Omelia (30-04-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
Commento Luca 24,35-48 L'annuncio pasquale continua oggi a risuonare nella nostra assemblea liturgica, ancora nuovo e fresco come la prima volta sulla bocca di Pietro, quando disse al popolo: "Gesù Dio lo ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni" (At. 3,15: I lettura). Una notizia bomba a cui non si può fare l'abitudine e che non si può riascoltare restando ciò che eravamo. Pietro infatti conclude: "Pentitevi dunque e cambiate vita perché siano cancellati i vostri peccati". In ogni celebrazione eucaristica siamo noi quel popolo che ha il dono di ricevere l' "incredibile" notizia. Che effetto ci fa? Siamo come i discepoli di Gesù che, riuniti insieme, ascoltano l'annuncio pasquale e l'esperienza dei due testimoni provenienti da Emmaus (Lc 24, 35-36: Vangelo). Come reagiamo? Nello stesso tempo Colui che viene annunciato lo percepiamo presente: "...Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!". Ma solo la fede è in grado di riconoscerlo. I discepoli scambiano la loro esperienza per una apparizione di un fantasma e sono presi dalla paura. Ciò che era accaduto, cioè la tragedia spaventosa della passione, incatena e paralizza ancora i loro occhi e il loro cuore. Inoltre, Gesù si trova in una condizione radicalmente nuova rispetto alla sua esistenza terrena: è Lui, ma tutto trasfigurato nella gloria di Dio. Ciò spiega i loro dubbi e la loro esitazione. Allora Gesù moltiplica i segni per farsi riconoscere: "Sono proprio io!" C'è identità fra il Gesù terreno e il Gesù risorto. Poi sottolinea con tre argomenti la sua realtà corporea: "Toccatemi e guardate...E mangiò davanti a loro". L'evangelista descrive lo stupore dei discepoli che ancora non riescono a credere. Con una finissima annotazione psicologica li scusa (cfr. pure Lc. 22, 45), individuandone le ragioni nella "grande gioia" che comincia a invaderli. Una gioia così inattesa e nuova che ancora lascia spazio al dubbio di chi è tentato di dire: "Troppo bello per essere vero!". Tale gioia è motivata, oltre che dal rivedere il Signore, dall'esperienza del perdono e della comunione rinnovata con Lui. Se, infatti, Gesù torna da loro e siede alla loro tavola, è segno che li ammette alla sua mensa in qualità di amici, è segno che li ha perdonati. In ogni celebrazione eucaristica la prima cosa che sta a cuore a Gesù e il primo dono che ci fa è assicurarci che Lui è qui con noi, risorto e nella pienezza della vita. Nello stesso tempo, mentre ci dona la "pace" ("Pace a voi"), mostra nelle mani e nei piedi le ferite "gloriose" quale espressione permanente di quell'amore che lo ha spinto ad accettare la passione e che è la sorgente della "pace" stessa. A questo punto Gesù si appella al suo insegnamento e alla S. Scrittura (v. 44). La fede è suscitata dalla testimonianza della Scrittura. Questa infatti contiene e manifesta il disegno di Dio, secondo il quale il "Messia" doveva soffrire "per entrare nella sua gloria" (Lc 24, 26). Per questo il Risorto "aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture". In tal modo viene eliminato lo scandalo della croce: la sofferenza inaudita di Gesù era prevista nel piano di Dio come via obbligata alla risurrezione. Ogni volta, però, che il Risorto incontra i suoi, lì "manda". Il tema fondamentale di questo testo è appunto la missione dei testimoni. Il contenuto della missione è "predicare a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati". Ecco lo scopo dell'annuncio, fatto con la bocca e con la vita: provocare la conversione, che ottiene il perdono di Dio e quindi la comunione piena con Lui. La missione, però, è essenzialmente testimonianza: "Di questo voi siete testimoni". Il testimone si fa garante di ciò che dice, con tutta la sua esperienza, con tutta la sua vita personale. Il Risorto tratteggia anche in qualche modo l'equipaggiamento dell'inviato-testimone. - Il primo requisito è l'intelligenza delle Scritture alla luce di Gesù risorto (v.45). Abbiamo e coltiviamo una conoscenza della S. Scrittura nel senso che sappiamo cogliervi la centralità di Gesù e sappiamo vedere come tutto nelle Scritture è finalizzato a Lui e converge su di Lui? "Ignorare le Scritture è ignorare Cristo" (s. Girolamo). - Il secondo requisito è l'intelligenza dell'annuncio fondamentale che è la morte e risurrezione di Gesù (v.46). Ovviamente non si tratta tanto di una conoscenza teorica, ma di una assimilazione vitale di questo annuncio, anzi di un rapporto esistenziale col Risorto. Soltanto chi lo ha veramente incontrato e vive di Lui e con Lui può annunciarlo in modo efficace. I destinatari di tale annuncio sono "tutte le genti, cominciando da Gerusalemme". Il libro degli Atti mostrerà come gradualmente di tappa in tappa si è realizzato il programma missionario del Risorto, enunciato in questo testo e più esplicitamente affidato ai discepoli prima dell'Ascensione (At. 1,8). "Di questo voi siete testimoni". La consegna missionaria costituisce il contenuto delle ultime parole di Gesù. Essa definisce il compito e la coscienza della Chiesa nella storia. La Chiesa, e in essa ogni cristiano, esiste e opera per testimoniare a tutti Gesù risorto. Testimoni "di queste cose". Quali sono? L'evento della morte- risurrezione, ma anche "le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi". Cioè tutto l'insegnamento di Gesù impartito durante il suo ministero pubblico e che è contenuto nei Vangeli. Ma pure le Scritture che in Gesù e nella sua Pasqua si sono compiute, come mostrano i Vangeli. Il brano di Luca, che oggi ascoltiamo, ci consente di rivivere l'esperienza dei discepoli che, mentre sono riuniti, incontrano il loro Maestro, Gesù risorto. Egli è "in mezzo a loro". E offre la sua "pace", cioè la pienezza dei beni messianici. Dona la fede che li porta a poco a poco a riconoscerlo nella gioia. Apre i loro occhi e il loro cuore per capire le Scritture, che parlano di Lui. Li invia come suoi "testimoni" a ogni uomo della terra e della storia. E' facile notare la convergenza sostanziale col brano evangelico della scorsa domenica (Gv. 20, 19ss.), pur con accenti e interessi diversi. Luca sottolinea il compito della testimonianza e le condizioni che la rendono efficace: conoscere le Scritture, incentrate su Gesù, e l'annuncio pasquale. Tale conoscenza, esistenziale e vitale, è legata alla sua presenza fra noi. Presenza che viene favorita dalla conversione personale a Lui e dalla nostra concordia fraterna. "Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!...Sono proprio io!...Di questo voi siete testimoni!". Proviamo ogni tanto a riascoltare lentamente una a una queste parole, facendo quanto ci suscitano dentro. Il mese di maggio ci richiama a ravvivare il nostro rapporto filiale con Maria. La "devozione" a Maria, se intesa e vissuta correttamente, non ostacola la relazione con Cristo, che rimane prioritaria in assoluto nella vita del cristiano. Ma la favorisce. Maria, infatti, è tutta "relativa" a Gesù: tu chiami "Maria" ed ella risponde "Gesù". Maria è, appunto, la prima credente, la perfetta credente, modello inarrivabile della relazione autentica con Cristo. Specchiandoci in lei, imitandola, si diventa sempre più come lei, cioè veri discepoli di Gesù. Cercheremo, perciò, in questo mese di riferirci spesso a Maria per riscoprire e rivivere la sua fede e la sua carità. Non trascureremo, poi, il dialogo con la nostra Madre. Un modo potrebbe essere la recita del santo Rosario. Oppure ognuno potrebbe regalarle qualche momento della giornata pregando per es. con una decina di "Ave Maria", magari insieme ai familiari. Anche una sola "Ave Maria", recitata con attenzione, è una dichiarazione d'amore a tua Madre. Un santo ha scritto che, quando si recita l' "Ave Maria", un fiore spunta in cielo. Tradizionalmente in questo mese parecchie persone si impegnano a moltiplicare gli atti d'amore, considerandoli come altrettanti fiori da offrire a Maria. |