragionare senza calcolo, contrari a spenderci senza risparmio oltre i limiti della legge e della ragionevole misura. Eppure siamo stati creati "a immagine e somiglianza di Dio", quindi dovremmo assomigliare un po' di più la Dio creatore e salvatore che si è speso senza misura.

E «il santo spreco» di quella donna, fu agli occhi di Gesù un gesto di amore spontaneo e segno della sua imminente unzione funebre. La croce è «lo spreco» più assoluto e più santo dell'amore di Dio e dell'amore di Cristo.

Noi siamo abituati ad immaginarci la crocifissione come ce la raffigurano i tanti quadri: sotto la croce ci sono almeno alcune donne, Maria madre di Gesù e il discepolo prediletto. Per l'evangelista Marco, Gesù fu abbandonato da tutti e morì solo, gridando: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Gesù grida, come se Dio lo avesse abbandonato. Ma poi, è così strano? Chi è abbandonato da tutti, persino dagli amici, finisce per sentirsi abbandonato anche da Dio.

Ci accingiamo, nella liturgia del venerdì santo, a camminare verso la croce di Gesù, per inginocchiarci e per baciare la croce: si direbbe proprio che non siamo tra coloro che abbandonarono il Crocifisso! Tra l'altro, basterà pensare ai più che non fanno processione con noi in chiesa: coloro che credono di aver trovato "il senso" del vivere nella nuova religione del lavoro e del successo, oppure nella religione del loro serio scetticismo; basterà soprattutto pensare a coloro che non vanno alla croce perché si sentono colpiti "da Dio" nella loro carne sofferente, angosciata, disperata.

Quante volte abbiamo gridato, e soprattutto udito, il grido-lamento: "Dio, dove sei?" Dov'eri, Dio?

Dov'eri Dio ad Auschwitz? Dov'eri quando l'Europa era in guerra? Dov'è nelle tante e tante guerre e distruzioni che vediamo ogni giorno su tutta la faccia della terra? Dov'è Dio quando visitiamo gli ospedali, le case degli ammalati terminali, i carcerati spesso vittime di un amaro destino?

Mille possono essere le risposte "balbettate" a questa eterna domanda dell'uomo.

Il male, allora, ci obbliga a ripensare radicalmente Dio. La voce cristiana porta al culmine l'impotenza di Dio Padre, perché addita il Figlio di Dio fatto uomo e crocifisso come il luogo estremo dell'amore impotente di Dio. Ma la riflessione cristiana non si ferma qui. Il Cristo crocifisso è l'incarnazione della bontà incondizionata di Dio Padre, la quale ha voluto sperimentare e soffrire la sua stessa radicale impotenza per amore di tutti gli uomini.

Il Padre ha sofferto, impotente, nella passione e morte del Figlio crocifisso. Dio soffre in ogni Giobbe-uomo sofferente, sia che la sofferenza venga provocata dalla follia dell'uomo malvagio, sia che la sofferenza e la morte prematura provengano dalla cieca causalità naturale di una creazione finita e limitata.

In Gesù Cristo l'onnipotenza di Dio ha voluto abitare nella debolezza dell'amore, sperimentando proprio che "l'amore è più forte della morte" (Ct 8,6).