Omelia (23-07-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Matteo 13,1-9 Questa parabola viene raccontata da Gesù dopo aver subìto il rifiuto dei suoi contemporanei. Egli ha annunciato il regno di Dio, l'intervento di Dio in favore del suo popolo, ed è stato contestato. Proclamando questa parabola ci insegna che, nonostante l'apparente insuccesso della sua missione, ci sono anche coloro che l'hanno riconosciuto e accolto: i piccoli, i peccatori, i discepoli. Gesù ha rivoluzionato i criteri della predicazione corrente (farisaica) comunicando il messaggio di Dio a ogni sorta di persone. Non si è rivolto solo ai "buoni" o ai "migliori" (il terreno buono del v.8), ma a tutti. La sua missione non è stata coronata da successi immediati, ma non si è arreso davanti alle delusioni; ha sempre continuato a sperare e a portare avanti la sua opera. Il seminatore Gesù ha pensato di avere sempre davanti a sé un terreno buono, altrimenti non vi avrebbe sparso il seme. Egli ha creduto che anche gli abitanti di Ninive e gli stessi abitanti di Sodoma e di Gomorra avrebbero potuto cogliere con profitto la parola di salvezza (Mt 11,23-24; 12,41), per questo non l'ha rifiutata a nessuno e l'ha offerta a tutti. Egli che è stato chiamato l'amico dei peccatori (Mt 11,19) e che vede i pubblicani e le prostitute al primo posto nel regno dei cieli (Mt 21,31-32), ha dimostrato che anche il terreno più infruttuoso può diventare buono. La parabola annuncia una legge che sottostà alla nuova economia della salvezza: il successo nasce dall'insuccesso, la croce è garanzia di risurrezione. Ogni pagina del vangelo può essere letta in due dimensioni: la situazione originaria del tempo di Gesù e la sua attualizzazione nel tempo della Chiesa. L'insegnamento della parabola del seminatore, secondo la situazione originaria del tempo di Gesù, non riguarda anzitutto gli ascoltatori, ma i predicatori. La parabola attira l'attenzione sul lavoro del seminatore, un lavoro abbondante, senza misura, senza distinzioni, che in un primo momento sembra inutile, infruttuoso, sprecato. Ma il fallimento è solo apparente: nel regno di Dio non c'è lavoro inutile, non c'è spreco. Il lavoro della semina non deve essere calcolato: bisogna seminare senza risparmio e senza distinzioni. Noi non sappiamo quali terreni daranno frutto: per questo non possiamo anticipare il giudizio di Dio. La frase finale: " Chi ha orecchi, intenda " è un grido di risveglio. È un avvertimento e un comando a non perdere il significato della parabola e le sue conseguenze nella vita dell'ascoltatore. |