Omelia (23-04-2006)
mons. Ilvo Corniglia


"Coloro che eran venuti alla fede", cioè avevano accolto l'annuncio pasquale e attraverso il Battesimo erano entrati nella comunità cristiana, come vivevano? Erano "un cuore solo e un'anima sola" (Atti 4, 32-35: I lettura): unità profondissima di spirito che si esprimeva anche sul piano sociale nella condivisione dei beni. Era l'ideale di famiglia perfettamente realizzato. Il segreto, la sorgente a cui attingere per custodire e accrescere senza tregua tale unità era e rimane la relazione con Gesù risorto, vivo in mezzo alla comunità cristiana. Una presenza che raggiunge la massima intensità nella celebrazione eucaristica, come appare dal Vangelo.

La sequenza che questo brano fa scorrere sotto i nostri occhi si svolge dentro una casa, dove si trova riunita una comunità, la famiglia dei discepoli. Sono due episodi di cui uno ha luogo "la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato", l'altro "otto giorni dopo". Tale indicazione cronologica ha un preciso significato: c'è un tempo privilegiato in cui la comunità cristiana può incontrare Gesù risorto, ricevere i suoi doni e rifare l'esperienza dei primi discepoli, rivivendo in modo attuale quanto accadde quel primo giorno della settimana, che sarà poi chiamato "Domenica" (cioè il "giorno del Signore" risorto). Che cosa dunque avvenne allora e continua ad accadere quando i discepoli di Gesù in questo giorno si riuniscono in comunione fraterna (cfr. I lettura)?
"Viene Gesù". Questo verbo, che ricorre tre volte (due al passato e una al presente), intende esprimere un fatto straordinario: la passione e la morte, che sembravano segnare la scomparsa definitiva di Gesù, in realtà hanno inaugurato la sua venuta, la sua presenza definitiva. Una presenza nuova, non più condizionata dal tempo e dallo spazio: Gesù viene a "porte chiuse". Nulla può impedirgli di raggiungere i suoi amici. Il senso non è che Gesù ogni tanto visita i discepoli e poi se ne va. Ma il Risorto è ormai presente in modo ininterrotto in mezzo ai suoi. Qualche volta però concede loro di "vederlo" e li educa così a riconoscerlo presente anche quando è invisibile. Si tratta, appunto, per noi di percepire come "l'alito della sua presenza" (S.Ambrogio) cogliendo il suo sguardo personale su ciascuno, quasi sentendolo respirare tra di noi, anzi avvertendo il suo "respiro" - cioè lo Spirito Santo - mentre ce lo dona. Grazie a questa esperienza, ogni forma di paura, che prima paralizzava i discepoli, si dissolve come neve al sole.
"Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi". Detto questo mostrò loro le mani e il costato". Con questo gesto Gesù intende assicurare i discepoli che è Lui in persona, vivo in mezzo a loro: non un fantasma o una allucinazione, ma realmente colui che era vissuto con loro e che avevano visto appeso alla croce. Nello stesso tempo, mostrando le mani e il costato, Gesù si presenta come il Crocifisso dal cui costato sgorgano "sangue e acqua" (cfr. Gv 19,34), cioè come l'Agnello immolato che attraverso la sua passione-risurrezione dona lo Spirito. Infatti il sangue richiama il sacrificio di Gesù, il dono di sé per amore; l'acqua simboleggia la vita e lo Spirito Santo. Questi due elementi evocano anche i Sacramenti: l'acqua il Battesimo, il sangue l'Eucaristia. Sacramenti che sono la fonte permanente della Chiesa. Gesù allora è colui dal cui fianco nasce e rinasce la Chiesa, come dal fianco di Adamo addormentato era stata formata Eva. In tutto questo c'è una chiara allusione all'Eucaristia. In essa infatti contempliamo le "ferite" gloriose di Gesù, cioè facciamo memoria della sua passione-risurrezione. Non solo, ma tale avvenimento è reso presente, per cui noi incontriamo realmente il Crocifisso risorto, ricevendo gli stessi doni che derivano dalla sua morte- risurrezione e che egli ha portato ai discepoli la sera di Pasqua. Mostrando le mani e il costato, Gesù indica qual è l'origine, la sorgente della "pace" e degli altri doni pasquali. Queste ferite non rendono meno attraente il Risorto, ma più splendido e più bello ancora. Sono infatti il segno di un amore immenso che non ha esitato a mettere in gioco la vita. Un amore che rimane inalterato. In queste "piaghe" brilla l'infinita misericordia di Dio e l'amore che ha vinto la morte. Che cosa più bello e più affascinante dell'amore? Ecco dunque i doni del Risorto:
- "Pace a voi". Non è un semplice saluto. E' un dono: non solo la cessazione dell'inimicizia con Dio e conseguentemente tra gli uomini. Ma la pienezza del rapporto con Dio e tra gli uomini, l'esperienza del perdono: dalla pace con Dio scaturisce la pace con se stessi e con gli altri.
- "I discepoli gioirono al vedere il Signore". La gioia stessa del Risorto è travasata in loro. In ogni Eucaristia Gesù ci fa dono di questa pace, di questa gioia. Ne facciamo l'esperienza?
- Ma il dono per eccellenza che nell'incontro domenicale il Risorto ci fa', come ai primi discepoli, è lo Spirito Santo: la sintesi di tutti i doni di Dio. "Alitò su di loro". E' il gesto di Dio quando ha formato l'uomo all'inizio della creazione (cfr. Gn 2,7). Dando lo Spirito Santo, Gesù opera nei discepoli una novità assoluta, li rende nuove creature, li rigenera.
- Ma lo Spirito Gesù risorto lo dona come forza per la missione che affida loro: "Come il Padre ha mandato me anch'io mando voi". Non si può incontrare il Risorto, avvertire la sua presenza, ricevere i suoi doni (lo Spirito, la pace, la gioia) e non sentirsi inviati da Lui: "Io mando voi...va' a dire ai miei fratelli". Questa missione prolunga quella di Gesù. E' Lui che continua a operare attraverso l'attività dei discepoli. Attività che consiste nel riconciliare gli uomini con Dio mediante il perdono dei peccati.
- E' nella fede che si può riconoscere il Risorto presente fra di noi, ricevere i suoi doni e la missione che ci consegna. Ogni volta nell'incontro domenicale Gesù ravviva tale fede. Non di rado il "Tommaso" che è in ognuno di noi è tentato di non accettare l'annuncio della Chiesa -che prolunga la voce dei testimoni oculari- e pretende di "toccare con mano ". Non di rado è agitato dal dubbio e nei momenti bui e dolorosi vorrebbe avere un segno più chiaro e magari il segno che indica lui come decisivo per credere. E ogni volta Gesù gli rivolge il richiamo: "Non essere incredulo ma credente".

E' un dono immenso poter ripetere a Gesù con Tommaso divenuto credente: "Mio Signore e mio Dio!". Queste parole sono la più alta professione di fede che si possa trovare nei Vangeli. Esprimono un coinvolgimento totale della persona e una resa incondizionata nell'amore al Risorto riconosciuto come Dio e unico Signore della propria vita. Manifestano una gioia grande, la gioia di appartenergli e di averlo vicino. Perché non provi a fare questa dichiarazione di fede molte volte lungo la giornata? In particolare, potresti prendere l'abitudine di ripetere "Mio Signore e mio Dio!" nel momento centrale della Santa Messa quando il sacerdote alza prima l'ostia consacrata e poi il calice. Così pure quando pieghi il ginocchio in adorazione davanti a Gesù nascosto nel tabernacolo.Sarà bello sentirci ripetere: "Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno!". Beato anche tu! Beati anche noi!

La domenica è per me il giorno in cui insieme ai miei fratelli realizzo un vero incontro con Gesù risorto e ricevo i suoi doni?
Porto la mia vita nella Messa e la Messa nella mia vita?

Quando si è aggrediti da dubbi e difficoltà nel credere, può essere forte la tentazione di disertare le celebrazioni e gli incontri formativi. Tommaso, pur nel buio dell'incredulità, non ha abbandonato la comunità dei discepoli e così, quando Gesù è tornato, lui c'era e la sua fede è diventata limpida e gioiosa.