Omelia (25-07-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Matteo 20, 20-28 Il brano è un contrappunto tra due glorie: quella del Figlio dell'uomo e quella degli uomini. La prima consiste nel consegnarsi, nel servire e dare la vita; la seconda consiste nel possedere, nell'asservire e dare la morte. E' una lotta tra l'egoismo e l'amore, dove l'amore vince con la propria sconfitta, e l'egoismo perde con la propria vittoria. Il racconto è un dialogo di equivoci tra Gesù e i discepoli. Ciò che la madre dei figli di Zebedeo vuole da Gesù non è la Gloria, cioè Dio, ma la vanagloria, cioè l'avere, il potere e l'apparire. Questo testo ci prepara al successivo, con il quale fa un tutt'uno: l'illuminazione dei ciechi di Gerico sarà la caduta della vanagloria, che ci impedisce di ricevere la Gloria. La rivelazione del Figlio dell'uomo che sale a Gerusalemme è la luce che squarcia violentemente le nostre tenebre e svela ad ogni uomo la vera identità di Dio, la cui gloria è amare, servire e dare la vita. In questo brano si confrontano e si scontrano il modo di pensare e di agire del mondo e quello di Gesù. L'uno è presentato nel comportamento dei grandi, nella loro volontà di oppressione e di dominio; l'altro è caratterizzato dalla condotta di Gesù, che è venuto per servire e dare la vita per l'umanità. L'esempio di Gesù deve indurre a un cambiamento di mentalità. L'atteggiamento richiesto da Gesù non nasce spontaneo, non è congeniale all'uomo: richiede una conversione. S. Kierkegaard ha scritto: "Non hai la minima partecipazione a lui (a Cristo), né la più lontana comunione con lui, se non ti sei posto in sintonia con lui nel suo abbassamento". "Diventare piccoli" è l'atteggiamento contrario a quello degli uomini, assetati di potenza e di grandezza. Gesù si è fatto piccolo fino alla morte di croce (cfr Fil 2, 5-11). Tutti ci saremmo aspettati che il Figlio di Dio sarebbe venuto per essere servito e per far morire i peccatori. E invece no. E' venuto per servire e per dare la vita in riscatto per tutti. Le nazioni si organizzano come società, la Chiesa invece è una famiglia in cui non ci sono superiori e sudditi, padroni e subalterni, ma solamente fratelli (cfr Mt 18,15.21.35). Lo spirito di supremazia o di egemonia sui propri simili non è cristiano, ma diabolico (cfr Mt 4,1-11). Qualunque forma di autorità nella Chiesa non deve essere un dominio, una signoria, un potere, ma un servizio. Il Signore lo dice inequivocabilmente: "Chi vuol essere il più grande tra voi, deve essere il vostro servo; e chi vuol essere il primo, deve essere il vostro schiavo" (vv.26-27). C'è un tale rovesciamento nel modo di intendere le funzioni del governo che la comunità cristiana non sembra ancora averne preso del tutto coscienza. Il "servizio" è un concetto teologico prima ancora di essere un atteggiamento pratico. Non riguarda prima di tutto un modo umile di esercitare il potere, ma di concepirlo. Il servo non è il responsabile della casa, non ha nessun potere, tanto meno quello di sostituirsi al padrone, prendendo decisioni al suo posto, avocando a sé la responsabilità degli altri. Egli è solo un inserviente che coopera al buon andamento della casa, che non è sua, e per questo non deve considerarla tale. La Chiesa è di Dio, di Cristo (cfr Mt 16,18) che la governa direttamente (cfr Mt 28,18-20), prima che tramite particolari incaricati. In quanto Dio, Gesù avrebbe potuto pretendere (secondo noi!) un trattamento da "signore", facendosi servire. Ma invece di far valere i suoi diritti sovrani vi ha rinunciato a favore delle moltitudini facendosi loro servo e donando la vita per il loro riscatto, ossia per la loro liberazione da assoggettamenti e schiavitù di qualsiasi genere. Scegliendo la condizione servile si è proposto di essere più vicino a quanti vivevano in schiavitù e ridare ad essi la coscienza della loro dignità e libertà. Il testo ribadisce l'inno della Lettera ai Filippesi 2, 5-7: pur essendo Dio è diventato servo, realizzando con la sua morte in croce il suo servizio. Pur essendo ricco, è diventato povero per arricchire noi (cfr 2Cor 8,9). La vera grandezza e la libertà autentica è nell'umiltà del servire. Gesù è in mezzo a noi come colui che serve (cfr Lc 22,27; Gv 13,1-17). |