Omelia (23-04-2006)
mons. Antonio Riboldi
Abbiamo visto il Signore!

Ci sono momenti nella vita in cui verrebbe voglia di chiudersi in se stessi nel silenzio dell'anima, resa muta da fatti, sofferenze, tragedie che ci tolgano la stessa voglia di vivere...come se in noi ci fosse solo dolore e fallimento e la vita fosse giunta ad un insuperabile traguardo che sbarra ogni spiraglio di speranza.
Così deve essere stata, secondo il Vangelo, l'anima degli Apostoli dopo la morte del Signore. Quanta speranza avevano posto in Lui! Lo avevano seguito, abbandonando tutto, certi di avere trovato "il TUTTO". Ma quella incredibile "resa del Maestro", che si consegna a chi era venuto per arrestarLo, Lui, non solo l'Innocente, ma addirittura la speranza per tutti, che si lascia portare via, senza alcuna difesa!
Un andare incontro alla passione che la dice lunga sul significato dell'amore che si dona, perché l'amico, noi, diventassimo liberi, amati.
Vedere poi Gesù, depredato di tutto, dalla dignità, alla vita, fino a essere "meno che nulla sulla croce", divenuto scherno di chi forse si meravigliava sua impotenza! Conoscevano la sua vita, fatta di miracoli, di eventi che solo Dio poteva compiere e Lo invitavano a mostrare questa sua origine divina, come un insulto. E Gesù taceva, si offriva al Padre come Agnello immolato, sapendo che questa è la legge dell'amore che si fa dono a chi ha necessità di essere liberato solo dall'amore.
Quelle mani di Gesù fermate dai chiodi e quindi impedite anche solo nel dare una carezza, di imporsi sui malati e guarirli, erano destinate a essere le nostre mani di vescovi, di sacerdoti, di fedeli, che si imporranno per farci liberi dal peccato nel Battesimo e nel sacramento della Penitenza: rivestiti della potenza di Gesù, si imporranno sul capo dei cresimati perché siano testimoni della Resurrezione e quindi, con la forza dello Spirito, vivere da risorti: sul capo di noi sacerdoti e vescovi per continuare con la Sua Potenza la missione di salvezza nel mondo.
Davvero benedette quelle mani e quei piedi fissi sulla croce e che nella Chiesa sono nei secoli mani sempre tese verso l'uomo, piedi sempre in cammino alla ricerca dell'uomo, per liberarlo dalla pericolosa solitudine senza Dio.
Gli Apostoli amavano tanto Gesù: avevano accettato senza esitazione di seguirLo, condividendo tutto con Lui, forse non sapendo inizialmente la grandezza della loro vocazione.
E per la paura di fare la stessa fine si erano nascosti.
"Ma la sera di quello stesso giorno - racconta Giovanni l'Apostolo - il primo giorno dopo il sabato (la domenica che per noi è il giorno del Signore), mentre eran chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. E Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". E dopo avere detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20,19-31).
Deve essere stata immensa la gioia e lo stupore degli apostoli a quella improvvisa e forse incredibile apparizione. Allora, si saranno ricordati a vicenda quello che Gesù continuava a ripetere: "Il figlio dell'uomo sarà consegnato ai farisei che lo flagelleranno e lo crocifiggeranno...Ma il terzo giorno risusciterà". Ed ora era lì circondato di una gloria immensa: una gloria che era uno schiaffo alla paura, alla stupidità degli uomini che credevano forse davvero che ci si potesse "liberare" da Dio, come se questo fosse un trionfo e non un affidarsi all'inferno senza di Lui. Aveva ragione ed ha ragione, oggi, Gesù, davanti a chi crede di oscurare o "uccidere Dio": "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno".
Abbiamo bisogno anche noi, tante volte soggetti a prove che sembrano il nostro venerdì di spavento, in cui tutto si fa "nero", di guardare, alzare gli occhi al cielo e vedere la gloria del Risorto, che è la sola speranza che dà respiro alla nostra vita.
Abbiamo bisogno anche noi di vedere Gesù risorto o guardare almeno a Lui, per non cadere nella trappola delle tante illusioni che il mondo offre. "Risorgerò" è in fondo la certezza che ci è compagna sempre ed è come il respiro dell'anima.
Purtroppo "Oggi, afferma Paolo VI, tanto si fa e si parla, per dare al mondo un volto "umano", ma spesso si sottintende un volto privo di anima umana, un volto materializzato dalla fallace speranza di trarre dalla terra quanto basta a fare l'uomo felice e completo: si crede che la soluzione dei problemi economici, l'esplorazione scientifica della natura possano liberare e redimere l'uomo; che lo sforzo umano, da solo, valga a raggiungere col possesso del mondo sensibile, la sua vera fortuna" ( Pasqua 1969).
Basterebbe, se si è onesti nella ricerca della verità dell'uomo, dare un'occhiata a questo nostro tempo, pieno di contraddizioni, in cui sembra che trionfi l'egoismo che è la vera morte dell'amore.
E quando l'amore viene messo in croce, ad andare in croce siamo noi, senza però il respiro della resurrezione.
Lo descrive bene cosa voglia dire vivere da risorti il racconto che gli Atti degli apostoli fanno della vita delle prime comunità. Vale la pena di approfondirlo e specchiarsi in loro, confrontandolo con quanto crediamo e siamo noi oggi.
"La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra di loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della resurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande stima. Nessuno infatti tra di loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case, li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno" (At 32-35).
E poco prima, sempre parlando delle prime comunità, raccontano gli Atti: "Ogni giorno frequentavano il tempio. Spezzavano il pane nelle loro case e mangiavano con gioia e semplicità di cuore. Lodavano Dio ed erano ben visti da tutta la gente. Di giorno in giorno il Signore faceva crescere il numero di quelli che giungevano alla salvezza" (At 2, 46-49).
Vivevano, in altre parole, lo stupore della Resurrezione che gli apostoli con grande forza annunciavano. Come a dire che agli occhi di tutti quelli che sentivano, sembrava aprirsi la bellezza del ritorno a casa, di avere ritrovato il senso e la bellezza della vita nella fede.
Ancora oggi, tanti, ma tanti fratelli nella fede, vivono questo stupore e questa gioia. Come sempre non fanno cronaca: ma sono quei fratelli e quelle sorelle che quando li incontri ti restituiscono quel sorriso dell'anima che il mondo cerca di spegnere con il suo rumore.
Ricordo mia mamma, che viveva davvero la semplicità dei primi cristiani, con una fede fatta vita, con un amore che era il pane della vita.
La sua vita era un vero cammino verso la Pasqua. Un giorno le feci notare la sua semplicità di vita, che sembrava provvisorietà di una veglia che attende la festa. Alla mia domanda del perché questa semplicità mi rispose: "Che vuoi? Per arrivare in Paradiso e risorgere non occorre appesantirsi di cose di questo mondo. Bisogna fare crescere le ali dell'anima per il giorno in cui Dio mi chiamerà. E quel giorno sarà la vera Pasqua che attendo".
Quando ero parroco a Santa Ninfa in Sicilia e il terremoto mi aveva costretto a vivere in una modesta baracca, la gente si stupiva che facessi nulla per costruirmi una casa, mentre mi battevo per la ricostruzione della loro, risposi: "La mia casa me la sto costruendo giorno per giorno con la fede e la carità, non qui, ma in Paradiso".
Non è facile entrare in questa visione pasquale della vita. Lo dimostra il Vangelo di oggi con l'episodio di Tommaso, che non vuole credere agli altri apostoli: "Abbiamo visto il Signore!". E lui, "se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mano nel suo costato, non crederò". Tornò Gesù, invitò Tommaso a fare quello che aveva chiesto. Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!" E Gesù: "Perché hai veduto, hai creduto: beati coloro che pur non avendo visto, crederanno" (Gv 20, 19-31).
E noi alle volte siamo come Tommaso. Ci è difficile, guardando quello che succede in noi e attorno a noi, che ci sia un evento che supera tutto e fa pulizia di paure ed errori, Cristo Risorto.
Bisogna che il Signore ci doni quella fede forte, coerente, che ci abitui a guardare verso il cielo per non farsi attirare dalla terra. A volte basterebbe incontrare chi è testimone di questa vita da risorti.
Chi di noi non ricorda il giorno della morte e resurrezione dell'amato Giovanni Paolo II? Lui era là, nella sua semplice bara, in mezzo alla Piazza, circondato dalla ammirazione dell'intera umanità. Ma si aveva l'impressione che lui non fosse morto, era risorto, e finalmente "ha visto faccia a faccia il Signore!" I solenni funerali più che una celebrazione della morte, sembrarono la celebrazione della Pasqua. Quella che vorremmo tutti ed auguro a tutti.