Omelia (07-05-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Fare la parte delle pecore Non è forse vero che nella nostra vita le cose o le situazioni che ci riguardano o che ci appartengono vengono curate con maggiore premura e sollecitudine? Non è forse vero che saremmo disposti a lavorare gratuitamente, a privarci di un beneficio o a fare delle rinunce importanti quando si tratti di affrontare una situazione che potrebbe comportare per noi un vantaggio o scongiurare uno svantaggio? L'esperienza comune ce lo insegna. Avviene che siamo disposti a fare i sacrifici più impensabili per le persone che più ci sono care, come nel caso specifico di tante mamme costrette (per esempio) a subire i lividi e le percosse dei propri figli tossicomani o affetti da gravi patologie psiche, senza avvalersi dei diritti e delle protezioni della legge, appunto perché si tratta pur sempre dei loro figli, delle persone a loro più care che nonostante tutto non vanno abbandonate ad un incerto destino (ma a volte in tal senso si sbaglia!); come anche nel caso di certe mamme che per amore dei figli più piccoli accettano ogni vessazione o violenza fisica da parte del marito alcoolizzato o di altre donne che, abbandonate improvvisamente dal loro coniuge, per garantire un futuro ai propri bambini sono costrette a cercare lavoro ben lontano dalla loro città... Una signora madre di un giovane epilettico, sorpreso ripetutamente tutti i giorni da convulsioni che lo sbattono sul pavimento e che più volte gli hanno causato lesioni gravi alla testa, una volta mi disse che sarebbe stata disposta a trattare con il Signore in questi termini: ti do la mia vita, se guarisci mio figlio. Quante situazioni insostenibili passano inosservate alla nostra attenzione! E quanta indifferenza da parte nostra... Determinate situazioni di estrema difficoltà dovrebbero indurci a non lamentarci troppo per dei problemi di ordinaria quotidianità che in fin dei conti sono assurdi e ridicoli, considerando che vi è chi soffre più noi senza alcuna via di uscita e che in fondo i nostri problemi sono insignificanti. Certe situazioni tuttavia sottolineano appunto anche la realtà di fatto che per le persone che noi abbiamo a cuore siamo disponibili molto più che per quelle che non conosciamo o che non rientrano nel nostro ciclo di relazioni. Ciò suggerisce che il paragone che Gesù fa' di se stesso con il pastore sollecito delle pecore calza a pennello. Ai fini di perseguire il benessere economico e finanziario della propria azienda agricola o comunque per raggiungere i propri interessi in campo lavorativo, un pastore mostra sempre molta premura per il proprio gregge, procurando che il bestiame trovi cibo nei prati, non si disperda durante il pascolo e non diventi preda di lupi o di abigei (=ladri di bestiame) correndo anche dei pericoli per la propria vita: essendo lui il proprietario del gregge e dipendendo da lui l'andamento della propria attività, egli manifesta molto più interesse di quanto possa mostrare un mercenario appositamente pagato per sorvegliare le pecore nottetempo; poiché quest'ultimo, per quanto zelante e onesto possa essere. Tale è l'atteggiamento di Gesù verso il suo popolo, ossia verso la Chiesa che formiamo tutti noi nel vincolo di unione del battesimo: quello di un pastore che non omette nulla pur di difendere il proprio gregge; questo diventa ulteriormente significativo se si considera che le nostre condizioni in fondo sono paragonabili a quelle delle pecore ingenue e sprovvedute che necessitano del fischio della loro guida per avere orientamento: malgrado le nostre convinzioni di grandezza e di autoaffermazione, noi restiamo sempre insufficienti e provvisori e fondamentalmente avvertiamo l'esigenza di un orientamento di carattere trascendente. In parole povere, noi abbiamo bisogno di Dio come le pecore hanno bisogno del pastore per non cadere in un dirupo. Non per niente l'immagine del pastore non è nuova nella Scrittura. Essa viene riportata al cap 34 di Ezechiele, dove Dio promette di essere egli stesso guida nonché pastore del suo popolo, essendo stato deluso dai pastori umani (I capi di Israele) intenti piuttosto a sfruttare il gregge di Dio in vista dei propri interessi; l'immagine del pastore in relazione alle pecore è poi sempre allusiva e comporta una linea di fondo che pervade, anche se indirettamente tutta la Scrittura per intero sempre per mostrare l'amore e la misericordia di Dio nei confronti dell'uomo singolo e collettivo. Vi sono tuttavia due differenza che ci permettiamo di riscontrare fra Gesù e il pastore di un gregge: innanzitutto, chi possiede molti capi di bestiame non si farà mai un grave assillo se dovesse perdere una sola pecora dal suo gregge purché tutte le altre restino inviolate e custodite, poiché ciò che più importa è il progresso generale della sua attività; non così è invece per Gesù Figlio di Dio: come si evince dalla famosa parabola della pecorella smarrita, Egli mostra premurosa attenzione anche per una sola delle sue pecorelle, con la determinata volontà di volerla recuperare qualora essa si perda nel bel mezzo della foresta. Inoltre, quello che motiva Gesù Pastore nei riguardi del suo popolo non è certo l'interessa commerciale, quanto piuttosto quello che scaturisce dal solo amore verso l'umanità nella globalità e nel singolo individuo per il quale Egli si dispone a tutto quello che sia utile in vista della redenzione e della salvezza. Dio in Cristo si mostra pastore reale, paziente e premuroso di ogni singolo uomo bisognoso della Provvidenza per il solo fatto che Egli lo ama e lo chiama ripetutamente alla comunione con sé e ad agire sotto questi ambiti di amore e di misericordia è soprattutto il Cristo Risorto, che appunto per amore dell'uomo ha trionfato sul dolore e sulla morte. Nella guarigione dello storpio per la mediazione di Pietro e Giovanni (Cfr I Lettura) Gesù manifesta di essere il Pastore Risorto che da la vita a tutti indistintamente, valicando la nostra concezione discriminatoria fra uomini, etnie e ceti sociali ( chi avrebbe, anche oggi, la benché minima considerazione per uno storpio mendicante che invece viene guarito alla porta del tempio) e che il suo amore si riversa soprattutto nel cuore dei più deboli, degli ultimi e degli emarginati. Alla pari delle pecore, anche noi abbiamo necessità che un Pastore ci guidi e ci conduca verso le mete che noi da sempre abbiamo ambito e desiderato ed è per questo che da parte nostra occorre "fare l parte delle pecore", cioè lasciarsi guidare da Cristo senza opporre resistenza e omettendo ogni obiezione e ogni giustificazione; lasciarsi condurre da Cristo vuol dire riporre la nostra fiducia in lui, affascinarsi della sua vita e dei suoi insegnamenti e per ciò stesso essere docili ai moniti evangelici che la Chiesa nei suoi ministri ci rivolge aprendoci ai nostri pastori visibili con disinvolta fiducia e spirito di filiale sottomissione nella certezza che essi sono solo mandatari di un annuncio che non proviene da loro ma che scaturisce direttamente da Cristo Pastore e nostro Signore. In termini concreti: non esitiamo a seguire i nostri parroci, i vescovi e i sacerdoti. Accostiamoci con fiducia a tutti i sacramenti di cui essi sono ministri, soprattutto alla Riconciliazione, trascurata in effetti molto spesso a causa di un presunto timore del giudizio o delle repliche del confessore, quando invece proprio in questo atto di grazia che è il perdono di Dio dai nostri peccati vi è l'incontro personale con l'artefice di ogni grazia e ricchezza spirituale e materiale: Cristo. Cristo Buon Pastore sollecito e misericordioso. |