Omelia (30-04-2006) |
mons. Antonio Riboldi |
Resta con noi, si fa sera Ci sono momenti nella vita di tutti, in cui "si fa sera": ossia quello che ci succede sconvolge fino ad annullare anche quel briciolo di serenità o di speranza che tutti coltiviamo ed è il sapore della vita. Chi di noi non ha provato questi momenti "tristi", al punto da sentirsi smarriti, come abbandonati, come privi di senso? E' vero che a volte mettiamo le nostre speranze o certezze su fragilità che crollano davanti alla minima prova. Oppure, a volte, la nostra fiducia piena la poniamo in persone, come può essere un amico, lo sposo, la sposa, o chi volete, e senza capirne a volte la ragione, improvvisamente, "si fa sera". Vorremmo incontrare chi ci dà certezze su cui porre la nostra fiducia: certezze che non vengano mai meno e non ci voltino mai le spalle, ma poi quante volte mostrano la loro natura di non essere "certezze"! Ho sempre davanti agli occhi quella assemblea di giovani, che amano a volte definirsi "branco". Stanno insieme, si cercano, ma sanno in fondo che "si incontrano senza conoscersi, stanno insieme senza amarsi, si lasciano senza rimpiangersi". Invitato ad essere con loro in una assemblea numerosissima: una assemblea dove l'anima era uno spettacolo, da loro messo insieme, con poesie loro, riflessioni loro, e canti tristi... Si respirava a pieni polmoni "la sera di questi giovani" in cerca di "giorno". Invitato a salire sul palco, per ringraziarmi della presenza, chiesi perché mi avevano invitato, proprio loro, che mostravano distacco apparente dalla vita di fede. La risposta è di quelle che gelano il cuore: "A noi manca un papà", ossia chi ci voglia veramente bene e ci assicuri che la vita è gioia. "Quando parliamo di papà non ci riferiamo ai nostri padri naturali che forse ci accontentano esteriormente, ma vivono alla superficie della nostra vita interiore, come se non interessasse. Parliamo di qualcuno che ci voglia veramente bene, ci sia vicino nel nostro incerto cammino e ci ascolti". E' quello che provarono gli Apostoli e quanti allora avevano seguito Gesù nella sua vita tra di noi. Lui dava certezze: a Lui ci si poteva affidare. Forse si vedeva in Lui una certezza "terrena". Ma Gesù era venuto e viene tra di noi non per darci sicurezze terrene, ma quella certezza che va oltre la terra ed è quella offerta nella Pasqua, il Cielo. Ma Gesù in croce, che non ha opposto alcuna resistenza - e poteva farlo nella sua onnipotenza divina - ma scelse la nostra estrema debolezza fino in fondo, fino a farsi spogliare di ogni dignità e bellezza, fece crollare i sogni che gli apostoli avevano posto in Lui. E alla gioia di seguirLo, si sostituì la paura, quella di essere coinvolti nella condanna per il semplice fatto di averLo seguito, di essere stati amati e scelti da Lui. E fuggono, senza più sapere dove andare e da chi andare. Pare la nostra storia. Il Vangelo prima narra dei due discepoli che, fuggendo da Gerusalemme, si dirigevano verso Emmaus. "Ma mentre discorrevano e discutevano insieme - racconta Luca - Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerLo (come capita tante volte a noi). Ed Egli disse loro: Che sono questi discorsi che state facendo tra di voi durante il cammino? Si fermarono con il volto triste: uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che è accaduto in questi giorni? Domandò: Che cosa? 'Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo: ma i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso...Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele" (Lc 24,13-35). Gesù li lascia sfogare, solo alla fine interviene: "Stolti e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui". Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno già volge al declino" Egli entrò per rimanere con loro. Dovremmo meditare a lungo carissimi, questa delicatezza di Gesù che si fa vicino ai due, nel loro cammino senza speranza, nella loro vita in cui era scesa la sera della delusione. "Noi credevamo". Non si fa riconoscere, ma, con lo stile di Dio, che quando si fa vicino, chiede solo il silenzio e la fiducia dell'ascolto, quasi rispettando il dubbio e quindi la tristezza dei due, si fa voce della certezza, quella dell'amore che a volte pare scomparire nei momenti delle nostre difficoltà, e lo fa per riapparire con quella gioia che era dietro quei fatti tristi, quelle nostre "sere dell'anima", in cui sembra non debba più apparire la luce. E a noi ripete "Stolti e tardi di cuore". Conosciamo tutti il disagio giovanile, che non è solo la sofferenza degli adulti, dei genitori, della società, ma sopratutto della Chiesa. E' sempre stato così. C'è un tempo, da adolescenti e giovani, in cui si sogna e spera tanto, magari affidandosi a speranze che hanno il solo compito di fare perdere le tracce della speranza. Era grande il desiderio dell'amato Giovanni Paolo II di essere vicino ai giovani, a cui lui riservava un affetto di eccezione. "Vi ho cercati, dirà prima di morire, e voi siete venuti ad incontrami". Per questo ci fu un anno che noi vescovi, cercando di accostarci, rispettosamente, ai giovani nel loro cammino, a volte tortuoso, abbiamo scritto una lettera, proprio prendendo l'esempio di Gesù con i due di Emmaus. Ed è quello che oggi, i Pastori pieni di Spirito Santo, i genitori saldi nella fede, la Chiesa tutta, cerca di fare. Avvicinare, con estrema delicatezza i giovani, ma in genere tutti quelli che sono nella tristezza dei due di Emmaus, la tristezza di avere come perso il senso della vita e quindi la speranza, esercitando la difficile e meravigliosa arte dell'ascolto, camminando con loro e, solo dopo averne avuta la fiducia, aprire il cielo della Verità. Con quell'amore che non è mai chiasso, ma solo brezza di aria pulita. Io non so come ringraziare tanti, ma tanti di voi, che con fiducia, accogliendo le riflessioni che offro e che sono la delicata presenza di Gesù, si aprono con le e-mail, raccontando le loro tristezze e a volte gioie e speranze, certi di trovare un amico che ascolta e conserva nel cuore tutto: certi di trovare l'amico con cui condividere il cammino della vita. Grazie per questo. Ma il racconto di Emmaus non si ferma a quel "Resta con noi perché si fa sera". Alla parola, come nella Eucarestia, Gesù si fa amore donato, "pane spezzato". La parola così diventa Pane di vita. Solo Dio poteva essere così grande nell' amore. Racconta sempre Luca: "Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e diede loro. Ed ecco si aprirono i loro occhi e lo riconobbero. Ma Lui sparì dalla loro vista. Ma non trattennero quella gioia. Corsero, come narra il Vangelo sempre di Luca, oggi, a raccontare tutto agli apostoli, rannicchiati nella paura. E a confermare il loro racconto ci pensa Gesù stesso. "Mentre i due parlavano Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi. Stupiti e spaventati, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come voi vedete che io ho. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare? Gli offrirono una porzione di pesce arrostito: egli lo prese e lo mangiò davanti a loro" (Lc 24,35-48). E' davvero incredibile la bontà del Signore, che, dopo la terribile prova cui sottopose i suoi, andò oltre l'apparire, ma chiese di toccare mani e piedi e, come a confermarli nella fede, chiese da mangiare e mangiò. Poteva Gesù fugare dubbi e paure in modo più grande? Questa è la Pasqua del Signore. Una meravigliosa storia del Padre, che non è un racconto di duemila anni fa, ma, per chi davvero cerca serenità, speranza nella tristezza, è realtà di oggi. Per tutti noi. Raccontano le cronache di Pasqua di tanti fratelli nella fede, che per vivere questa compagnia di Gesù e così entrare nella Pasqua, scelsero, non gli svaghi che tante volte sono una fuga dalla vita, ma il silenzio e la preghiera nei monasteri o nella case di spiritualità. Un modo serio di entrare nella Pasqua. Da queste righe voglio ringraziare i cari giovani della Diocesi di Arezzo, che, come a Natale, vollero accostarsi alla Pasqua ritirandosi per due giorni a La Verna, dove è possibile, sulle orme di S. Francesco, entrare nel meraviglioso mistero dell'amore di Dio. Era un vero dono di Dio vedere quei tanti giovani scegliere il silenzio e la riflessione e la preghiera, per vivere la compagnia di Gesù, come i due di Emmaus. Stando con loro si percepiva la grande luce pasquale. Giovani coraggiosi, che non temono di cercare la compagnia di Chi veramente ama e fa felice, Gesù. Dio certamente li ha riempiti dello stupore suo e a me rimane solo di fare la preghiera dei due di Emmaus: "Resta, Signore con noi perché si fa sera". |