Omelia (30-04-2006)
padre Gian Franco Scarpitta
Testimoniare a ragion veduta

Se vi è esempio più eloquente di sfacciataggine e di meschinità questo è senza dubbio il voler insegnare agli altri un valore, una verità o un qualsiasi contenuto senza che di esso abbiamo fatto esperienza noi stessi. Oppure, se anche ne abbiamo fatto esperienza, senza essercene convinti appieno e senza che l'evento, il fatto o il messaggio ci abbia trasformati in vista degli altri.
Anche fra noi sacerdoti, si verifica infatti non di rado che i nostri discorsi omiletici, le catechesi, le opere di evangelizzazione e le varie iniziative pastorali tendano semplicemente a mettere in mostra una presunta competenza dottrinale o pastorale che ci ottenga il plauso della gente o che attiri le attenzioni sulla nostra persona o sul nostro "fare", senza che poi rimanga nulla di edificante, formativo e concreto; appunto perché non mostriamo di essere pienamente convinti noi stessi di quello che annunciamo (e a volte non lo siamo nemmeno) e fondamentalmente non siamo stati formati a quello che è l'oggetto del nostro messaggio. Molte volte nelle chiese di tutto si parla, tranne che di Gesù Cristo. Intendo dire che tutti gli argomenti e le attività vengono prese in seria considerazione e curate nei loro aspetti particolari, tranne quelle che riguardano direttamente nostro Signore.
I canoni della Messa sono sempre gli stessi, non importa da quale prete vengano proferiti, ma vi è differenza fra chi celebra la Messa solo per adempiere un dovere verso il popolo e chi recita quelle parole con dedizione e passione, mostrando di volersi immergere nel Mistero Eucaristico... Insomma, il vero apostolato consiste non già nella comunicazione vacua di contenuti e messaggi altrui, ma nella testimonianza vivente di quello che ci ha "sedotti", "colpiti" e "provocati" e se dovesse capitare a noi quello che capitò ai due discepoli di ritorno da Emmaus di cui al brano di vangelo odierno, certamente arrossiremmo di vergogna.
Quando infatti Gesù compare improvvisamente in mezzo a loro portando la pace, essi sono intenti proprio a parlare di lui, riferendo ad altri di averlo visto mentre spezzava il pane dopo aver cenato con loro; appunto per questo non avrebbero dovuto dubitare né strabiliare ostinanandosi nel dubbio, ma piuttosto credere risolutamente ed entusiasmarsi alla vista del Signore risorto e invece continuano a persistere nella loro durezza di cuore che coltiva l'incredulità nonostante fossero stati presi in prima persona dall'evento. E' evidente che stavano comunicando ad altri qualcosa di cui non si erano pienamente convinti né erano rimasti affascinati e occorrerà un'altra prova schiacciante da parte del Signore affinché una volta per tutte si convincano: nonostante non ne avesse ora necessità (il suo corpo risorto era infatti glorificato e quindi privo di necessità materiali) Gesù consuma con loro il pasto di una porzione di pesce arrostito, appunto perché si persuadano che egli è veramente risorto nel suo corpo, che non è uno spirito e che sta condividendo con loro la più comune delle esperienze di vita: il pasto.
Cosicché essi potranno annunciare a tutti di aver fatto davvero esperienza del Signore risorto, appunto annunciando che "Dio lo ha risuscitato e ha voluto che apparisse... a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione dai morti."(At 10, 40 – 41)

Di Gesù risorto bisogna infatti dare testimonianza, ma occorre che questa testimonianza sia veritiere e fondata non solo sul dato di fatto obiettivo ma anche nella nostra individualità che ne è stata riempita. Fortunatamente gli apostoli annunceranno il Risorto con convinzione, gioia ed entusiasmo reali visto che accetteranno di essere perseguitati e uccisi nel suo nome e non mancheranno di annunciare a tutti che Cristo è l'autore della vita (I Lettura) vedendosi arrivare di volta in volta un numero sempre più crescente di fedeli che accresceranno la consistenza delle comunità cristiane e la loro testimonianza sarà effettiva e credibile a motivo della loro stessa vita: sempre gli atti degli Apostoli affermano infatti che mentre procede nell'opera missionario di annuncio, la Chiesa delle origini organizza se stessa in una convivenza di solidarietà e di comunione nonché accettazione reciproca, per la quale tutti sono un cuor solo e un'anima sola e non vi è chi manchi del necessario.
All'insegna della nostra fede nel Cristo risorto sarebbe indispensabile che anche da parte nostra si realizzi tutt'oggi lo stesso annuncio di fede che ha cambiato il mondo e ha trasformato la nostra vita e che esso sia in primo luogo caratterizzato dalla nostra gioia e dall'entusiasmo unici capaci di attestare che davvero un evento ci ha cambiati e quindi nel vivere senza mormorazioni tutti gli appuntamenti di ogni giorni, nel mostrare allegria, ottimismo anche nelle difficoltà e soprattutto nel comunicare agli altri la stessa gioia attraverso l'amore che si esterna in primo luogo nell'accettazione degli altri senza riserve, nell'assenza dei pregiudizi e delle illazioni così pure nella disponibilità a solidarizzare con il prossimo, specialmente con quello bisognoso e nel non coltivare astio e cattiverie fra di noi. La comunione e la accettazione reciproca nelle nostre famiglie, nei gruppi, nelle comunità come pure la generosità e l'apertura franca e disinteressata verso gli altri comunicano che noi crediamo nel mistero di Cristo Risorto, e questo è già prova sufficiente perché anche altri vi credano.
Se qualcuno dice che "oggi è una bella giornata", non sempre sarà creduto da un altro che non si è ancora affacciato al balcone, poiché una bella giornata la si annuncia con un sorriso sulle labbra, o quantomeno con un tono di voce risoluto e tranquillo, magari invitando gli altri a fare una passeggiata all'aperto. Così pure la testimonianza di Cristo Risorto la si da nella gioia stessa del Cristo Risorto.