Omelia (27-07-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Giovanni 6, 1-15 Il miracolo della moltiplicazione dei pani ci introduce al grande discorso sul pane della vita, anticipandone i temi principali. Il racconto è importante perché tutti gli evangelisti lo riportano e lo mettono al centro dell'attività pubblica di Gesù. Il brano rivela un preciso significato Cristologico e sacramentale, che non è tanto quello di sfamare la folla, ma di rivelare la gloria di Dio in Gesù, Parola fatta carne. Il lago di Galilea è chiamato mare di Tiberiade dal nome della città costruita negli anni 14-36 d. C. dal tetrarca Erode Antipa in onore dell'imperatore Tiberio. La grande folla che segue Gesù e parteciperà al prodigio straordinario della moltiplicazione dei pani, il giorno dopo rifiuterà la rivelazione del Figlio di Dio. Il seguire Gesù per vedere dei miracoli non è indice di una fede autentica. Nella tradizione biblica Dio si è rivelato soprattutto su un monte: il Sinai (Es 19-20). Anche il rivelatore definitivo di Dio, Gesù, si manifesta sopra un monte. Questa specificazione ha soprattutto un valore teologico. Prima di dare inizio al segno-miracolo, Giovanni precisa che "era vicina la Pasqua, la festa di giudei" (v.4). Per l'evangelista e la comunità cristiana, che rilegge il fatto alla luce della risurrezione, questa precisazione cronologica serve come richiamo alla Pasqua cristiana, simboleggiata dal pane spezzato, che affonda le sue radici nel ricordo della Pasqua ebraica e nei miracoli che l'accompagnarono. In Gesù si compie il passato e si realizza ogni speranza di Israele. Il pane che egli sta per donare al popolo porta a perfezione la Pasqua ebraica facendola confluire nel grande banchetto eucaristico cristiano. Con le parole di Gesù a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?", l'evangelista sembra ispirarsi alle parole che Mosè rivolse al Signore: "Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo popolo?" (Nm 11,13). Gesù rivolge questa domanda a Filippo per metterlo alla prova. Si presenta fin dall'inizio il tema della fede, di cui è permeato tutto il capitolo sesto. La risposta di Filippo mette in evidenza che perfino un acquisto rilevante di pane sarebbe stato insufficiente per sfamare tante persone. La soluzione umana non basta a saziare i bisogni dell'uomo. E' Gesù che appaga in pienezza ogni necessità e aspirazione: con cinque pani sfama cinquemila persone e ne avanzano dodici ceste (v.13). Giovanni specifica che i pani erano di orzo per indicare che si tratta del pane dei poveri e per rievocare l'analogo prodigio operato da Dio per mezzo del profeta Eliseo (2Re 4,42ss). Tutti mangiarono a sazietà. La frase: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" vuole sottolineare il carattere sacro del pane avanzato, perché viene visto in prospettiva eucaristica, come segno della carne di Cristo. Il pane di Gesù, a differenza della manna nel deserto (cfr Es 16,20), viene raccolto perché non si corrompa. Il numero dodici potrebbe essere riferito agli apostoli: ne raccolsero una cesta ciascuno; ma più probabilmente indica la perfezione e la completezza del pane eucaristico, che può saziare la fame spirituale non solo dei cinquemila ma di tutti gli uomini. La folla riconosce Gesù come il profeta atteso per la fine dei tempi (Es 4,1-9). Ma il testo fa capire che l'entusiasmo della folla è di carattere politico. E poiché la sua regalità è fraintesa dalla folla, Gesù si ritira da solo sul monte. Da questo momento ha inizio il progressivo ridursi della folla narrato in questo capitolo, finché Gesù non rimane solo con i Dodici. |