Omelia (13-04-2006)
Omelie.org - autori vari
Commento Giovanni 13,1-15

Cominciamo con questa Messa solenne e suggestiva il triduo pasquale, cioè i tre giorni più santi dell'anno liturgico.
Oggi, Giovedì Santo, ricordiamo tre grandi doni di Gesù alla sua Chiesa:
- il dono dei sacerdoti (stamani, nella cattedrale, abbiamo rinnovato le nostre promesse davanti al vescovo);
- il dono dell'Eucaristia (la Messa che stiamo celebrando si chiama "nella cena del Signore" e ci fa rivivere i momenti principali dell'istituzione di questo sacramento);
- l'esempio di servizio ai fratelli, espresso nel gesto della lavanda dei piedi, che il sacerdote riattualizzerà tra poco, a ricordo di come la vita dei discepoli di Gesù debba essere improntata al servizio.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto della cena pasquale ebraica. Ci sono quattro dettagli molto belli su cui possiamo riflettere per trarre qualche utile insegnamento, agganciandoli al Vangelo.
Pasqua è riunirsi in famiglia, per mangiare lo stesso agnello. "Se la famiglia fosse troppo piccola, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa". Non è consentito isolarsi, rimanere soli, quindi.
Il riunirsi per la cena pasquale non è solamente un mangiare assieme, ma uno scoprirsi famiglia convocata dal Signore. E' lui che ha ordinato di riunirci al tramonto, "tutta la comunità" per il sacrificio e che ci vuole poi radunati in famiglie, per la cena.
Anche Gesù ha desiderato ardentemente di riunirsi con la sua famiglia, gli apostoli. Ha dato disposizione perché tutto fosse preparato bene, senza improvvisazioni. Ha curato la celebrazione comunitaria. E non è stata una semplice cena, bensì un momento di grande comunione ed edificazione.
Noi sappiamo che oggi la famiglia attraversa una forte crisi, si sta quasi polverizzando. C'è perfino qualche sociologo che ne ha teorizzato la scomparsa. E' sempre più difficile essere insieme, trovare tempo per mettere i cuori insieme. Non si tratta solamente di prendere cibo insieme, ma di fare unità, di sacrificare magari qualcosa pur di celebrare la vita assieme. Giovedì Santo ci ricorda questo comando di Dio: vi riunirete. "E' la Pasqua del Signore!". Come gli Ebrei trovarono la loro identità più profonda nella riunione pasquale, così anche noi possiamo ritrovarci come famiglia, in questo giorno.

"Mangeranno con azzimi e con erbe amare".
I motivi storici degli azzimi e delle erbe amare sono molto umani e legati a situazioni reali e quotidiane, come sappiamo. Non ci fu tempo per gli Ebrei, la notte di Pasqua, per lasciar lievitare il pane. E il sapore amaro del Ràfano, della lattuga agreste e dell'Indìvia serviva a ricordare l'amarezza del passato, della schiavitù d'Egitto.
E' molto suggestivo questo non nascondere il passato, questa consapevolezza del vissuto nella sua totalità, con luci e ombre. Non se ne parla, ma se ne sente il sapore, a volte amaro. Ogni popolo, ogni famiglia, ogni persona ha alle spalle non soltanto gioie e successi, ma anche amarezze e fallimenti. Perché far finta che le cose negative non ci siano state? Perché rimuovere le amarezze?
Sembra qui emergere un suggerimento ad avere coscienza del vissuto sofferto, ma con un atteggiamento positivo: guardando avanti. E' la Pasqua del Signore! Pasqua significa "passaggio", a qualcosa di nuovo, migliore, con la consapevolezza che anche le sofferenze e le amarezze sono importanti per ripartire. Non si tratta di parlarne o discuterne, ma di non rimuovere l'amarezza, di esserne consapevoli, cosicché possiamo poi, quasi per confronto, gustare la dolcezza.
Oggi, nelle relazioni umane, l'incomprensione, gli errori e ferite varie sono talvolta un ostacolo al riunirsi. Gesù, però, nella cena pasquale, non ha paura di ricordare agli apostoli: "Voi siete mondi, ma non tutti". Non fa finta di ignorare il lato fragile della sua nuova famiglia, ma lo ricorda, senza timore. Lo può fare perché sa che qualcosa di nuovo attende lui e la Chiesa. All'inizio del nostro Vangelo è scritto "Gesù sapeva". Sapeva il progetto del Padre, che è incarnato nel limite umano. Questo è un invito per ciascuno di noi.

"Con i fianchi cinti"
Mettere una corda ai fianchi, nella Scrittura, è modo di dire usato come sinonimo di prontezza, preparazione. Per gli Israeliti si trattava di essere pronti ad uscire dalle loro case, per attraversare il Mare Rosso, lasciarsi alle spalle la schiavitù e cominciare una vita nuova, con Dio.
"Siate pronti, con i fianchi cinti" dice Gesù [cfr Lc 12,34] "per il momento dell'incontro con il vostro Signore. Se vi troverà pronti, si cingerà a sua volta le vesti e passerà a servirvi".
Questo invito alla prontezza generosa, all'uscire da se stessi, dalle proprie case, dalle proprie comodità e abitudini è un altro elemento chiave della Pasqua.
La stanza nel cenacolo era preparata con una tavola grande, con tredici bassi divani, su cui tutti si sarebbero distesi per mangiare. "Un ebreo non può in questo giorno mangiare in piedi o seduto su una panca o addirittura per terra, come se appartenesse ancora, come quand'era in Egitto, a un popolo di schiavi" (F. Palmisano).
Gesù esce dal suo posto, attorno alla tavola, con i fianchi cinti. E lava i piedi ai suoi amici. Potremmo dire: è pronto a servirli anche in questo momento, perché ha sempre vissuto con i fianchi cinti: "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine". E' un atto in sintonia con il resto della vita.
Il suo gesto acquisisce così, per noi, il valore simbolico di un invito alla prontezza della carità: "Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi".

"I sandali ai piedi, il bastone in mano"
Sono questi i due simboli del cammino, due strumenti usati per compiere un viaggio. Ogni viaggio ha un punto di partenza e una destinazione: per Israele la partenza era la schiavitù d'Egitto, la destinazione la terra promessa. Il viaggio si compie con la fiducia in Dio, che ha un piano sulla nostra vita e di cui ci fidiamo perché sappiamo che agisce per il nostro bene. Altrimenti è meglio stare a casa.
Nel Vangelo odierno c'è un inciso che, a una lettura superficiale, si rischia di sorvolare senza attenzione: "Gesù, sapendo che era venuto da Dio e a Dio ritornava...". Gesù ha piena consapevolezza che il suo viaggio sulla terra sta per finire: sa da dove è partito e quale sarà la sua destinazione finale. Potremmo dire che ha piena consapevolezza della sua situazione di pellegrinaggio, conosce le coordinate del viaggio e si fida ciecamente del Padre.
Anche per noi la Pasqua ("passaggio") è un movimento, un cammino, una realtà dinamica.
Questa celebrazione ci ricorda che siamo anche noi "di passaggio" sulla terra e ci esorta ad essere consapevoli di questo. Noi veniamo da Dio e torneremo a Lui. Non avremo nulla con noi, alla fine del viaggio, se non i simboli della nostra condizione umana: i sandali e il bastone.
In questa ottica, anche il mangiare "in fretta", senza indulgere troppo nei piaceri della terra, è un invito a ricordare che non dobbiamo distrarci, ma tenere fisso lo sguardo sulla meta che Dio ha preparato per noi, al termine del viaggio.
Preghiamo che questa Pasqua possa essere un momento davvero comunitario, vissuto senza la paura dei nostri limiti, pronti a servirci gli uni gli altri con amore, e consapevoli che Gesù ci attende, oltre "il passaggio".

Commento a cura di padre Alvise Bellinato